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Una recente pronuncia della Suprema Corte (Cass. ord. 23/5/2024 n. 14414) si inserisce nel solco dell’interpretazione delineata dalla Cassazione Sezioni Unite con la Sentenza n. 21970 del 2001. In tale occasione, le Sezioni Unite, risolvendo un contrasto giurisprudenziale circa gli effetti delle fattispecie previste dall'articolo 2501 C.C. – ovvero la fusione mediante incorporazione di una società in un'altra o mediante costituzione di una nuova società – hanno definitivamente sancito la prevalenza dell'orientamento secondo cui la società incorporata è destinataria di un evento estintivo, accompagnato da un effetto devolutivo – successorio.
In virtù di tale effetto, i rapporti giuridici, attivi e passivi, di cui era titolare la società incorporata o fusa vengono trasferiti a un diverso soggetto giuridico, costituito dalla società incorporante o da quella risultante dalla fusione.
L’interpretazione accolta dalle Sezioni Unite ha conseguenze anche sul piano processuale, determinando la perdita della legittimazione processuale attiva e passiva della società incorporata, come ripetutamente stabilito dalla Cassazione, in particolare con le decisioni rese dalle Sezioni Semplici (n. 9137/202 e n. 5640/2020).
Tuttavia, la giurisprudenza della Corte non aveva ancora esaminato in modo esaustivo il rapporto tra l’effetto estintivo della società incorporata (o fusa) e l’applicazione dell'art. 10 della Legge Fallimentare – oggi riprodotto nell'art. 33 del C.C.I.I.. Questa norma prevede che il fallimento (oggi liquidazione giudiziale) dell’impresa possa essere dichiarato anche dopo la cessazione dell'attività del debitore, purché non sia trascorso oltre un anno dalla cessazione stessa e l’insolvenza si sia manifestata prima o entro tale termine.
La norma va letta, per gli imprenditori tenuti all'iscrizione nel Registro delle Imprese, con riferimento alla data della relativa cancellazione, assumendo una sostanziale identità tra quest’ultima e la cessazione dell'attività.
La Legge Fallimentare e la corrispondente previsione del C.C.I.I. rispondono all'esigenza di tutelare i creditori da comportamenti potenzialmente lesivi della garanzia patrimoniale, rafforzando – con la previsione di una fittizia sopravvivenza del debitore per un anno dalla sua estinzione giuridica – la responsabilità ai sensi dell'art. 2740 C.C..
Si è dunque posto il quesito, cui la Cassazione ha risposto con l'Ordinanza n. 14414/2024, volto a verificare se la cancellazione della società incorporata o fusa rientri nella fattispecie disciplinata dall'art. 2495 C.C., oppure se costituisca una causa autonoma di cancellazione, priva degli effetti previsti dalla norma civile appena citata.
La Cassazione, in coerenza con l'insegnamento delle Sezioni Unite, ha confermato l'effetto estintivo della società incorporata, rendendo applicabile a quest’ultima l'art. 10 della Legge Fallimentare e l'art. 33 del C.C.I.I..
Merita di essere sottolineato che, oltre alla conferma dell’orientamento delle Sezioni Unite del 2021, è irrilevante – ai fini della vicenda concorsuale – che la posizione debitoria che ha causato il fallimento (oggi liquidazione giudiziale) si sia trasferita alla società incorporante. È sufficiente che l’insolvenza della società incorporata si sia manifestata nell'anno precedente alla sua estinzione.
Invece, l'insolvenza della società incorporante può assumere rilievo solo come causa autonoma di fallimento o liquidazione giudiziale di quest'ultima.