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Conduttori e locatori – i primi, di solito, mediante l’introduzione di procedimenti cautelari ai sensi dell’art. 700 c.p.c., gli altri, con intimazioni di sfratto per morosità – si sono fronteggiati in questi mesi per tentare di risolvere un sostanziale problema: il pagamento dei canoni di locazione o di affitto concordati tempo prima su presupposti economici e fattuali molto diversi rispetto a quelli sopravvenuti durante la pandemia.
Tra i provvedimenti recentemente emessi, segnaliamo l’ordinanza RG 18779 del 29/5/2020 della V sez. civile del Tribunale di Roma, l’ordinanza RG 29683 del 27/8/2020 della VI sez. civile del Tribunale di Roma e l’ordinanza RG 4324 del 30/9/2020 della I sez. civile del Tribunale di Venezia.
Talune di queste ordinanze si ispirano alla Relazione n. 56 dell’Ufficio del Massimario della Cassazione pubblicata l’8/7/2020, secondo la quale durante la pandemia risulterebbero inadeguati i classici rimedi offerti dal nostro codice civile in tema di impossibilità sopravvenuta della prestazione (artt. 1256 e 1463 c.c.) o di eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.) in quanto tendenti a porre fine al contratto, laddove l’interesse dei contraenti c.d. svantaggiati è invece quello di conservare il rapporto contrattuale mediante revisione. In tali casi, a giudizio della Corte di Cassazione, sarebbe più appropriato il ricorso ai principi di correttezza e di esecuzione del contratto in buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) che implicano il dovere di rinegoziare un contratto divenuto squilibrato.
Infatti, secondo la predetta Relazione della Cassazione, che riportiamo in più passi per l’importanza dei canoni enunciati:
“I contratti sembrano dover essere rigidamente rispettati nella loro formulazione primigenia nella sola misura in cui rimangano inalterati i presupposti e le condizioni di cui le parti hanno tenuto conto al momento della stipula. Per converso, ogni qualvolta una sopravvenienza rovesci il terreno fattuale e l’assetto giuridico-economico sui si è eretta la pattuizione negoziale, la parte danneggiata in executivis deve poter avere la possibilità di rinegoziare il contenuto delle prestazioni. Qualora a lungo termine, gli accordi negoziali paiono valere rebus sic stantibus”.
E ancora, “il dovere di correttezza viene considerato alla stregua di limite interno di ogni situazione giuridica soggettiva (attiva o passiva) contrattualmente attribuita, concorrendo alla relativa conformazione in senso ampliativo o restrittivo rispetto alla fisionomia apparente, per modo che l’ossequio alla legalità formale non si traduca in sacrificio della giustizia sostanziale e non risulti, quindi, disatteso quel dovere (inderogabile) di solidarietà costituzionalizzato (art. 2 Cost.), che, applicato a i contratti, ne determina integrativamente il contenuto o gli effetti (art. 1374 c.c.) e deve, ad un tempo, orientarne l’interpretazione (art. 1366 c.c.) e l’esecuzione (art. 1375 c.c.), nel rispetto del principio secondo cui ciascuno dei contraenti è tenuto a salvaguardare l’interesse dell’altro, se ciò non comporti un apprezzabile sacrificio dell’interesse proprio. Proprio la portata sistematica della buona fede oggettiva nella fase esecutiva del contratto ex art. 1375 c.c. assume assoluta centralità, postulando la rinegoziazione come cammino necessitato di adattamento del contratto alle circostanze ed esigenze sopravvenute. La correttezza è suscettibile di assolvere, nel contesto dilaniato dalla pandemia, la funzione di salvaguardare il rapporto economico sottostante al contratto nel rispetto della pianificazione convenzionale”.
E, infine, “La clausola generale di buona fede diviene, in questa prospettiva, garanzia di un comportamento corretto nella fase di attuazione delle previsioni contrattuali. In virtù della valutazione economico-giuridica del criterio della bona fides e degli obblighi di cooperazione fra le parti nella fase esecutiva del contratto, l’adeguamento del contenuto di quest’ultimo connesso all’obbligo di rinegoziare non contraddice l’autonomia privata, in quanto adempie alla funzione di portare a compimento il risultato negoziale prefigurato ab initio dalle parti, allineando il regolamento pattizio a circostanze che sono mutate”.
Venendo ai casi giurisprudenziali in esame, le tre ordinanze sopra citate originano da tre diverse tipologie di contratti di durata: la prima da un contratto di affitto di ramo di azienda per la vendita al dettaglio di articoli di pelletteria, borse e valigeria presso un centro commerciale a Roma (Ord. 29/5/2020, V sez. civ. Trib. Roma), la seconda da un contratto di locazione ad uso non abitativo per attività di ristorazione sempre a Roma (Ord. 27/8/2020, VI sez. civ. Trib. Roma) e la terza da un contratto di rent to buy di plurime unità immobiliari destinate ad attività turistico-ricettiva a Mestre (Ord. 30/9/2020, I sez. civ. Trib. Venezia).
Le domande dei conduttori/affittuari, giustificate tutte dall’evento eccezionale e imprevedibile dell’emergenza sanitaria per il Covid-19[1], dal lockdown di primavera e dagli altri provvedimenti limitativi della libertà di iniziativa economica anche dopo la fine del lockdown (ad esempio, il contingentamento dell’accesso dei clienti nei negozi) consistevano sostanzialmente nella richiesta di sospensione del pagamento dei canoni per un certo periodo o, in via subordinata, nella richiesta di rideterminazione dei termini di pagamento, e comunque nella inibizione dell’escussione delle fideiussioni prestate a garanzia delle obbligazioni contrattuali.
I tre giudici, pur esaminando contesti fattuali diversi, hanno quasi uniformemente riconosciuto applicabile - tra le altre norme - l’art. 1464 c.c. sulla impossibilità della prestazione (del locatore), allo stesso tempo, parziale (perché divenuta impossibile quanto all’obbligo di consentire al conduttore di svolgere nei locali l’attività per la quale era stato stipulato il contratto, ma è rimasta possibile, ricevibile ed utilizzata quanto alla concessione del diritto di uso degli stessi locali, ad esempio come magazzino o deposito merci) e temporanea (perché l’inutilizzabilità è stata ab origine limitata nel tempo, fino alla data di riapertura delle varie attività). Di conseguenza, “il riflesso sull’obbligo di corrispondere il canone sarà quello di subire una riduzione destinata a cessare nel momento in cui la prestazione del locatore potrà tornare ad essere compiutamente eseguita”[2].
In verità, il Tribunale di Roma con l’ordinanza del 27/8/2020 si è spinto oltre, riconoscendo al conduttore una riduzione del canone anche dopo il lockdown, in considerazione del ridotto numero di utenti imposto dopo la riapertura dell’esercizio commerciale (un ristorante) per ragioni di sicurezza sanitaria.
Ricordiamo però che nella medesima Relazione n. 56, la Cassazione ha anche precisato che “L’obbligo di rinegoziare impone di intavolare nuove trattative e di condurle correttamente, ma non anche di concludere il contratto modificativo. Pertanto la parte tenuta alla rinegoziazione è adempiente se, in presenza dei presupposti che richiedono la revisione del contratto, promuove una trattativa o raccoglie positivamente l’invito di rinegoziare rivoltole dalla controparte e se propone soluzioni riequilibrative che possano ritenersi eque e accettabili alla luce dell’economia del contratto; di sicuro non può esserle richiesto di acconsentire ad ogni pretesa della parte svantaggiata o di addivenire in ogni caso alla conclusione del contratto (…). Si avrà, per contro, inadempimento se la parte tenuta alla rinegoziazione si oppone in maniera assoluta e ingiustificata ad essa o si limita ad intavolare delle trattative di mera facciata, ma senza alcuna effettiva intenzione di rivedere i termini dell’accordo””.
In aggiunta a questo, si devono tenere comunque in considerazione anche le difficoltà dei locatori, per esempio di quelli che abbiano a loro volta assunto impegni non derogabili verso altri soggetti, quali banche o società di leasing, per l’acquisto o la costruzione degli immobili locati: laddove infatti i canoni di locazione “a valle” servano a pagare i debiti verso i finanziatori “a monte” – caso non infrequente - difficilmente le parti o un giudice potranno modificare i contratti in essere.
Il presente articolo è stato redatto con la collaborazione dell'Avv. Domenico Apice, Socio fondatore di LTPartners Studio Legale e Tributario
[1] Nel caso di Venezia, si faceva riferimento anche agli episodi di acqua alta avvenuti a novembre 2019 in conseguenza dei quali era stato dichiarato lo stato di emergenza per 12 mesi.
[2] Principio enunciato in entrambe le ordinanze del Tribunale di Roma sopra richiamate.