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La L. 160/2019 ha innovato sensibilmente le procedure per la riscossione dei tributi locali, introducendo il c.d. avviso di accertamento esecutivo anche in tale settore, mutuandone la disciplina dal sistema introdotto a livello nazionale all’indomani dell’entrata in vigore del D.L. 69/2013.
L’art. 1, co. 792, della predetta legge ha previsto che tutti i provvedimenti emessi dal 1° gennaio 2020 devono contenere gli elementi utili da costituire titolo esecutivo già allo scadere dei sessanta giorno dalla loro notifica, con possibilità di ricorso entro lo stesso termine per i contribuenti.
Al contempo, la presentazione di ricorso avverso l’accertamento esecutivo non sospende ex se l’esecutorietà di tale provvedimento, esponendo il contribuente all’adozione di misure cautelari volte a facilitare il recupero del credito.
Tale innovazione ha così portato all’estensione, in favore degli enti locali, dei poteri cautelari già attribuiti all’Agente delle riscossione, primo fra tutti la costituzione di ipoteca cautelare ai danni dei contribuente.
Tuttavia, la novità legislativa ha portato con sé vecchie problematiche, nel tempo evidenziate in maniera convergente dalle giurisdizioni di merito e dagli operatori del diritto, che peraltro risultano oggi aggravate dall’assottigliamento del procedimento di riscossione coattiva.
Le amministrazioni, infatti, si sono spesso dimostrate poco solerti ed imprecise nel compimento delle attività preliminari ed istruttorie, esponendo cittadini ed imprese a notifiche di avvisi di accertamento del tutto carenti o addirittura deficitarii sotto tale profilo.
Siffatte problematiche sono evidenti ove si prenda in considerazione la tematica della c.d. ipoteca esattoriale.
Non è infrequente, infatti, che l’Agente della riscossione ometta o ritardi di cancellare la formalità ipotecaria nonostante l’annullamento del titulus da parte dell’autorità giudiziaria, ovvero la riduzione “sotto-soglia” della pretesa creditoria.
Tali omissioni e ritardi risultano ancor più gravi ove si tengano in considerazione le plurime conseguenze dannose che discendono in capo al cittadino ed alle imprese a causa delle iscrizioni ipotecarie effettuate in via cautelare, data la retroattività dell’iscrizione della stessa e, non meno importante, i pregiudizi per la commerciabilità del bene.
A tal riguardo, l’iscrizione (o mancata cancellazione) di ipoteca comporta effetti pregiudizievoli che travalicano l’interesse del singolo, arrivando a compromettere l’interesse dell’intera collettività all’efficiente allocazione ed utilizzo delle risorse economiche e dei beni produttivi.
Il regime pubblicitario che caratterizza la costituzione dell’ipoteca, poi, aggrava notevolmente tali conseguenze pregiudizievoli allorquando ad esserne colpite siano le imprese, che spesso subiscono non solo danni di tipo patrimoniale, ma anche perduranti danni di immagine e perdita della capacità concorrenziale.
In virtù di tali considerazioni, la giurisprudenza di merito e di legittimità si è dimostrata particolarmente incline di fronte alle domande di risarcimento danni esperite dai contribuenti o dalle imprese.
Punto di partenza delle riflessioni oggi in commento è che l’ente impositore non si sottrae alla regola generale del neminem laedere, della cui violazione è competente a giudicare il G.O. ove la pubblica amministrazione leda un diritto soggettivo (Cass. Civ., S.U., Ordinanza n. 15593 del 09.07.2014 e Cass. Civ., Sent. n. 20426 dell’11.10.2016)
D’altronde, tale orientamento appare consolidato alla luce dell’influenza del diritto sovranazionale e dall’attuale formulazione dell’art. 30 c.p.a., dai quali si desume la possibilità che la responsabilità aquiliana possa scaturire anche da un provvedimento amministrativo (o persino legislativo), oltre che da un fatto o un atto compiuto iure privatorum (Cass. Civ., SS.UU., Sent. n. 15 del 04.01.2007).
Ai fini di una più compiuta disamina della tematica in trattazione, va però compiuta una netta distinzione a seconda della tipologia di danno subito.
Come già evidenziato, i danni patrimoniali causati dalle iscrizioni ipotecarie sono spesso rappresentati dalla mancata disponibilità dei beni, dal loro deprezzamento, nonché dalle connaturate preclusioni alla commerciabilità degli stessi.
Come è facile intuire, elementi di valutazione del quantum del danno sono rappresentati dalla destinazione economica cui erano improntati i beni oggetto di iscrizione ipotecaria, anche in ragione dell’eventuale attività professionale svolta da chi vanti sugli stessi il diritto reale compresso dalla misura cautelare esattoriale.
Sul punto, particolarmente significativo quanto statuito dalla S.C. con la recente sentenza n. 22267 del 2020 che, in tema di quantificazione del danno, ha evidenziato il carattere “permanente” dannoso dell’illecita iscrizione o la mancata cancellazione di ipoteca, idoneo a creare un danno tanto maggiore quanto perduri il fatto contra ius.
Da ciò deriva, inoltre, che il dies a quo dal quale computare il termine di prescrizione va identificato con il termine di cancellazione dell’ipoteca e non con quello di iscrizione.
A ciò si aggiunga che l’imprudente od illegittima iscrizione - nonché la mancata cancellazione od omessa riduzione di ipoteca c.d. esattoriale - ben può rappresentare un evento lesivo di interessi fondamentali o di diritti costituzionali, con conseguente diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti dalla persona fisica o giuridica.
Nondimeno, la giurisprudenza di merito ha spesso dimostrato di trascurare la differenza di regime giuridico cui è sottoposto il risarcimento del danno non patrimoniale - improntato a tassatività ex art. 2059 c.c. - rispetto al danno patrimoniale.
Non è infrequente, infatti, rinvenire pronunzie di merito ove si accorda alla parte attrice il risarcimento del danno non patrimoniale subito, a seguito di iscrizione o mancata cancellazione di ipoteca, in considerazione della lesione alla “libera disponibilità dei beni” o della “incommerciabilità del bene”.
Ebbene, se certamente tale atto od omissione dell’ente accertatore può rappresentare causa idonea al sorgere di un danno patrimoniale, lo stesso non può dirsi per quello non patrimoniale, che abbisogna di un quid pluris, quale è la prova di una lesione di interessi fondamentali o costituzionali, espressione della dignità e l’essenza dell’uomo.
Dirimente quanto riportato nella Sentenza n. 10814 del 2020 della Sez. 3, Cass. Civ., nella quale si annullava con rinvio la sentenza n. 787/2016 della Corte d’Appello di Bari, perché basata sull’errato convincimento che il danno non patrimoniale potesse configurarsi alla luce della mera lesione di “un generale diritto alla libera disponibilità dei beni” (cfr. anche Cass. Civ., Sent. n. 6598 del 07/03/2019).
Evidente, pertanto, che condizione necessaria ed imprescindibile per l’accoglimento della domanda risarcitoria del danno non patrimoniale è la prova della lesione di un diritto riconducibile all’art. 2 Cost., ovvero ad altro fondamentale riconosciuto come tale dalla legge, nonché del relativo nesso di causalità fra l’omessa cancellazione (o riduzione) dell’ipoteca esattoriale ed il danno non patrimoniale.
Tale orientamento risulta oggi predominante, oltre che consolidato (cfr., da ultimo, Cass. Civ., Sez 3, Sent. n. 27950 del 2020; nonché Cass. Civ., Sez. 3, Sent. n. 3565 del 11.02.2021).
A tal riguardo, non mancano pronunzie di particolare interesse ove si è riconosciuto al contribuente il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale – sub forma del danno biologico.
È il caso della Sent. n. 3031 del 15.07.2013 emessa dal Giudice di Pace di Lecce, nella quale venne ritenuto sussistente il nesso causale tra l’illegittima iscrizione ipotecaria e la comprovata sussistenza di uno stato patologico da stress acuto (reazione traumatica da stress) prodotto nella parte attrice.
In considerazione della menomazione della competitività relazionale del soggetto leso dall’iscrizione (o mancata cancellazione) dell’ipoteca esattoriale, notevolmente più frequente è il riconoscimento del danno c.d. esistenziale.
Poiché il danno esistenziale è ormai pacificamente come un vero e proprio peggioramento della vita di relazione dovuto al fatto illecito altrui e non sfociante in malattia, esso è stato ritenuto sussistente dai giudici di merito in numerose occasioni, anche con una certa inventiva.
D’altronde, la casistica dimostra che colui che è stato oggetto di “una aggressione patrimoniale illegittima” subisce danni non solo in termini di perdita economica, ma anche e soprattutto in termini di ansia, stress patemi d’animo, perduranti nel tempo.
A tal riguardo, va detto che in diversi casi i Giudici di merito hanno riconosciuto come sussistente il danno non patrimoniale derivante dal notevole tempo trascorso dal contribuente presso gli uffici dell’A.F. per risolvere i problemi ingiustamente causati dall’illegittima iscrizione ipotecaria.
In particolare, tale circostanza assumerebbe i connotati di un vero e proprio peggioramento della qualità di vita, oltre che causa di stress e patemi d’animo per le lungaggini sopportati, a causa del mancato impiego di quel tempo in attività realizzatrici della propria persona, oltre che per attività econocamente più reddittizie (cfr. Giudice di pace Napoli, Sent. del 13.07.2007; Tribunale di Venezia, Sent. del 23.04.2007).
A sostegno di tale tesi, è possibile altresì evidenziare che la necessità di godere di tempo libero è oggi ritenuta attività pienamente meritevole di tutela.
D’altronde, come segnalato da autorevole dottrina (Chindemi) «nella società moderna il tempo libero rappresenta un valore dell'uomo garantito ex art. 2 Cost., che merita senza dubbio di essere ristorato qualora venga ingiustamente compresso a motivo di condotte caratterizzate da grave negligenza, neghittosità, spocchiosità dei dipendenti della agenzia delle Entrate».
In questo senso, secondo l'autore citato, «in analogia con la giurisprudenza amministrativa che riconosce il c.d. danno da ritardo, anche quella civile dovrebbe ristorare la ingiusta compressione delle attività realizzatrici della persona quali quelle svolte nel proprio tempo libero , cagionata dal fatto illecito altrui».
Più tradizionale, ma non per questo meno degno di nota, appare l’orientamento accolto dalla giurisdizione di merito circa il risarcimento del danno arrecato dall’iscrizione esattoriale al buon nome, alla riservatezza ed immagine nell’ambiente sociale ( Cass. Civ., Sez. 3, Ord. n. 4005 del 18/02/2020, Rv. 657006 - 01).
È innegabile, invero, che questi ultimi siano valori riconosciuti e tutelati dal nostro ordinamento, perché riconducibili all’art. 2 e 22 della Carta costituzionale e, soprattutto, espressione della dignità della persona (Giudice di Pace di Salerno, Sentenza del 11.05.2015, che richiama Cass. Civ., sez. I, sentenza 28.06.2006 n. 14977).
D’altronde, l’abuso del diritto da parte di una pubblica amministrazione spesso distratta e poco sensibile all’instaurazione del contraddittorio, cui fa da cassa di risonanza una certa parte della stampa sensazionalistica, ha causato e continua a causare gravi conseguenze per quanti, in anni di lavoro, hanno costruito l’avviamento su cui si regge la propria attività lavorativa, i cui danni vanno ben oltre quelli economici immediatamente causati dall’adozione di misure cautelari esattoriali poco accorte od avventate.