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La lacuna normativa
L’indennità dovuta al custode giudiziale di merce trova il suo fondamento giuridico negli articoli 58 e 59 del DPR n. 115/2002. Ai sensi del predetto art. 58, l'indennità è determinata:
- sulla base delle tariffe contenute nelle tabelle approvate con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze (art. 59) e,
- in via residuale, secondo gli usi locali.
Ad oggi, le uniche fattispecie che abbiano trovato una puntuale regolamentazione sono quelle stabilite nel decreto ministeriale n. 265/2006, che non includono però l’indennità da custodia dei container. In difetto quindi di apposite tabelle, dovrebbero trovare applicazione, come detto, i c.d. usi locali. Il punto è che, almeno fino all’intervento della Cassazione, con l’ordinanza n. 752/2016 (di seguito trattata), non si era formato alcun uso applicabile alla fattispecie e, pertanto, non sussisteva alcun univoco criterio di liquidazione applicabile all’indennità da custodia dei container sequestrati.
Le soluzioni adottate dalla giurisprudenza
Per colmare tale vuoto normativo, i giudici avevano dovuto basare le loro decisioni attingendo a soluzioni interpretative piuttosto forzate delle norme applicabili alla fattispecie.
L’orientamento giurisprudenziale prevalente era basato sul principio enunciato dalla Suprema Corte secondo il quale, qualora il compendio sequestrato non rientri in nessuna delle categorie di beni indicati nel D.M. n. 265/2006, “il giudice può applicare, in via analogica, la disciplina dettata per casi analoghi, in base alla similitudine fisica dei beni” (si veda Cass. n. 22966/2011). Nel caso sotteso alla sentenza citata, la Suprema Corte aveva avallato la decisione del giudice del merito, che aveva parametrato, in via analogica, l’indennità ai criteri stabiliti per la custodia di autocarri in area scoperta. Il giudice aveva adottato tale decisione sulla base di una valutazione “spaziale”, ritenendo che le dimensioni dei container fossero assimilabili a quelle degli autocarri. Vista però, da un lato, l’esiguità degli importi statuiti dalla tabella ministeriale per la custodia di detti veicoli e, dall’altro, il maggior impegno che obiettivamente richiede la custodia di un contenitore (con riguardo, ad esempio, agli oneri di movimentazione), la giurisprudenza di merito, sulla scorta di altri precedenti della Suprema Corte (tra gli altri, si veda la sentenza n. 5710/2007), ha spesso utilizzato un criterio ibrido, aumentando in via equitativa gli importi stabiliti dal DM n. 265/2006 (Trib. Palmi, 08.11.2016, Trib. Monza, 26.07.2017 e Trib. Brescia, 14.02.2018). In un altro caso, i giudici hanno trovato una soluzione alternativa, applicando in via analogica, visto l’ambito portuale di riferimento, non già la tabella per la custodia degli autocarri, bensì quella - più generosa - prevista per i natanti di misura superiore a 10 m. (Trib. Cassino n. 13.07.2016).
L’ordinanza della Cassazione n. 752/2016
Tale incertezza a livello giurisprudenziale avrebbe dovuto essere risolta dall’ordinanza n. 752/2016 della Suprema Corte, che ha stabilito, per il sequestro di container in area portuale, i seguenti tre principi:
a) la determinazione dell'indennità di custodia, per i beni diversi da quelli espressamente contemplati dal D.M. n. 265/2006, “deve essere fatta sulla base degli usi locali”;
b) Il Giudice deve liquidare l'indennità tenendo conto delle tariffe portuali praticate nei confronti degli utenti dalle imprese del porto di riferimento e rese pubbliche, ai sensi della L. n. 84 del 5 1994, art. 16, “prendendo a base del calcolo quella, più conveniente per l'amministrazione della giustizia, applicata dall’impresa più competitiva” nell'ambito del porto medesimo; riconoscendo, quindi, a tali tariffe pubbliche il valore di “uso locale” ai sensi dell’art. 58 DPR 115/2002;
c) La riduzione (o l’aumento) in via equitativa delle tariffe è esclusa per i beni diversi da quelli previsti dal D.M. 256/2006.
Conclusioni
L’intervento della Suprema Corte avrebbe dovuto mettere un punto risolutivo alla questione, individuando un criterio univoco per la liquidazione dell’indennità da custodia di container sequestrati in area portuale. Tuttavia, non sono mancate le difficoltà applicative: nei porti ove operi un unico terminalista non è possibile, per il giudice, effettuare quella comparazione tra tariffe imposta dalla Suprema Corte e funzionale all’individuazione di quella “più conveniente per l'amministrazione della giustizia”. Ciò ha condotto alcuni giudici a disapplicare il principio stabilito dall’ordinanza n. 752/2016, liquidando l’indennità sulla base del vecchio criterio legato alle tabelle previste per gli autocarri (CdA Reggio Calabria del 18.01.2019). L’ingente ammontare delle indennità che avrebbero dovuto essere liquidate in applicazione del criterio stabilito dalla Suprema Corte ha invece portato alcuni giudici di merito a disattenderlo, abbattendo in via equitativa, nonostante il chiaro divieto del giudice di legittimità, gli importi delle liquidazioni dal 50% (Trib. Monza, 05.03.2019) fino, addirittura, al 90% (CdA Reggio Calabria, 23.12.2016).
In conclusione, nonostante il deciso intervento della Suprema Corte per regolamentare la materia, i criteri di liquidazione delle indennità da custodia di container sequestrati in area portale mantengono un certo grado di incertezza, legato, soprattutto, alle specificità che caratterizzano i singoli casi.