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I provvedimenti d'urgenza per la gestione del Coronavirus
Come noto, per fronteggiare l'emergenza Coronavirus, sono stati pubblicati molteplici provvedimenti d'urgenza, volti alla gestione del fenomeno.
Il Legislatore italiano, in particolare, dopo un primo intervento di carattere generale in data 21 febbraio 2020, a fronte del rapido aggravamento della situazione, ha adottato il d.l. 22 febbraio 2020, n. 6, che ha dettato le misure da applicare per fronteggiare l'emergenza, poi concretamente attuate con DPCM in data 23 febbraio 2020 nella c.d. zona rossa (tra cui, Casalpusterlengo, Codogno, Somaglia e Castiglione d'Adda, tra i principali comuni interessati) prevedendo importanti limitazioni, tra cui il divieto di allontanamento dai, e di accesso ai, comuni interessati dal contagio, la chiusura di tutte le attività commerciali nonché la sospensione delle attività lavorative per le imprese. Con ordinanza del Ministero della salute del 23 febbraio 2020 sono state previste analoghe misure, seppure meno stringenti (e.g., chiusura di manifestazioni fieristiche) per l'intera Regione Lombardia.
Il Governo è quindi intervenuto nuovamente con il DPCM in data 1° marzo 2020 e con il DPCM in data 4 marzo 2020, ampliando – quantomeno sotto il profilo geografico – le misure di contenimento. Tra le altre, sono state previste misure volte a sospendere (per la Lombardia, per l'Emilia-Romagna e per il Veneto, oltre che per le province di Pesaro e Urbino e di Savona) o a limitare (per tutto il territorio nazionale, e salvo che non venga rispettata la distanza di sicurezza interpersonale), le manifestazioni organizzate.
Infine, il Legislatore è intervenuto con un ulteriore DPCM in data 8 marzo 2020, con cui ha disposto:
- per la Lombardia e 14 province (Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia), tra le altre, (i) limitazioni all'entrata/uscita dai predetti territori e agli spostamenti "all'interno dei medesimi", salvo "che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute" nonché (ii) la sospensione di "tutte le manifestazioni organizzate, nonché gli eventi in luogo pubblico o privato" e, infine, (iii) la chiusura di palestre, centri sportivi, piscine e centri terminali, centri culturali, sociali e ricreativi, oltre che delle attività di ristorazioni e bar (che possono tuttavia restare aperti fino alle 18:00) e delle "medie e grandi strutture di vendita, nonché gli esercizi commerciali", limitatamente "alle giornate festive e prefestive";
- per tutto il territorio nazionale, tra le altre, la sospensione delle attività di "pub, scuole di ballo, sale giochi, sale scommesse e sale bingo, discoteche e locali assimilati" nonché l'obbligo, per le attività di ristorazione e bar, "di far rispettare la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro".
L'impatto sui contratti pendenti
Seppure la durata delle misure sin qui sinteticamente descritte sia limitata a poche settimane (e sempre che non vengano disposte proroghe), i provvedimenti in esame – il cui filo conduttore è la limitazione, direttamente e/o indirettamente, di molte attività – potrebbero incidere in maniera significativa sulle relazioni economiche e commerciali tra gli operatori del mercato e, segnatamente, sull'esecuzione dei contratti pendenti.
A titolo esemplificativo, nelle aree interessate dai provvedimenti più stringenti, la sospensione degli eventi pubblici potrebbe pregiudicare l'esecuzione dei contratti in dette zone. Basti pensare, al riguardo, ai contratti per l'allestimento dei molteplici eventi ed iniziative nella città di Milano e che potrebbero rientrare tra gli eventi oggetto di sospensione.
Il rimedio generale previsto dal Codice Civile per tale tipologia di situazioni è quello dell'impossibilità sopravvenuta. In sostanza, i provvedimenti d'urgenza potrebbero costituire una causa di impossibilità oggettiva ad effettuare la prestazione. Conseguentemente, il contratto si risolverebbe ed eventuali importi già corrisposti andrebbero restituiti. Ciò implica, evidentemente, che eventuali spese sostenute nelle more resterebbero a carico di chi è incorso nell'impossibilità sopravvenuta. Pertanto, tornando al precedente esempio, eventuali biglietti acquistati per qualsiasi tipo di evento di cui è stata disposta la sospensione (e.g., concerti, spettacoli teatrali) dovrebbero essere rimborsati. Le spese già sostenute per l'organizzazione dell'evento (ad esempio, di marketing) resterebbero, tuttavia, in capo all'organizzatore.
Fermo quanto precede, la tematica presenta in ogni caso diverse zone d'ombra, che è opportuno approfondire. A titolo esemplificativo, l'eventuale cancellazione di un evento potrebbe non giustificare, in sé, la risoluzione per impossibilità sopravvenuta di contratti che attengono solo in senso lato all'evento (pensiamo, ad esempio, alle prenotazioni dei viaggi e alberghi, come pure ad eventi di marketing promossi dai partecipanti all'evento poi annullato). E ancora: lo stesso istituto dell'impossibilità sopravvenuta difficilmente potrebbe essere invocato, anche quando una parte della produzione si svolge nella c.d. zona arancione, interessata dalle misure limitative degli spostamenti, per giustificare inadempimenti connessi alle eventuali difficoltà di approvvigionamento di materiali dovute al generale rallentamento delle attività produttive nel nord del Paese. Lo stesso ragionamento, da una diversa prospettiva, per quelle aziende che vedono un calo della domanda a seguito della riduzione dei consumi nel contesto della zona arancione: eventuali ordinativi (già effettuati nel corso dell'anno) per la produzione - ad esempio, di specifici generi alimentari - difficilmente potrebbero essere risolti invocando l'impossibilità sopravvenuta connessa alla chiusura anticipata di bar e ristoranti nella c.d. zona arancione. Analogamente, nel resto d'Italia, per le limitazioni connesse allo svolgimento di attività in locali pubblici.
A tal fine, potrebbero venire in rilievo altri istituti, quale ad esempio la presupposizione (i.e., quando le parti, nel concludere un contratto, fanno riferimento ad una circostanza esterna attuale o futura, la quale costituisce presupposto del contratto e condizione implicita per l'avveramento dello stesso). Anche in questo caso, tuttavia, le conseguenze sarebbero quelle della risoluzione, viste poco sopra, in punto di ripartizione delle perdite.
Un diverso approccio, fondato sull'obbligo di esecuzione del contratto in buona fede, potrebbe condurre ad una rinegoziazione dei termini contrattuali già pattuiti. Tuttavia, a prescindere dall'esito incerto delle negoziazioni, la possibilità di "obbligare" la controparte ad una rinegoziazione del rapporto potrebbe essere subordinata a previsioni contrattuali in tal senso.
Da quanto fin qui illustrato emerge chiaramente come la diffusione del virus, in uno con i conseguenti provvedimenti di risposta emanati dal Governo italiano, abbia – ed avrà – un impatto rilevante su molti dei contratti pendenti e da eseguirsi nelle aree interessate dall'emergenza. È quindi opportuno procedere ad un esame caso per caso dei contratti pendenti – prendendo in considerazione, tra le altre, il settore economico interessato, la specifica misura governativa che eventualmente impatta sull'esecuzione del contratto e il concreto atteggiarsi del testo contrattuale – al fine di valutare la migliore strategia per scongiurare inadempimenti e/o per evitare di aggravare i danni già occorsi.