01 Marzo 2018

Il drastico calo dei nuovi Voucher tra dubbi e titubanze

MAURIZIO VICINO

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Abstract

Il lavoro accessorio ha rappresentato una forma regolare di “piccoli” lavori. L’attuale formulazione, intrisa di vincoli e rigidità, sta di fatto ingessando uno strumento a detta di tutti utile e prezioso.

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Come noto, con D.L. 17 marzo 2017, n. 25, convertito con L. 20 aprile 2017, n. 49, sono stati soppressi i voucher, strumento che serviva per retribuire il lavoro accessorio, il quale negli ultimi anni era letteralmente esploso nel mercato del lavoro Italiano.

Difatti i dati forniti dall’INPS all’inizio dell’anno scorso registravano 400.000 lavoratori coinvolti nel lavoro occasionale. Effetto di una spiccata emersione del “lavoro nero” in agricoltura, nonché nella piccola e media impresa e nel settore turistico.

Il forte successo del lavoro accessorio era dovuto soprattutto per la sua semplicità, economicità e duttilità, caratteristiche graditissime ai committenti.

Ad oggi, tuttavia, il numero di contratti è sceso vorticosamente a 49.000 lavoratori.

Com’è oggi il lavoro accessorio

Vediamo come la l. 49/2017 ha rivoluzionato il lavoro accessorio.

Ad oggi non si può più parlare di “voucher” (dismessi dal 10 luglio 2017) ma di «Presto», nome che allude al contratto di prestazione occasionale.

L’Inps con circolare 107/2017 ha indicato le regole operative per l’utilizzo del nuovo lavoro occasionale, da attivare sulla piattaforma telematica dell’Inps.

Il lavoro accessorio è stato diviso in due diverse forme contrattuali:

  1. Il libretto famiglia (teso a regolamentare il lavoro domestico, se il datore di lavoro è una persona fisica non nell’esercizio di impresa o di libera professione);
  2. Il contratto di prestazione occasionale per gli altri datori di lavoro.

Gli importi minimi di retribuzione per il «Presto» utilizzabile dalle famiglie resta di 10 euro (di cui netti al lavoratore 8 euro ed i restanti due euro così divisi: 1,65 euro di contributi previdenziali, 0,25 euro di premio INAIL e 0,10 di oneri gestionali).

Per quanto riguarda il contratto di prestazione occasionale, che deve essere utilizzato da tutti i soggetti “non famiglie”, il compenso minimo orario è di 9 euro, ma si dovranno pagare almeno 36 euro, cioè il corrispettivo di quattro ore, anche se quelle effettivamente lavorate saranno meno. Ai 9 euro va aggiunto il 33% di contribuzione INPS (2,97 euro), 3,5% di premio INAIL (3,2 euro) arrivando così a 12,29 euro. Su questo importo, precisa ancora l’INPS, si applica l’1% di oneri di gestione che fanno salire il costo totale minimo orario per l’utilizzatore a 12,41 euro.

Il limite massimo che ogni lavoratore può incassare tramite i nuovi “presto” è di 5mila euro all’anno, con un limite di 2.500 per singolo utilizzatore. Quest’ultimo, a sua volta, non può erogare più di 5mila euro di compensi all’anno sommando tutto il personale coinvolto. Tali importi sono riferiti al netto incassato dal lavoratore, quindi senza contributi, premi e commissioni.

I vincoli e la procedura telematica

Ad oggi il nuovo sistema ha “rottamato” il tagliando cartaceo e ha creato un doppio binario per famiglie e imprese, con sanzioni salate in caso di violazioni per evitare gli abusi.

Un primo limite circoscrive la platea delle imprese a quelle fino a 5 dipendenti.

In agricoltura si possono impiegare solo pensionati, studenti under 25, disoccupati e percettori di prestazioni di sostegno del reddito.

Inoltre vige l’espresso divieto per le imprese dell’edilizia e settori affini e per appalti di opere e di servizi.

Ci sono, poi, dei tetti alle ore lavorate (280 all’anno).

Oltre a tali limiti, la procedura di attivazione telematica sul portale dell’INPS non aiuta. Infatti bisogna necessariamente registrarsi ed ottenere il pin dispositivo o in alternativa le credenziali della SPID o Carta Nazionale dei Servizi.

Alla piattaforma digitale si sono finora registrati quasi 17 mila lavoratori occasionali, ai quali l’INPS accredita (sempre via web) i compensi e inoltra i contributi assicurativi all’INAIL, oltre a trattenere i costi di gestione. Di questi, 1.864 hanno lavorato per le famiglie per un totale di 17 mila giorni e compensi netti per circa 526 mila euro. In media 9 giorni di lavoro e circa 300 euro di compenso netto per lavoratore.

La quota maggiore, invece, ha lavorato per le imprese: 14.800 “prestatori” per 93 mila giorni di lavoro e compensi totali netti di 4,5 milioni.

I pagamenti avvengono il 15 del mese successivo (10.890 i prestatori pagati a ottobre, per 2,2 milioni di euro), con accredito delle somme su conto corrente bancario/postale, libretto postale, carta di credito o tramite bonifico domiciliato che si può incassare in Posta.

I primi dati sull’utilizzo dei nuovi voucher, insomma, sono lo specchio di un iter molto più articolato rispetto a quello richiesto per i vecchi buoni che si potevano acquistare dal tabaccaio.

Ma dove sono finiti i lavoratori che in precedenza venivano impiegati con i vecchi voucher? Una parte può essere rintracciata tra gli assunti a tempo determinato, dove appare significativo l’incremento dei contratti di somministrazione (+20,4% secondo l’INPS) e ancor più quello dei contratti a chiamata che, con riferimento all’arco temporale gennaio-luglio, sono passati da 112mila (2016) a 251mila (2017), con un aumento del 124,7%.

Dopo i primi due mesi di operatività della nuova disciplina sul lavoro occasionale appare utile fare una riflessione sui risultati ottenuti.

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Il funzionamento del sistema e le prime esperienze degli operatori dimostrano che il drastico crollo del lavoro occasionale è la conseguenza di norme tese alla riduzione del fenomeno del lavoro precario, svantaggiando di fatto nuove opportunità di lavoro a favore del lavoro irregolare.

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