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Sono attualmente all’esame della Commissione X “Attività Produttive, Commercio e Turismo” della Camera dei Deputati alcuni progetti di legge finalizzati a reintrodurre nel nostro ordinamento il principio della regolazione autoritativa degli orari di apertura, nonché l’obbligo di chiusura domenicale e festiva degli esercizi commerciali.
Ciò avverrebbe mediante l’abrogazione dell’articolo 31 del decreto legge n. 201/2011 (c.d. decreto “Salva Italia”), emanato dal Governo Monti, che ha sancito la piena liberalizzazione del regime degli orari e dei giorni di apertura al pubblico delle attività commerciali. Il regime di liberalizzazione dovrebbe tuttavia essere mantenuto per gli esercizi commerciali che operano nei Comuni individuati come turistici o città d’arte.
L’iniziativa ha suscitato vivaci reazioni da parte di chi ha messo in luce che il regime di liberalizzazione ha consentito in questi anni una ripresa del settore commerciale che rischierebbe in tal modo di venir vanificata, a maggior ragione in un contesto che sarà sempre più caratterizzato da una grandissima diffusione del commercio elettronico.
Prescindendo da ogni valutazione circa l’opportunità politica di tale iniziativa, c’è da chiedersi se una riforma della legge statale che dovesse far venir meno il regime di liberalizzazione delle giornate e degli orari di apertura degli esercizi commerciali potrebbe considerarsi conforme ai principi della Costituzione italiana.
Si noti in proposito che la giurisprudenza costituzionale formatasi con riferimento all’articolo 31 del decreto “Salva Italia” ha ricondotto la materia nell’ambito della “tutela della concorrenza”, di cui all’articolo 117, comma 2, lettera e) della Costituzione, demandandola alla competenza legislativa esclusiva dello Stato e non all'ambito del “commercio” attribuito alle Regioni dall’articolo 117, comma 4 della Costituzione.
Avendo ritenuto sussistere la competenza esclusiva statale in materia, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune norme regionali che, successivamente all’affermazione del principio di liberalizzazione totale delle aperture ad opera del decreto “Salva Italia”, avevano introdotto norme restrittive di tale principio.
Coerentemente la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili e non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 31 del decreto “Salva Italia” sollevate da alcune Regioni che ritenevano che tale norma si ponesse in violazione dell'art. 117, comma 4 della Costituzione che ascrive la materia del commercio alla competenza legislativa regionale (sentenza n. 299/2012).
In tale pronuncia la Consulta ha precisato che “l'eliminazione dei limiti agli orari e ai giorni di apertura al pubblico degli esercizi commerciali favorisce, a beneficio dei consumatori, la creazione di un mercato più dinamico e più aperto all'ingresso di nuovi operatori e amplia la possibilità di scelta del consumatore”.
La Corte Costituzionale ha quindi ritenuto che si tratta “di misure coerenti con l'obiettivo di promuovere la concorrenza”, rientranti nella competenza legislativa esclusiva statale, che risultano “proporzionate allo scopo di garantire l’assetto concorrenziale nel mercato di riferimento relativo alla distribuzione commerciale”.
Alla luce di queste affermazioni, viene spontaneo domandarsi se anche una “controriforma” in senso restrittivo della disciplina in tema di apertura e di orari degli esercizi commerciali potrebbe rientrare nella materia della “tutela della concorrenza”.
Sembrerebbe lecito dubitarne, alla luce di quanto affermato dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza n. 430/2007, nella quale la Consulta ha chiarito che “non possono ricondursi alla «tutela della concorrenza» quelle misure statali che non intendono incidere sull'assetto concorrenziale dei mercati o che addirittura lo riducono o lo eliminano”.
È tuttavia da considerare che, nella sentenza n. 239/2016, la Corte Costituzionale ha precisato che, sebbene in vigenza del decreto “Salva Italia” le Regioni non possano introdurre limiti e prescrizioni in materia, “la totale liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali non costituisce una soluzione imposta dalla Costituzione, sicché lo Stato potrà rivederla in tutto o in parte, temperarla o mitigarla”.
Il che induce a ritenere che la Consulta potrebbe considerare costituzionalmente legittima in linea di principio un’eventuale riforma legislativa statale volta alla reintroduzione di vincoli attinenti alle giornate ed agli orari di apertura degli esercizi commerciali.
L’aspetto paradossale è che, nella misura in cui la Corte Costituzionale dovesse ritenere che tale riforma sia riconducibile alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, ciò dovrebbe avvenire sul presupposto che si tratti di una misura a “tutela della concorrenza”.
In tal caso le Regioni risulterebbero competenti soltanto per quanto attiene alla determinazione dei criteri per la formazione degli elenchi degli ambiti in cui permarrebbe l’attuale regime di liberalizzazione (probabilmente i comuni turistici e le città d’arte) ed alla tenuta degli elenchi stessi.