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Le Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 12567/18) hanno inteso dirimere il contrasto giurisprudenziale che sul tema era in essere secondo due indirizzi: l’uno a sostegno della cumulabilità dell'indennità di accompagnamento con il risarcimento del danno, ritenendosi che, dal complessivo importo liquidato a titolo risarcitorio alla persona (per danno patrimoniale e biologico) non possa essere detratto quanto già percepito dal danneggiato a titolo di erogazione assistenziale connessa all'invalidità, basandosi tale erogazione su un titolo diverso rispetto all'atto illecito e non avendo finalità risarcitoria. L’altro, recante la tesi che, nella liquidazione del danno, il Giudice debba detrarre dal credito risarcitorio, il beneficio spettante alla vittima a titolo di indennità di accompagnamento.
Il casus decisus fa capo alla richiesta di una coppia di genitori volta al risarcimento del danno subito dal loro figlio neonato - sano durante la gestazione – ma rimasto, in via invalidante permanente, danneggiato per colpa medica dei sanitari che avevano effettuato il parto cesareo. La quaestio iuris, giunta avanti il Supremo Consesso della Cassazione - essendosi eccepito ai Giudici della Corte D’Appello (dopo pronuncia prime cure di medesimo tenore) di aver stimato il danno oltre misura, senza applicarsi la detrazione, dall'ammontare risarcibile, del valore dell’erogazione fornita dal Servizio pubblico - era posta all’attenzione delle Sezioni Unite in Composizione Nomofilattica, onde dirimere il contrasto.
Il tema rappresenta esplicitazione della regola c.d. compensatio lucri cum damno, secondo cui, nella determinazione del risarcimento del danno da fatto illecito, accanto alle poste negative, si debba considerare, operando somma algebrica, le poste positive che, successivamente al fatto illecito, si presentano eventualmente in seguito all’occorso sinistro, “a vantaggio” nel patrimonio del danneggiato.
Nel caso che occupa, il criterio discretivo seguito dalle Sezioni Unite si richiama al principio per il quale, nel caso in cui all’Ente statale erogatore dell’indennità di accompagnamento sia consentito di recuperare, dal terzo responsabile dell’illecito, quanto dall’Ente statale medesimo è stato corrisposto al proprio assistito (ossia al danneggiato dall’illecito), tale meccanismo di bilanciamento tra le parti, impedisce al danneggiato di cumulare, per lo stesso danno, la somma già riscossa a titolo di beneficio assistenziale con l'intero importo del risarcimento. Nella specie, l'esito di queste verifiche ha portato a ritenere applicabile lo “scomputo da compensatio”.
Ciò in quanto, l'indennità di accompagnamento prevista dalla legge ed erogata in favore del danneggiato in conseguenza della minorazione invalidante, è volta a fronteggiare e a compensare in via diretta il medesimo pregiudizio patrimoniale causato dall'illecito. Di talché, dalla prospettiva dell'assistito-danneggiato, il percepimento dell'indennità di accompagnamento, come tale, volta alla medesima copertura degli oneri di assistenza provocati dal fatto illecito del terzo, assume la valenza di un anticipo - per ragioni di solidarietà sociale ed in un caso, come quello in discorso, di lesione di interessi primari costituzionalmente protetti - della somma che potrà essere ottenuta dal sinistrato da parte del terzo autore dell’illecito a titolo di risarcimento del danno.
La previsione dell'azione di rivalsa ex art. 41 della legge n. 183 del 2010, intesa a consentire all'Istituto Pubblico Erogatore di recuperare dal terzo responsabile quanto corrisposto al proprio assistito, impedisce a quest'ultimo (quale danneggiato) di cumulare, per lo stesso danno, la somma già riscossa a titolo di beneficio assistenziale con l'intero importo del risarcimento.
Per il che, le Sezioni Unite hanno quindi espresso il principio secondo cui il valore capitalizzato dell’indennità di accompagnamento debba essere defalcato dall’ammontare del risarcimento del danno subito da un neonato per colpa medica.