28 Marzo 2024

Il dolo dei reati omissivi tributari nella recente giurisprudenza di legittimità

GABRIELE FILIPPO

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Abstract

La recente giurisprudenza di legittimità in tema di reati omissivi tributari offre spunti di riflessione interessanti sul rispetto dei criteri di accertamento del dolo.

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I reati tributari sono punibili esclusivamente a titolo di dolo. Il fatto, oltre che tipico, deve essere cioè anche colpevole. Il dolo non può desumersi dal fatto tipico e dall’accertamento tributario; non può ravvisarsi cioè in re ipsa – “nella cosa stessa” – ma deve essere oggetto di specifica indagine e valutazione.

Sul rispetto dei criteri di accertamento del dolo è la recente giurisprudenza di legittimità in tema di reati omissivi tributari a offrire spunti di riflessione interessanti.

Questione complessa è l’accertamento del dolo in capo al prestanome in relazione al reato di omessa dichiarazione di cui all’art. 5 del d.lgs. 74/2000.

 

Concorso nel reato omissivo tributario tra prestanome e amministratore di fatto

Più precisamente ci si chiede se, a quale titolo e a quali condizioni possa configurarsi un concorso tra prestanome e amministratore di fatto.

Non vi sono obiezioni in astratto al fatto che l’amministratore di diritto e quello di fatto concorrano nel reato omissivo tributario.

Il concorso non si configura però come mancato impedimento dell’evento ai sensi dell’art. 40 c.p.: “trattandosi di reato omissivo proprio posto in essere da persona qualificata dall'obbligo di adempiere entro il termine previsto, le condotte precedenti la scadenza del termine sono estranee alla fattispecie tipica e non hanno rilevanza alcuna, nemmeno ai fini del tentativo punibile (che autorevole dottrina pur ritiene possibile nel remoto caso in cui l'obbligato si ponga in anticipo nella materiale condizione di impossibilità di non adempiere, per esempio affrontando un lungo viaggio). Ne consegue che la volontà dell'omissione deve sussistere solo ed esclusivamente al momento della scadenza del termine. Le condotte antecedenti e successive possono rilevare esclusivamente a fini di prova del dolo, non come frazioni dell'unica condotta omissiva” (Cass. sez. III, 16.12.2022, n. 20664).

Il reato omissivo è commesso dall’amministratore di fatto mentre quello di diritto concorre nel reato omissivo proprio del primo: in altre parole, l’autore principale è chi gestisce di fatto la società in quanto titolare effettivo della gestione sociale e, pertanto, nelle condizioni di poter compiere l’azione dovuta (Cass. sez. II, 19.10.2022, n. 43968).

 

La Cassazione sull’elemento soggettivo del concorso nel reato omissivo

Non mancano alcune criticabili pronunce di legittimità che sembrano ricostruire il concorso sotto il profilo dell’elemento soggettivo quale omesso controllo ai sensi dell’art. 40 c.p.

La giurisprudenza di legittimità afferma ripetutamente che il prestanome, accettando la carica, assume anche i rischi connessi esponendosi alle conseguenze derivanti dalla gestione effettuata dall’amministratore di fatto (Cass. pen., sez. III, 23.11.2022, n. 13090). Di conseguenza, secondo tale orientamento, la prova del dolo può desumersi anche dal complesso dei rapporti tra la testa di legno e il gestore di fatto della società.

Alcune recenti pronunce richiedono invece un’indagine maggiormente rigorosa: il giudice deve chiarire per quali specifiche ragioni il contributo causale possa essere attribuito a titolo di dolo, anche nella forma del dolo eventuale, e non essere dipeso da negligenza o imperizia o disinteresse (cfr. Cass. sez. IV, 5/7/2023, n. 31882).

Deve cioè indagarsi da un lato la consapevolezza in capo al prestanome circa l’omessa dichiarazione da parte dell’amministratore di fatto, dall’altro la consapevolezza che l’omesso adempimento fosse finalizzato all’evasione dell’imposta.

È infatti il dolo di evasione che esprime il disvalore penale della condotta e restituisce alla fattispecie la sua funzione selettiva di condotte offensive rispetto agli illeciti amministrativi: “al legislatore penale non interessa il recupero del gettito fiscale ma della persona. Il dolo specifico di evasione, per la sua forte carica intenzionale, segna il punto di frattura più grave tra l'atteggiamento antidoveroso dell'autore del fatto illecito, l'ordinamento giudico ed il bene protetto, un punto di non ritorno che giustifica il sacrificio della inviolabilità della libertà personale in considerazione del livello di aggressione al bene e della funzione rieducativa della pena. È proprio questo scopo che nei reati in materia di dichiarazioni fiscali giustifica, rispetto agli omologhi illeciti amministrativi, la reazione punitiva dello Stato e ne spiega la rilevanza penale che si giustifica solo in costanza di condotte poste in essere nella deliberata ed esclusiva intenzione di sottrarsi al pagamento delle imposte nella piena consapevolezza della illiceità del fine e del mezzo” (Cass. sez. III, 16.12.2022, n. 20664).

La stessa questione si pone in caso di affidamento della gestione fiscale a un professionista da parte dell’amministratore della società.

Recentemente la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la condanna pronunciata in primo grado e confermata in appello dell’amministratore che aveva conferito incarico agli adempimenti fiscali a un consulente affermando che “la prova del dolo specifico di evasione non deriva dalla semplice violazione dell’obbligo dichiarativo né da una culpa in vigilando sull’operato del professionista che trasformerebbe il rimprovero per l’atteggiamento antidoveroso da doloso in colposo, ma dalla ricorrenza di elementi fattuali dimostrativi che il soggetto obbligato ha consapevolmente preordinato l’omessa dichiarazione all'evasione dell'imposta per quantità superiori alla soglia di rilevanza penale” (Cass. sez. III, 24.10.2023, n. 6820).

In conclusione, i principi affermati da alcune pronunce sono estremamente importanti perché permettono di ricostruire il dolo nei reati tributari in termini rigorosi senza ricorrere a schemi presuntivi che di fatto riconducono l’illecito penale agli illeciti fiscali amministrativi.

 

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