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Il quadro normativo: la direttiva Green Claims
Lo scorso 11 maggio il Parlamento europeo ha approvato con 544 voti favorevoli, 18 contrari e 17 astensioni la proposta di direttiva “che modifica le direttive 2005/29/CE (sulle pratiche commerciali sleali) e 2011/83/Ue (sui diritti dei consumatori) per quanto riguarda la responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell’informazione”, meglio nota come proposta di direttiva “Green Claims”.
A breve inizieranno i negoziati tra il Consiglio dell’Unione Europea, il Parlamento e la Commissione Europea per la redazione del testo definitivo e, poi, sarà compito degli Stati membri emanare la legge nazionale di recepimento della direttiva.
Il contrasto all’ambientalismo di facciata
L’obiettivo della proposta di direttiva è di contrastare le pratiche di greenwashing (o di dichiarazioni ambientali ingannevoli), le pratiche di obsolescenza precoce, l’uso di marchi di sostenibilità e strumenti di informazione inattendibili e non trasparenti, ovvero tutte quelle pratiche commerciali sleali che impediscono acquisti sostenibili, al fine di migliorare l’attendibilità delle informazioni sulla durabilità e sulla riparabilità dei prodotti.
L’intervento dell’Unione Europea era necessario vista la crescita esponenziale del fenomeno di greenwashing verificatasi nell’ultimo periodo. Il greenwashing, ovvero “ambientalismo di facciata”, è una pratica commerciale sleale utilizzata da imprese, organizzazioni o istituzioni politiche per presentarsi al pubblico come soggetti attenti alle politiche ambientali e sociali, nonostante nella realtà tale attenzione non vi sia.
Questa pratica commerciale ingannevole lede sia i consumatori sia le imprese che realmente si impegnano a migliorare la sostenibilità ambientale dei loro prodotti e ha delle ripercussioni negative sulla transizione ecologica dei processi produttivi e sulla finanza sostenibile.
Trasparenza e correttezza: gli obblighi per produttori e venditori
Nel rispetto del principio di trasparenza, la proposta di direttiva obbliga i produttori e i venditori a fornire informazioni sull’esistenza e sulla durata di una garanzia commerciale, sulla disponibilità di aggiornamenti gratuiti del software e sul possibile impatto negativo che un dato aggiornamento può avere sul bene digitale, sulla riparabilità dei prodotti, sul metodo utilizzato per compiere una comparazione tra il proprio prodotto e il prodotto di altri operatori del mercato a fini pubblicitari.
Si ispira, invece, al principio di correttezza il divieto di presentare una dichiarazione ambientale non corroborata da impegni e obiettivi chiari, oggettivi e verificabili, di pubblicizzare come vantaggi per i consumatori quel che è considerato pratica comune nel mercato, di esibire un marchio di sostenibilità che non è basato su un sistema di certificazione o non è stabilito dalle autorità pubbliche, di utilizzare dichiarazioni ambientali generiche nelle attività di marketing (a titolo esemplificativo, ma non esaustivo, “rispettoso dell’ambiente”, “ecocompatibile”, “eco”, “verde”…), di presentare una dichiarazione ambientale concernente il prodotto nel suo complesso quando riguarda solo un determinato aspetto, di presentare come tratto distintivo del prodotto requisiti imposti per legge sul mercato dell’Unione per una determinata categoria di beni, di svolgere pratiche volte a velocizzare l’obsolescenza del bene.
Le sanzioni
La proposta di direttiva non prevede delle sanzioni in caso di mancato rispetto degli obblighi e dei divieti imposti, pertanto, i singoli Stati membri dovranno intervenire sul punto con la legge nazionale di recepimento della direttiva. La Francia, anticipando l’Unione europea, ha emanato ad inizio anno la legge “Climat et résilience” e ha previsto sanzioni fino al 80% del costo della falsa campagna promozionale per le imprese che adottano pratiche di greenwashing. È, dunque, verosimile che anche gli altri Stati membri potrebbero prevedere sanzioni economiche rilevanti.
Conclusioni
La direttiva, quando concluderà il suo iter legislativo, verosimilmente inizio 2024, a differenza del regolamento, non potrà avere applicazione diretta, ma sarà necessario il recepimento nel diritto nazionale. Ciononostante, la questione posta è così rilevante, in termini di trasparenza ed etica, che sarebbe auspicabile fin da ora che le società produttrici e distributrici rispettassero gli obblighi, i divieti, i principi enunciati nella suddetta direttiva, adottando volontariamente norme di compliance, dando in questo modo prova non solo di essere sostenibili, ma anche trasparenti e leali verso i consumatori.