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Questione
Sin dalle prime applicazioni dell’art. 26 del d.lgs. n. 81/2008, norma chiave dalla quale partire allorché si discute di c.d. rischio interferenziale, la questione che si è posta è stata quella di comprendere la latitudine di tale concetto.
Problematica di non poco conto se si considera la mancanza di una definizione normativa di interferenza rilevante.
La giurisprudenza, investita di fatto della problematica, si è posta anzitutto il problema se il c.d. rischio interferenziale dovesse trovare applicazione solo nelle ipotesi di organizzazione del lavoro riconducibili alle figure negoziali citate nella norma (appalto, opera o somministrazione).
Una risposta positiva a tale questione, giustificata da una interpretazione letterale della norma, ne avrebbe certamente comportato un’applicazione ristretta inidonea a cogliere le specificità delle realtà aziendali che quotidianamente si presentano.
Una risposta negativa, che valorizzasse lo spirito della norma, al contrario avrebbe richiesto l’individuazione di un criterio attraverso il quale, a prescindere dalla qualificazione giuridica dei rapporti tra le imprese, identificare i casi nei quali si verifica quel “contatto rischioso” tra lavoratori di aziende diverse che determina il rischio di interferenza e impone necessari obblighi di coordinamento.
Quadro normativo
Prima di affrontare la soluzione giurisprudenziale offerta, pare utile chiarire sinteticamente le linee direttrici del citato articolo 26 che è norma di carattere generale alla quale si affiancano (come ulteriore specificazione e volendo semplificare), in ipotesi di realizzazione di opere di ingegneria civile, le norme di cui alla “normativa cantieri” (ex d.lgs. n. 494/1996) oggi trasfusa nel Titolo IV (Cantieri temporanei o mobili), capo I (Misure per la salute e sicurezza nei cantieri temporanei o mobili).
Questa norma impone obblighi di coordinamento e cooperazione in capo a tre tipologie di destinatari ovvero ai committenti, agli appaltatori e ai subappaltatori.
Più precisamente il comma 1° pone in capo alla figura del “datore di lavoro-committente” allorché vi sia un affidamento di lavori e la titolarità giuridica dei luoghi in cui si svolge l’appalto o la prestazione di lavoro autonomo, un obbligo di verifica dell’idoneità tecnico-professionale delle imprese.
Il comma 2° impone, d’altro canto, in capo al “datore di lavoro-appaltatore” e “datore di lavoro – subappaltatore” obblighi di cooperazione nell’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro connessi all’attività appaltata e di coordinamento degli interventi di protezione e prevenzione dai rischi mediante reciproca informazione anche al fine di eliminare “rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva”.
Per concludere il comma 3°, salvo le eccezioni di cui al comma 3 bis, impone in capo al “datore di lavoro-committente” l’obbligo di promuovere il coordinamento e la cooperazione attraverso l’elaborazione di un unico documento di valutazione dei rischi ovvero l’individuazione di un proprio incaricato (formato, esperto e specificamente competente) a sovrintendere tali operazioni in relazione ai settori di attività a basso rischio di infortuni e malattie professionali.
La norma affida, dunque, al DUVRI predisposto dal “datore di lavoro-committente” il compito di individuare “le misure adottate per eliminare o, ove ciò non è possibile, a ridurre al minimo i rischi da interferenze”: soltanto un documento unitario, infatti, può essere idoneo per il Legislatore ad evitare l’adozione da parte dei singoli operatori di misure non coerenti tra loro ai fini dell’eliminazione o riduzione al minimo dei rischi da interferenza durante i lavori ovvero di ulteriori rischi per entrambi i lavoratori delle imprese coinvolte.
Soluzione giurisprudenziale
Chiarito il contesto normativo di riferimento, la risposta al quesito relativo alla latitudine del concetto di interferenza rilevante, è stata fornita dalla giurisprudenza la quale ne ha dato un’interpretazione in senso ampio, alla luce della ratio sottesa alla norma, individuando come criterio applicativo quello funzionale.
Illuminante sul punto è la pronuncia della Suprema Corte n. 34788/2018 (Cass. Pen. sez. IV, (ud. 20/03/2018) 23/07/2018 n. 34788) nella quale si afferma che “la ratio della norma di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26 è quella di far sì che il datore di lavoro "committente" appresti un segmento all'interno della propria azienda al fine di prevenire ed evitare i rischi interferenziali, derivanti dalla contemporanea presenza di più imprese che operano sul medesimo luogo di lavoro, attivando e promovendo percorsi condivisi di informazione e cooperazione, soluzioni comuni di problematiche complesse, rese tali dalla circostanza dovuta alla sostanziale estraneità dei dipendenti delle imprese appaltatrici all'ambiente di lavoro dove prestano la propria attività lavorativa”.
Al fine di definire il rischio interferenziale, la Suprema Corte ha, dunque, puntato i riflettori sugli effetti della compresenza di lavoratori appartenenti ad organizzazioni aziendali diverse, piuttosto che sulla qualificazione giuridica attribuita al rapporto tra imprese che cooperano tra loro e che sono occasione del verificarsi del predetto rischio. Qualificazione che dunque risulta irrilevante.
Chiarita la ratio della norma, il criterio elaborato per definirne la latitudine applicativa non può essere altro che quello funzionale.
Citando le parole della Corte “l'interferenza rilevante - dovendosi ricercare una nozione che sia il più confacente possibile al perseguimento della sua ratio - deve essere necessariamente intesa in senso funzionale, ossia come interferenza non di soli lavoratori, ma come interferenza derivante dalla coesistenza di un medesimo contesto di più organizzazioni, ciascuna delle quali facente capo a soggetti diversi (Così Sez. 4, sentenza n. 36398 del 23 maggio 2013).”
Di recente, a conferma della ricostruzione appena evidenziata, la Suprema Corte ha ravvisato la responsabilità penale, tra gli altri, del legale rappresentante di una ditta subappaltante così come del responsabile lavori nell’interesse della Committente e del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, per l’infortunio mortale occorso ad un dipendente della ditta subappaltatrice.
In un contesto quale quello esaminato dalla Suprema Corte il rischio interferenziale, determinato dalla compresenza di una molteplicità di lavoratori appartenenti a realtà aziendali diverse all’interno di un cantiere, ha determinato il sorgere di obblighi di coordinamento o cooperazione in capo al datore di lavoro sub-appaltante il quale tuttavia li ha omessi.
L’omissione del comportamento doveroso e fondante un’autonoma posizione di garanzia in capo a tale soggetto ne ha comportato, in quanto causalmente rilevante, la conferma del giudizio di responsabilità penale per l’evento mortale cagionato (Cass. Pen. Sez. 4, 20 febbraio 2019 n. 7668).
In conclusione la norma di cui all’art. 26 d.lgs. n. 81/2008, allargando la platea dei destinatari degli obblighi di coordinamento e cooperazione anche al subappaltatore, unitamente al committente e appaltatore, evidenzia – al di là della terminologia impiegata – la volontà di coinvolgere tutti i protagonisti nell’operazione di parcellizzazione dell’attività d’impresa, ancorché non legati negozialmente ed in modo diretto tra loro.
La norma è ulteriore espressione, dunque, di quei principi di effettività e diffusività che permeano il decreto n. 81/2008 finalizzati a responsabilizzare tutti i soggetti della filiera della sicurezza concretamente investiti dello svolgimento di un’attività a prescindere dalle etichette formali assegnate.
Ciò mira a coprire anche (si ricordi che i rischi specifici propri delle attività affidate rimangono in capo agli affidatari che sono tenuti dunque alla relativa valutazione e gestione del rischio) quei “vuoti” di tutela dei lavoratori riconducibili alle zone di confine tra le singole attività aziendali e, dunque, tra le organizzazioni affinché i rischi da interferenza risultino di fatto, quantomeno, minimizzati.