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La legge 19 ottobre 2017 n. 155 nel conferire al Governo la delega ad apportare rilevanti modifiche a tutto il sistema della legge fallimentare (e non solo), laddove enuncia i principi ai quali l’organo delegato dovrà attenersi nel modificare la c.d. “procedura di liquidazione giudiziale”(vecchia procedura fallimentare), introduce un precetto apparentemente limitato ad incidere sull’estensione della competenza funzionale del Tribunale Fallimentare ma che, invero, assume rilevanza sostanziale in ordine alla limitazione del potere riservato al debitore/creditore del fallito di opporre all’azione recuperatoria del credito avviata dal curatore l’eccezione di compensazione disciplinata dall’art. 56 legge fallimentare.
L’art. 7.8 della legge n.155/2017 stabilisce che “il sistema di accertamento del passivo è improntato a criteri di maggiore rapidità, snellezza e concentrazione, adottando misure diretta a […] attrarre nella sede concorsuale l’accertamento di ogni credito opposto in compensazione ai sensi dell’art. 56 del regio decreto 16 marzo 1942 n. 267”.
L’art. 56 l.f. stabilisce che: “I creditori hanno diritto di compensare coi loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento. Per i crediti non scaduti la compensazione tuttavia non ha luogo se il creditore ha acquistato il credito per atto tra vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno anteriore.” La norma introduce una deroga ai principi generali sanciti dall’art. 1243 c.c. legittimando la compensazione anche tra crediti e debiti inizialmente non “omogenei” (ovvero parimenti certi, liquidi ed esigibili), ma che lo diventino al momento della pronuncia giudiziale, purché per entrambi i crediti oggetto di compensazione sia anteriore alla dichiarazione di fallimento il “fatto genetico” della situazione giuridica estintiva delle obbligazioni contrapposte (in tal senso Cass. SU 775/1999; Cass. 21784/15).
In base ai summenzionati principi la giurisprudenza – fino appunto all’entrata in vigore della legge n. 155/2017 – ha giudicato ammissibile l’accertamento della compensazione anche al di fuori della procedura di verifica dei debiti del fallito (artt. 93 e segg. l.f.) e, quindi, davanti agli organi giudiziari e secondo il rito ordinario, laddove l’eccezione di compensazione venga azionata (anche in prevenzione) dal creditore/debitore del fallito per “paralizzare” l’azione recuperatoria del curatore fallimentare (quindi in forma di eccezione, e non di domanda, riconvenzionale: in tal senso in ultimo Cass, 28 settembre 2016 n. 19218).
Intento della riforma introdotta dall’art. 7.8 della legge n. 155/2017 è, invece, proprio quello di disattendere e revocare tale orientamento (cfr. relazione presentata alla Camera dei Deputati sul progetto di l.155/2017: attrarre alla sede concorsuale l’accertamento di ogni credito opposto in compensazione ex art. 56 l.f. La compensazione attualmente può avvenire anche in sede giudiziale, con pronuncia intervenuta dopo l’apertura della procedura concorsuale).
L’impatto processuale e sostanziale delle modifiche introdotte
La modifica introdotta dall’art. 7.8 della legge 155/2017 pone – ad oggi non risolte – problematiche non solo processuali ma anche sostanziali in ordine alla contrazione del diritto di difesa del debitore/creditore del fallito. Si pensi all’ipotesi, tutt’altro che remota, in cui il curatore del fallimento agisca in sede ordinaria nei confronti del debitore/creditore ottenendo un decreto ingiuntivo (magari provvisoriamente esecutivo) presentando il ricorso davanti ad un Tribunale competente per territorio (es. ove ha sede o residenza il debitore/creditore) diverso da quello fallimentare, il tutto nelle more del termine previsto per l’esame dell’eccezione di compensazione formulata dallo stesso debitore/creditore del fallito nei modi e termini di cui all’art. 93 l.f.; quest’ultimo, al fine di impedire il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo, sarebbe costretto a proporre opposizione nei termini di legge, introducendo anche davanti al giudice dell’opposizione ex art. 645 c.p.c. l’eccezione di compensazione; eccezione però destinata ad essere dichiarata inammissibile dal giudice dell’opposizione alla stregua dell’applicazione dell’art.7.8; né potrebbero trovare applicazione gli artt. 36 o 40 c.p.c. per determinare l’attrazione anche della domanda del curatore in sede fallimentare, sia in ragione della competenza funzionale esclusiva del giudice dell’opposizione, sia soprattutto della considerazione che nel caso si determinerebbe non già un conflitto di competenza bensì di rito (ovvero rito ordinario rispetto al rito ex 93l.f.; si veda in tal senso Cass. S.U. n. 21499/04). Il debitore/creditore non potrebbe neanche invocare l’applicazione della sospensione del giudizio di opposizione ai sensi dell’art. 295 c.p.c. nel caso in cui sia ancora in fase di verifica ex art. 93 l.f. la propria eccezione di compensazione, posto che i provvedimenti resi dal giudice delegato in tale fase non sono idonei a formare giudicato sostanziale, spiegando effetti unicamente nell’ambito della procedura concorsuale (Cass. n. 12823/03); il debitore/creditore del fallito si vedrebbe quindi soggetto al rischio concreto di non avere mezzi di opposizione avverso l’ottenimento da parte del curatore di un titolo esecutivo nei suoi confronti nelle more dalla verifica dell’eccezione di compensazione in sede fallimentare.
Si confida quindi che il legislatore delegato nell’applicazione dell’art. 7.8 l.155/17 introduca anche strumenti processuali atti a risolvere tali problematiche nella salvaguardia dei principi generali di unitarietà ed economia processuale.