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L’art.2 del d.lgs. 81 del 2015 è stato introdotto con l’obiettivo di tutelare i lavoratori ritenuti in condizione di “debolezza” economica, operanti nella c.d. “zona grigia” tra autonomia e subordinazione, prevedendo l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato, qualora si riscontrino tre specifici elementi sintomatici: la “personalità” della prestazione (“esclusiva” nel testo del 2015; “prevalente” dopo la novella del D.L. 101/2019, convertito in Legge 148/2019), la “continuità” e l’“etero-organizzazione”, che ricorre ogni qual volta le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate dal committente (la Legge n.148/2019 ha cancellato l’inciso «anche con riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro»).
La Legge 22.5.2017, n.81, si ricorda, ha novellato l’art.409, n3, c.p.c., specificando che «La collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo fra le parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa».
La Corte di Cassazione, con la sentenza n.1663 del 24 gennaio 2020, emessa sul noto caso “riders di Foodora” ma di sicuro interesse per la più ampia platea delle collaborazioni autonome, è recentemente intervenuta sui temi della natura giuridica del c.d. lavoro etero-organizzato e delle tutele apprestate ai lavoratori nell’ambito delle c.d. collaborazioni autonome.
Riguardo alla prima questione, la Corte di Cassazione ha chiarito che l’art.2 del d.lgs. 81 del 2015 non ha dato origine ad una nuova fattispecie di rapporto di lavoro, c.d. tertium genus, intermedio tra autonomia e subordinazione, ma costituisce, al contrario, una “norma di disciplina” che vede riconosciuto il diritto dei collaboratori autonomi, il cui rapporto di lavoro presenti specifici elementi sintomatici, a vedersi applicata la disciplina del lavoro subordinato.
L’approccio del Legislatore del 2015 si è pertanto limitato ad offrire un “rimedio”, offrendo a determinate tipologie di collaboratori le stesse protezioni sul lavoro subordinato, senza passare attraverso la riqualificazione del rapporto.
Al riguardo, si pone il problema interpretativo dell’estensione o meno al collaboratore etero-organizzato della disciplina del lavoro subordinato nella sua totalità.
La Corte d’Appello di Torino, con la sentenza impugnata, aveva fatto un’applicazione selettiva della disciplina della subordinazione, che si limitava alla retribuzione, sicurezza, ferie, orario e previdenza, ma che escludeva, ad esempio, l’applicazione delle norme sul licenziamento.
La Corte di Cassazione non ha risolto questo problema interpretativo, avendolo ritenuto non rilevante ai fini della decisione del caso specifico, ma ha affermato, da un lato, che al verificarsi delle caratteristiche delle collaborazioni di cui all’art.2, comma 1, d.lgs. n.81 del 2015 «La legge ricollega imperativamente l’applicazione della disciplina della subordinazione»; e, dall’altro, ha precisato che non possono escludersi situazioni in cui l’applicazione integrale della disciplina della subordinazione sia «ontologicamente incompatibile» con la disciplina della collaborazione.
Non è ancora chiaro, dunque, se debba applicarsi tutta la disciplina del lavoro subordinato e, in particolare, se siano o meno applicabili le tutele previste per i licenziamenti.
La Corte di Cassazione ha ben affrontato, invece, il tema del coordinamento che caratterizza l’etero-organizzazione ai sensi dell’articolo 2 d.lgs. 81/2015, chiarendo i termini della distinzione tra: a) il semplice coordinamento dell’attività del collaboratore con l’organizzazione dell’impresa, che deve essere considerato compatibile con una autonomia piena, non “equiparata” al lavoro subordinato; b) l’etero-organizzazione, che invece conduce all’applicazione della disciplina del lavoro subordinato.
La Corte di Cassazione individua il carattere distintivo dell’etero-organizzazione nel potere unilaterale di imposizione delle modalità di coordinamento.
Il coordinamento diventa etero-organizzazione quando le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa (ad esempio il quando e il dove della prestazione) sono imposte dal committente, sconfinando così nella etero-organizzazione.
Se, invece, le modalità sono stabilite di comune accordo, la collaborazione non è attratta nella disciplina dell’articolo 2 del d.lgs. 81/2015 e non è soggetta all’applicazione della disciplina del lavoro subordinato.
Essendo espressamente prescritto che le modalità di coordinamento devono essere “stabilite di comune accordo tra le parti”, alcun elemento di unilateralità nella loro predisposizione contrattuale potrà essere tollerato, pena la negazione della riconducibilità della fattispecie allo schema legale-tipico di cui al novellato art. 409, comma 3, c.p.c.
In conclusione, nella pratica applicazione in sede giudiziaria sarà tutt’altro che semplice operare la distinzione tra coordinamento ed etero-organizzazione, anche perché, come la Corte ricorda, acquisisce fondamentale importanza l’indagine volta a distinguere il potere unilaterale del committente dal coordinamento consensuale nella c.d. fase genetica del rapporto, ossia nel contratto stipulato con il collaboratore autonomo, oltre che nella fase funzionale di esecuzione del medesimo.
Un buon contratto di collaborazione, che sappia descrivere bene le modalità di coordinamento consensuale nel caso concreto, gioverà nell’affrontare il possibile contenzioso sull’accertamento sulle modalità concrete di svolgimento del rapporto e sembra il miglior antidoto, anche dissuasivo, rispetto all’instaurazione di contenziosi velleitari che puntino soprattutto sui contenuti degli accordi formali.