16 Aprile 2020

COVID-19 ed inadempimento delle obbligazioni

PATRIZIA PERRINO

Immagine dell'articolo: <span>COVID-19 ed inadempimento delle obbligazioni</span>

Abstract

                                  Aggiornato al 16.04.2020

L'emergenza COVID-19 di questi mesi ha imposto al mercato ed ai cittadini il blocco delle attività produttive ed economiche, con il crollo del fatturato e degli incassi, ed obiettiva  crisi di liquidità. Le imprese ed i soggetti privati sono portati a ritardare o congelare, scadenze, e pagamenti, generando un effetto di contrazione della liquidità di tutto il sistema; un vero  e proprio “liquidity crunch”. Per il giurista il quesito attuale è se l'eccezionale situazione (i divieti imposti dai DPCM in particolare) possa giustificare il mancato o ritardato adempimento delle obbligazioni in scadenza o avere altro rilievo giuridico in ambito contrattuale. Il comma  6-bis dell'art. 3 del D.L. n. 6/2020, come modificato dall'art. 91 del D.L. n.18/2020, introduce una causa tipica di giustificazione

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Per far fronte alle citate difficoltà dei cittadini e degli operatori economici il Governo ha,  emanato, tra gli altri, il Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18 il cui art. 91 (rubricato “Disposizioni in materia ritardi o inadempimenti contrattuali derivanti dall'attuazione delle misure di contenimento e di anticipazione del prezzo in materia di contratti pubblici”) ha aggiunto all'articolo 3 del D.L n. 6/2020, il comma 6-bis, secondo cui “Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.".

Le norme rilevanti ai fini dell’integrazione della fattispecie del comma 6-bis sono solo quelle “di contenimento” adottate dal Presidente del Consiglio e dalle autorità competenti. Viene, quindi, introdotta, con una norma speciale, una causa di giustificazione legislativamente tipizzata  rispetto alle disposizioni codicistiche, che rende giustificabile e scusabile il ritardato o il mancato adempimento delle obbligazioni (peraltro, senza distinzione della natura delle obbligazioni) a condizione che questo sia conseguenza delle misure autoritative per il contenimento dell’epidemia (factum principis). In base a tale previsione, se il Decreto impone ad un soggetto l'interruzione della propria attività lavorativa, ciò non può non rilevare al fine di giustificare un suo inadempimento (poiché appunto“… Il rispetto delle misure di contenimento…è sempre valutato...”). In ogni caso deve sussistere il nesso di causalità tra la misura di contenimento della pandemia che si è dovuta rispettare e l’impossibilità; la prova di tale nesso, fatti salvi eventuali alleggerimenti introdotti dalla giurisprudenza, resta comunque a carico del debitore.

Più esattamente il comma 6-bis prevede che «il rispetto delle misure di contenimento di cui [al] presente decreto è sempre valutato ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c. della responsabilità del debitore». Come è noto l’art. 1218 c.c. prescrive che «Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile», mentre l’art. 1223 c.c. disciplina i danni derivanti dall'inadempimento. Il richiamo di entrambe le norme civilistiche, che disciplinano la responsabilità contrattuale, ha un rilievo ermeneutico importante e ben preciso. Il giudice - alla cui «valutazione» il comma 6-bis espressamente si riferisce - o ritiene che il rispetto delle misure escluda in radice la responsabilità del debitore o valuta che esso, pur non facendo venir del tutto meno la responsabilità del debitore, possa limitare il quantum dei danni da risarcire al creditore; in questo caso, il comma 6-bis funziona come una causa di riduzione del danno, similmente, sebbene differenti i presupposti differenti e limitatamente al periodo emergenziale, a quelle di cui all'art. 1227 c.c..

Inoltre se il giudice ha ritenuto che l'inadempimento del debitore derivi dal rispetto delle misure di contenimento dell'epidemia, tutte le clausole contrattuali legate ad un inadempimento imputabile del creditore non possono essere applicate; la disposizione indica anche le clausole che dispongono «decadenze o penali». La regola deve estendersi in via interpretativa, essendo medesima la ratio, anche alle altre clausole connesse all'inadempimento del debitore (per es. una clausola risolutiva espressa) o al ritardo nell'adempimento (e, dunque, tutte le clausole sugli interessi moratori); sono temporaneamente inutilizzabili anche gli altri rimedi giuridici di autotutela del credito che presuppongono un inadempimento imputabile. (mora del debitore, diffida ad adempiere).

Ed ancora il comma 6-bis, disciplinando una causa straordinaria di giustificazione dell'inadempimento, introduce contestualmente una causa legale di sospensione dell'adempimento ovviamente estranea, quanto ai presupposti, al contesto proprio dell'exceptio inadimpleti contractus ex art. 1460 c.c.; il debitore può legittimamente dichiarare al creditore di sospendere il proprio adempimento in vista dell'osservanza della misure di contenimento, e per tutta la durata di queste. Inoltre se il debitore, per l'osservanza delle misure contenitive, non è incorso in un inadempimento «imputabile» ed è coperto da una causa di giustificazione legislativamente tipizzata, il creditore non può agire per l'adempimento ex art. 1453 c.c.

Il medesimo decreto prevede espressamente anche norme sulla sorte di specifici rapporti contrattuali; contiene una moratoria nel pagamento di rate di mutui e di leasing, il divieto di riduzione degli affidamenti bancari e facilitazioni nell’ottenimento di garanzie creditizie, sospensione del pagamento della rate di mutuo prima casa per lavoratori autonomi e liberi professionisti e numerose altre ipotesi specifiche (art. 5 c.2).

Va evidenziato come per regola generale in tema di inadempimento delle obbligazioni se è vero che, a norma dell’art. 1218 c.c., la colpa del contraente inadempiente si presume, tuttavia, quando ricorrono circostanze obiettivamente apprezzabili, idonee a fare escludere tale elemento soggettivo, qualificante la condotta dell’obbligato, l’inadempimento deve essere ritenuto incolpevole e non possono essere pronunciate né la risoluzione del contratto, né la condanna dell’inadempiente al risarcimento del danno. L'onere della prova grava sempre sul debitore e consiste nella prova dell’esaurimento di tutte le possibilità di adempiere secondo l’ordinaria diligenza

In altre parole, il doveroso rispetto della misura di contenimento, potrà esimere da responsabilità il debitore solo nel caso in cui abbia costituito impedimento all’adempimento non superabile con l’ordinaria diligenza.

Appare comunque chiaro che l’onere della prova per il debitore si profili come semplificato qualora venga dimostrato che l’inadempimento è maturato nel contesto dell’emergenza e per necessità del rispetto delle norme di contenimento.

Va tenuto presente che nel caso di impossibilità temporanea l’art. 1256 c.c. si limita ad escludere, finché detta impossibilità perdura, la responsabilità del debitore per il ritardo nell’adempimento. Pertanto, in via generale, il debitore, cessata la suddetta impossibilità, deve sempre eseguire la prestazione, indipendentemente da un suo diverso interesse economico che può, eventualmente, far valere sotto il profilo dell’eccessiva onerosità sopravvenuta.

Fuori dal perimetro della norma citata l’impossibilità della prestazione derivanti dalla epidemia e le sue conseguenze rientra nelle generali norme codicistiche in tema di obbligazioni.

Da un punto di vista oggettivo il citato art. 91 non fa che specificare, attualizzandoli (e dando quindi valore confermativo e rafforzativo) concetti come “factum principis”, “forza maggiore” e “caso fortuito” che vigono in tema di obbligazioni e che sbiadiscono le contrapposte concezioni oggettiva e soggettiva dell’inadempimento.

Tali istituti giuridici potranno, in ogni caso, vista la loro portata generale, essere invocati anche al di fuori dell’ambito di diretta applicazione dell’art. 91 del DL. L'art. 79 della Convention on Contracts for the International Sale of Goods (cd. CISG o Convenzione di Vienna)  esonera da responsabilità in caso di forza maggiore e la Camera di Commercio Internazionale prevede la ICC Force Majeure Clause 2003 (ICC Clause) oltre ad una hardship clause (traducibile come eccessiva onerosità sopravvenuta), che menziona espressamente le epidemie.

L’art. 1218 c.c. deve essere coordinato anche con l’art. 1175 c.c., che impone il dovere reciproco di correttezza e determina ciò che il creditore può pretendere e ciò che il debitore deve eseguire. Il ruolo, sempre più rilevante, assunto dal principio generale di buona fede ha inciso sul concetto di prestazione, determinandone una revisione critica che ha indotto la dottrina ad assimilare l’impossibilità sopravvenuta alla ineseguibilità della prestazione.

La giurisprudenza di merito aveva già avuto modo di esaminare gli effetti di epidemie (in sé e in assenza di norme di contenimento) sull’inadempimento delle obbligazioni ritenendole forza maggiore (conformemente anche alle norme sui contratti internazionali): qualora l’epidemia abbia reso l'adempimento di talune prestazioni non impossibile, ma maggiormente oneroso (es. in termini di costi di produzione, di consegna ecc.) potrà essere invocata la “eccessiva onerosità sopravvenuta” ai sensi dell'art. 1467 cc. Ma ciò consente solo la risoluzione del contratto da parte del debitore e non giustifica l’inadempimento.

Potrebbero essere invocati anche i principi di correttezza, di buona fede e di solidarietà sociale per i quali il creditore sarebbe precluso esigere la prestazione: la giurisprudenza riconosce, nell’ambito di una lettura costituzionalmente orientata della normativa sui contratti, l’esistenza di "doveri di solidarietà" nei rapporti intersoggettivi (art. 2 Cost.). La Corte costituzionale ha già, in particolare, desunto "l'esistenza di un principio di inesigibilità come limite alle pretese creditorie" (cfr. sent. n.19-1994) che, insieme al canone generale di buona fede oggettiva e correttezza (artt. 1175, 1337, 1359, 1366, 1375 c.c.), gli attribuisce forza normativa e contenuti positivi, inglobanti obblighi strumentali di “protezione” di controparte, funzionalizzando così il rapporto obbligatorio alla tutela anche dell'interesse altrui con il limite delle tutela dell'interesse proprio dell'obbligato.

L’art 91 del D.L. 18/202  è, quindi, una norma speciale che rafforza norme generali contenute nell’ordinamento; salve, quindi, gli aspetti delle diverse  e singole fattispecie concrete, con tale norma si è voluto evitare che i debitori si trovino a subire gli effetti di impedimenti non imputabili alla loro sfera di rischio, prevenendo azioni e richieste dei creditori insoddisfatti attraverso una disposizione (il comma 6-bis) che applica i principi di solidarietà sociale ed emergenziale.

 

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