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Il rinvio dell’entrata in vigore del Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza
L’art. 5 del Decreto Liquidità ha disposto che l’entrata in vigore del CCI, prevista nell’agosto 2020, sia differita al 1 settembre 2021. Pertanto, del CCI allo stato sono in vigore unicamente le modifiche al codice civile introdotte il 16 marzo 2019 (per una disamina di tali modifiche si rinvia a https://www.4clegal.com/opinioni/modifiche-diritto-societario-apportate-nuovo-codice-crisi-dimpresa-dellinsolvenza-0 ).
Le ragioni del differimento vanno individuate essenzialmente: (i) nell’esigenza di “evitare un salto nel buio” e affrontare così l’impatto dell’attuale crisi con uno strumento normativo conosciuto e collaudato, qual è la legge fallimentare vigente; (ii) nei dubbi circa l’opportunità di applicare nel nuovo scenario di crisi globale le “misure di allerta” (la principale novità introdotta dal CCI), la cui funzione di fare emergere anticipatamente l’insolvenza dell’impresa presuppone un quadro economico stabile.
Resta da valutare se, oltre alle predette (e comprensibili) motivazioni, la scelta di differirne l’entrata in vigore non sia determinata anche dall’incertezza sull’idoneità della disciplina del CCI a favorire il risanamento delle imprese in difficoltà a prescindere dall’attuale situazione di emergenza. Imprenditori e professionisti hanno, infatti, criticato la riforma sottolineando che la stessa si è discostata dai principi della legge delega e ha introdotto una disciplina “dirigistica” tesa a limitare eccessivamente la discrezionalità del debitore a favore di una prematura etero-direzione dell’impresa a vantaggio dei creditori. Le critiche maggiori sono state avanzate per la “macchinosità” della procedura di allerta e il funzionamento dell’OCRI (si dubita, in particolare, dell’opportunità di nominare un collegio di tre esperti, di cui uno designato dal presidente del Tribunale competente, uno scelto tra gli elenchi delle associazioni di categoria e uno designato dal presidente della camera di commercio locale), l’eccessivo ridimensionamento del concordato preventivo, la mancata riforma della disciplina dell’amministrazione straordinaria e il mancato coordinamento del CCI con la direttiva UE n. 2019/1023 (c.d. Insolvency) approvata nel giugno 2019.
La “sospensione” degli obblighi di ricapitalizzazione delle imprese
L’art. 6 del Decreto Liquidità ha previsto che, dal 9 aprile al 31 dicembre 2020, non si applichino le norme che prevedono l’obbligo di deliberare la riduzione del capitale sociale per perdite oltre 1/3 e, in caso di perdite oltre il minimo legale, la riduzione e la successiva ricapitalizzazione (art. 2446, 2° e 3° c., 2447, 2482-bis, 4°, 5° e 6° c. e 2482-ter c.c.). Il medesimo art. 6 dispone correlativamente che la riduzione del capitale al di sotto del minimo legale non costituisce causa di scioglimento della società di capitale.
La sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione (e di messa in liquidazione) non è nuova nel nostro ordinamento in quanto opera già per le imprese in crisi nel periodo tra la data di deposito della domanda di ammissione al concordato preventivo o di deposito del ricorso per l’omologa di un accordo di ristrutturazione e la relativa omologa (art. 182-sexies l.f.). Anche la disciplina delle start-up innovative (art. 26 D.L. 179/2012) posticipa di un esercizio sociale l’applicazione della disciplina sulla riduzione del capitale sociale e lo scioglimento per mancata ricapitalizzazione proprio per agevolare il superamento di eventuali difficoltà durante la fase di avvio.
Nel caso in esame, la ratio della sospensione è di evitare che, a causa dell’eccezionale crisi economica dettata dall’emergenza sanitaria, gli amministratori siano costretti, in mancanza di una ricapitalizzazione da parte dei soci, ad accertare lo scioglimento e mettere indiscriminatamente in liquidazione società che, prima dell’emergenza, operavano in condizioni di piena continuità. La “sospensione” introdotta dal Decreto Liquidità non fa peraltro venire meno l’obbligo degli amministratori di accertare la perdita superiore al terzo, di convocare l’assemblea e sottoporre alla medesima la relazione patrimoniale e le osservazioni dell’organo di controllo ai sensi dell’art. 2446, 1° c, e 2482-bis 1°, 2° e 3° c, cc.. Parimenti, una volta accertata la perdita, gli amministratori dovranno gestire la società tenendo conto del fatto che, a partire dal 1 gennaio 2021, riprenderanno ad applicarsi gli obblighi sulla ricapitalizzazione e sull’accertamento dell’eventuale causa di scioglimento.
La disapplicazione degli obblighi di postergazione dei finanziamenti soci
L’art. 8 del Decreto Liquidità ha disposto la non applicazione degli obblighi di postergazione dei finanziamenti soci effettuati tra il 9 aprile e 31 dicembre 2020 previsti dagli articoli 2467 e 2497 c.c. (art. 8). L’art. 2467 c.c. dispone che il rimborso di finanziamenti concessi dai soci a favore della società in presenza di “un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento” è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e “se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento deve essere restituito”.
Pertanto, la previsione ha chiaramente la finalità di incentivare i soci a finanziare le imprese anche in presenza di una situazione di crisi evitando di subire la postergazione rispetto agli altri creditori sociali o di dover restituire il rimborso di tale finanziamento nel caso questo sia avvenuto nell’anno antecedente all’eventuale dichiarazione di fallimento.
Le altre modifiche alla legge fallimentare introdotte dal Decreto Liquidità
Sempre per fare fronte all’emergenza sanitaria, il Decreto Liquidità ha introdotto, tra l’altro, le seguenti modifiche:
(a) ha prorogato di sei mesi il termine per l’adempimento dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione già omologati aventi scadenza tra il 23 febbraio 2020 e il 31 dicembre 2021 (art. 9, c. 1);
(b) ha previsto la facoltà di chiedere, per le procedure pendenti, la concessione di un termine non superiore a 90 gg. per il deposito di un nuovo piano e di una nuova proposta di concordato ex art. 161 L.F. o di un nuovo accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.f. (art. 9, c. 2);
(c) ha previsto, sempre per le procedure pendenti, la facoltà di modificare sino all’udienza fissata per l’omologa i termini di adempimento di una proposta di concordato o di un accordo di ristrutturazione (ancora da approvare) differendoli fino ad un massimo di sei mesi (art. 9, c. 3);
(d) ha previsto la facoltà per il debitore che ha ottenuto la concessione del termine ex art. 161, 6° c., l.f. (c.d. “concordato in bianco” o “prenotativo”), già prorogato ai sensi della medesima norma dal Tribunale, di chiedere la concessione di un’ulteriore proroga di massimi 90 gg. da motivarsi con specifico riferimento all’emergenza sanitaria COVID-19 (art. 9, c. 3);
(e) ha previsto che i ricorsi per ottenere la dichiarazione di fallimento di un debitore depositati nel periodo tra il 9 marzo 2020 e il 30 giugno 2020 siano improcedibili (art. 10).
Le modifiche da (a) a (d) sono all’evidenza finalizzate a salvaguardare le procedure di concordato e gli accordi di ristrutturazione (nelle loro varie fasi) dalle probabili conseguenze pregiudizievoli determinate dall’emergenza sanitaria. La modifica sub (e) è invece finalizzata ad evitare di sottoporre le imprese al rischio di una dichiarazione di fallimento che potrebbe rivelarsi “prematura” in quanto determinata dall’incertezza sull’effettiva durata e magnitudine della crisi e a rendere meno gravoso il carico di lavoro degli uffici giudiziari, tenuto conto anche del loro ridotto funzionamento.