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La qualificazione ad opera dell’art. 42, comma 2, del Decreto “Cura Italia” (DL. N. 18/2020), del contagio da Covid-19 nei luoghi di lavoro alla stregua di un vero e proprio infortunio sul lavoro, apre infatti la strada verso un duplice profilo di rilevanza, in termini di responsabilità (penale ed amministrativa), delle condotte ascrivibili al datore di lavoro per il mancato rispetto degli standard di sicurezza nei luoghi di lavoro.
Come noto, la protezione dell’integrità psicofisica dei dipendenti, anche dai rischi biologici cui sono esposti nello svolgimento dell’attività lavorativa, costituisce uno specifico onere gravante sul datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c.
Accanto a tale previsione generale, un ruolo fondamentale lo assolvono poi le disposizioni speciali contenute nel D.lgs. n. 81/2008 (TU in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) poiché, da un lato, esse hanno avuto il merito di consacrare definitivamente la posizione di garanzia rivestita dal datore di lavoro (ovvero di colui che, nel contesto operativo e produttivo, detenga la titolarità dei poteri decisionali e finanziari) quale soggetto responsabile della sicurezza dei lavoratori e preposto alla vigilanza sulla corretta attuazione delle misure di sicurezza in azienda; dall’altro lato, perché, a determinate condizioni, la violazione delle stesse potrebbe avere importanti ricadute sulla società, esponendola alle sanzioni di cui al D.lgs. n. 231/2001 (responsabilità da reato degli enti).
Deve, di fatti, evidenziarsi che, laddove le misure di prevenzione attuate non fossero idonee ad evitare la propagazione del virus tra i dipendenti, la malattia – o nei casi più gravi – il decesso dei lavoratori contagiati, potrebbero integrare i reati di lesioni colpose (art. 590 c.p.) e di omicidio colposo (art. 589 c.p.), commessi con violazione delle norme a tutela della salute e sicurezza sul lavoro, con conseguente responsabilità del datore di lavoro ove sussistesse un nesso causale tra la violazione di tali norme e il contagio.
Non di meno, accanto ad una responsabilità del datore per i reati suddetti, se da tali eventi possa poi inferirsi un interesse o un vantaggio per la società (quale ad esempio, il mantenimento della regolare prosecuzione della produzione in assenza di un’adeguata valutazione dei rischi e dell’adozione delle necessarie precauzioni, o il risparmio dei costi per il mancato acquisto dei dispositivi di protezione individuale e/o collettiva), questa potrebbe essere chiamata a rispondere per violazione del D.lgs. n. 231/2001 che, nel catalogo dei reati presupposto (ex art. 25 septies), ricomprende anche quelli di lesioni e omicidio colposo con violazione della normativa a tutela dell’igiene e della sicurezza sul lavoro, di cui al D.lgs. n. 81/2008.
Ebbene, senza voler considerare il danno cd. “reputazionale” in cui l’impresa incorrerebbe, qualora fosse accertata una simile circostanza, la disposizione da ultimo richiamata prevede l’applicazione di aspre sanzioni, sia pecuniarie, che nel massimo edittale possono arrivare a superare anche il milione di euro, sia interdittive (dal divieto di pubblicizzare beni o servizi, fino all’interdizione dall’esercizio dell’attività), applicabili, anche in via cautelare, nel corso del procedimento penale, e che porterebbero alla impresa ulteriori danni tanto economici che di operatività.
Misure precauzionali a tutela del datore di lavoro e dell'ente
Quali allora le misure precauzionali che, in contesto inedito e così drammatico, possono incidere positivamente sulla responsabilità del datore di lavoro e dell’ente, riducendone il rischio, e tali da consentire, al contempo, per quanto possibile e in condizioni di sicurezza, la continuità aziendale in un’ottica anche di mitigazione dei danni economici causati dal Covid-19?
Senza alcuna pretesa di esaustività, gli aspetti principali da tenere in considerazione in una prospettiva di corretta compliance aziendale attengono principalmente:
- all’aggiornamento del documento di valutazione dei rischi (VDR), che rappresenta il punto di partenza indispensabile per innalzare il livello di sicurezza aziendale, di modo da rendere effettivo l’onere di prevenzione che grava sul datore di lavoro, e da adeguare le misure di sicurezza alle nuove esigenze di contrasto al virus; nonché
- alla predisposizione e adozione di protocolli aziendali che consentano di garantire una operatività aziendale conforme ai requisiti di sicurezza anti-contagio, e che andranno ad integrare le misure precauzionali già in essere (ovverossia quelle relative ai sistemi in materia di infortuni sul lavoro e quelle inerenti al modello di organizzazione e gestione).
A tal fine, dal punto di vista operativo, svolgono un ruolo di supporto il DPCM dell’11 marzo 2020 ed il Protocollo del 14 marzo siglato tra Governo e Confindustria.
Entrambi i provvedimenti, infatti, forniscono alle imprese linee guida da seguire al fine di coniugare la prosecuzione delle attività produttive con la garanzia di condizioni di salubrità e sicurezza degli ambienti di lavoro e delle modalità lavorative.
A titolo esemplificativo, la società:
- dovrà disciplinare le modalità di ingresso e di uscita del personale dipendente, nonché di terzi (fornitori, clienti, utenti), ciò al fine di ridurre le occasioni di contatto e garantire il distanziamento sociale, con adozione degli occorrenti controlli anche di natura sanitaria;
- dovrà effettuare le attività di pulizia e sanificazione dei locali e procedere all’approntamento delle precauzioni igieniche e sanitarie (ad esempio mettere a disposizione dei dipendenti e dei terzi i prodotti antibatterici e i DPI);
- dovrà procedere all’elaborazione delle procedure di gestione delle persone sintomatiche nel rispetto della normativa della privacy e sul trattamento dei dati personali;
- dovrà contingentare l’accesso agli spazi comuni, comprese le mense aziendali, le aree fumatori e gli spogliatoi, con la previsione di una ventilazione continua dei locali, di un tempo ridotto di sosta all’interno di tali spazi e con il mantenimento della distanza di sicurezza di 1 metro tra le persone che li occupano;
- dovrà prevedere misure di riorganizzazione delle attività aziendali, incentivando l’utilizzo di alternative digitali (oltre a favorire il cd. smart working per tutte quelle attività che possono essere svolte presso il domicilio o a distanza) che consentano di partecipare a conferenze e riunioni di lavoro a distanza – in modo che i viaggi possano essere limitati ai casi strettamente necessari -, assicurare un piano di turnazione dei dipendenti dedicati alla produzione con l’obiettivo di diminuire al massimo i contatti e di creare gruppi autonomi, distinti e riconoscibili;
- dovrà fornire informazioni riguardanti i rischi specifici dell’impresa, le prescrizioni igienico - sanitarie e di autoregolamentazione di cui la stessa si è dotata, l’importanza di agire in conformità alle misure di prevenzione e protezione adottate nonché le conseguenze sul piano disciplinare del loro mancato rispetto. Tali informazioni dovranno essere ovviamente veicolate e pubblicizzate all’interno del contesto aziendale, affinché risultino comprensibili e conoscibili a chiunque (anche attraverso l’affissione di dépliant informativi all’ingresso e nei luoghi maggiormente visibili dei locali aziendali; attraverso raccomandata la creazione di mailing list interne o di chat aziendali etc..
L’allarme coronavirus si sta già rivelando, ed ancor più si rivelerà, un importante banco di prova per il nostro sistema produttivo in cui le aziende dovranno dare dimostrazione di sapersi riorganizzare in tempi rapidi garantendo la continuità produttiva anche in un contesto obiettivamente molto difficile come quello cui andiamo incontro. L’aspetto procedurale e formale non risulterà tuttavia secondario e l’assistenza professionale nella predisposizione e revisione dei protocolli e modelli organizzativi aziendali, nonché nelle attività di formazione risulterà essenziale, sia ai fini del contrasto alla diffusione del virus, sia per la limitazione di responsabilità in capo al datore di lavoro e all’impresa stessa.