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L’interruzione forzata delle catene produttive che, a cominciare dalla Cina in gennaio, sta coinvolgendo l’intero pianeta, unito al ritorno delle frontiere tra Paesi europei, sta determinando gravi ritardi nelle forniture, con il concreto rischio di una crescita esponenziale di futuri contenziosi e l’attivazione delle penali contrattuali.
Occorre trovare una soluzione alle tante domande che le imprese stanno ponendo ai loro studi legali.
Partendo dal caso in cui sia il fornitore che il cliente sono soggetti italiani e il contratto è regolato in base al diritto nazionale, un primo aspetto da esaminare riguarda la giustificabilità di un inadempimento contrattuale dovuto all’emergenza in corso. Soprattutto a seguito dei recenti provvedimenti normativi di tipo restrittivo, che riducono o sospendono del tutto l’attività produttiva, occorre chiedersi se sia giuridicamente possibile considerare gli inadempimenti come dovuti a “causa di forza maggiore” o a “impossibilità sopravvenuta”, circostanze che escluderebbero la responsabilità contrattuale e il conseguente risarcimento del danno.
A tale riguardo, è opportuno distinguere le due ipotesi: con “causa di forza maggiore”, concetto non espressamente previsto dalla normativa civilistica, si intende definire quegli eventi imprevedibili e straordinari a cui non è possibile resistere e che sono fuori dal controllo delle parti. In presenza di una causa di forza maggiore, se dimostrata, il contraente inadempiente è liberato dal risarcimento del danno.
Nel nostro ordinamento i casi di “impossibilità sopravvenuta” sono, invece, regolati dall’art. 1256 del codice civile, che prevede l’estinzione dell’obbligazione contrattuale quando l’impossibilità di eseguire la prestazione sia dovuta a causa non imputabile al debitore. Inoltre, in caso di impossibilità sopravvenuta temporanea, il debitore non è considerato responsabile del ritardo nell’esecuzione della prestazione. In via generale, si ritiene che i provvedimenti governativi a tutela dell’interesse pubblico costituiscano una causa di impossibilità rientrante nell’art. 1256 del codice civile. La giurisprudenza di legittimità, negli ultimi anni, ha spesso interpretato in maniera rigorosa la presenza di una “causa di forza maggiore” (tra le ultime, Cassazione, n. 12549/2019).
Diverso il caso dei contratti internazionali anche considerando che, per le imprese italiane, la mancata consegna di forniture estere può determinare, a sua volta, responsabilità per il ritardo nella distribuzione dei prodotti o per il loro utilizzo nel ciclo produttivo.
Nei rapporti tra imprese situate in Paesi membri dell’Unione europea, va chiarito che la legge regolatrice della fornitura può essere liberamente scelta dai contraenti e va indicata nel testo contrattuale, così come previsto anche dal Regolamento (CE) n. 593 del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (c.d. “Roma I”). Se le parti non hanno effettuato la scelta, il Regolamento Roma I definisce una serie di criteri di definizione della legge applicabile, a seconda della tipologia di contratto: a titolo esemplificativo, nel caso di vendita di beni e di prestazione di servizi, affiliazione (franchising) e distribuzione, si applica la legge del Paese di residenza del venditore/prestatore di servizi o dell’affiliato.
Diverso è il caso delle forniture internazionali, in cui l’impresa italiana ha un contratto con un’impresa extra UE. La questione è di grande interesse per tutti i casi in cui il fornitore è un soggetto cinese: si tratta di situazioni molto frequenti, considerato che - soltanto nelle ultime quattro settimane, secondo i dati riportati dalla Commissione europea - le partenze di navi portacontainer dalla Cina sono diminuite del 49%.
In via generale, il concetto di forza maggiore è presente nella Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili dell’11 aprile 1980, la quale prevede che un’impresa non è responsabile dell'inadempimento di uno qualsiasi dei suoi obblighi, se prova che l’inadempimento è dovuto a un impedimento, non prevedibile e indipendente dalla sua volontà (art. 79, primo comma). Nella stessa direzione si colloca la clausola prevista dalla Camera di Commercio internazionale (“ICC Force Majeure Clause 2003”), la quale comprende espressamente l’epidemia tra gli eventi il cui insorgere comporta l’applicazione della clausola di forza maggiore.
A questo proposito, va rilevato che, proprio allo scopo di tutelare le imprese cinesi rispetto alla richiesta di risarcimento danni da parte dei loro clienti, la Repubblica popolare cinese, lo scorso 10 febbraio, ha adottato una norma secondo la quale le misure di prevenzione adottate dal Governo (limitazione del traffico, blocco o sospensione della produzione, creazione di zone rosse con interdizione agli spostamenti) rappresentano la causa che ha determinato la mancata esecuzione dei contratti. Migliaia di aziende cinesi hanno, a oggi, ottenuto dal CCPIT (China Council for the Promotion of International Trade) un “certificato di forza maggiore”. La presenza del certificato dell’autorità competente dovrebbe integrare gli estremi per il riconoscimento della causa di forza maggiore. Alla data dell’11 marzo scorso, secondo il China daily, la clausola di forza maggiore era stata invocata per contratti internazionali di valore superiore a 73 miliardi di dollari.
In via generale, è di estrema importanza che le imprese rivedano attentamente le regole di forza maggiore presenti nei loro contratti. Nello specifico tessuto di piccole e medie imprese italiane, spesso abituate a lavorare con la Cina in base a ordinativi privi di regolamentazione contrattuale, occorre avere riguardo agli scambi di corrispondenza intercorsi, anche via posta elettronica o chat, per desumere la comune volontà delle parti. Anche questa situazione sottolinea quanto sia importante, per le imprese italiane, approntare un’adeguata contrattualistica e investire sui profili legali del commercio internazionale.