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Le questioni relative all’individuazione della legge applicabile ai contratti internazionali di franchising e di Master franchising, in mancanza di una specifica disciplina internazionalprivatistica, vanno senza dubbio risolte mediante il ricorso alle norme previste per i contratti in generale.
Il problema della legge applicabile, com’è noto, riguarda i contratti c.d. internazionali, ossia quei contratti che presentano elementi di estraneità giuridicamente rilevanti rispetto ad un dato ordinamento giuridico e, di converso, elementi di collegamento con altri ordinamenti.
Il Master franchising (o, secondo la definizione del legislatore italiano e di quello spagnolo, affiliazione commerciale principale) può essere definito, in linea di prima approssimazione, come un accordo tra due imprese in forza del quale una (il Master Franchisor o più semplicemente Franchisor) concede a un’altra (il Master franchisee o Sub-Franchisor o Affiliato principale o Affiliante principale), dietro corrispettivo finanziario diretto o indiretto, il diritto di sfruttare un franchising allo scopo di stipulare accordi di franchising con terzi (Franchisees o Sub-franchisees o Affiliati). Il cuore dell’istituto è costituito dalla concessione del diritto dal franchisor al sub-franchisor di sfruttare economicamente un franchising mediante la stipula di appositi accordi e quindi dall’attribuzione del compito di realizzare una rete di sub-franchisees “quasi trasformando, si potrebbe dire, il franchising da un modo per fare affari in un affare in se stesso”; il sub franchisor, infatti, si interpone tra i franchisees ed il franchisor, svolgendo le funzioni di questo.
Attese le caratteristiche strutturali della composita fattispecie del Master franchising, non è infrequente che riguardo al tema in esame vengano a delinearsi in concreto scenari di varia complessità, ben potendosi verificare, ad esempio, che leggi di Stati diversi siano chiamate a regolare, da un lato, il rapporto tra il franchisor e il sub-franchisor, che normalmente appartengono ad ordinamenti diversi e, dall'altro, quello tra quest’ultimo ed i sub-franchisees.
In linea generale, la gran parte dei moderni sistemi di diritto internazionale privato attribuisce alla volontà delle parti un ruolo fondamentale nella scelta della legge applicabile al contratto (c.d. electio iuris).
Regolamento Roma I e ambiti di applicazione
Quanto alla disciplina positiva in materia è di primario rilievo il Regolamento c.d. Roma I (Regolamento (CE) n. 593/2008 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, in vigore dal 18 dicembre 2009 in tutti gli Stati dell’Unione europea fatta eccezione per la Danimarca), in continuità con la “Convenzione sul diritto applicabile alle obbligazioni contrattuali” del 19 giugno 1980 c.d. Convenzione di Roma.
Tale Regolamento consente ai contraenti di indicare, in maniera espressa o implicita, come legge applicabile, un qualunque ordinamento giuridico statale che sia reputato adeguato ai caratteri del rapporto contrattuale, anche in assenza di collegamenti sostanziali tra questo ed il sistema normativo prescelto.
L’esercizio dell’autonomia privata nella determinazione convenzionale della legge applicabile al contratto non è però privo di limiti, essendo soggetto, anche nell’ambito della nuova disciplina posta dal Regolamento Roma I, a quelli rappresentati dalle norme imperative, dalle norme di applicazione necessaria e dall’ordine pubblico del foro.
In materia di franchising la prassi contrattuale degli operatori (e si veda a riguardo il modello contrattuale di franchising della CCI) svolge un ruolo determinante incentivando la stipula di clausole di scelta espressa del diritto applicabile.
Per ciò che specificamente concerne il Master franchising (internazionale), ciascuna parte tende di regola a sostenere nelle trattive la scelta della propria come legge applicabile al contratto.
In tale tipologia contrattuale, infatti, a differenza del franchising (internazionale), il rapporto tra i contraenti può essere caratterizzato da un maggiore equilibrio, proprio in considerazione delle qualità e delle caratteristiche che sovente connotano la figura del sub-franchisor, sicché v’è normalmente spazio per lo sviluppo di trattative anche su tale aspetto.
Ciascuna parte, chiaramente, tende a proporre l’applicazione della legge dello Stato in cui essa ha la propria sede d'affari, sospinta dal movente psicologico invero comune a tutti i contratti internazionali, per cui si tende a presumere che la legge domestica, in quanto conosciuta, sia anche per sé più vantaggiosa, spesso sfuggendo ogni approfondimento dell’ordinamento della controparte, anche per evitare un aumento dei costi transattivi, sebbene ciò comporti una rinuncia aprioristica a sfruttare la competizione tra sistemi giuridici in chiave di efficienza.
Quanto, infine, ai limiti posti dalle norme imperative inderogabili, di particolare rilievo, nell’ambito dei contratti (di franchising e) di Master Franchising, sono le regole in materia antitrust, fiscale, di proprietà intellettuale, di investimenti stranieri, trasferimento di tecnologia.
Nel caso in cui i contraenti non abbiano designato la legge applicabile, il contratto è regolato dalla legge risultante dall’applicazione delle norme di conflitto.
A riguardo si era posto anche per il franchising e per il Master franchising il problema della prestazione caratteristica, che, com’è noto, costituisce un criterio sussidiario da utilizzarsi in assenza di scelta convenzionale della legge applicabile al contratto.
Più precisamente secondo l’art. 4 della Convenzione di Roma in mancanza di scelta da parte dei contraenti, il contratto è regolato dalla legge del Paese con il quale presenta il collegamento più stretto: è questo il cosiddetto principio di prossimità in virtù del quale l’interprete, e quindi il giudice è chiamato a determinare quale sia lo Stato con il quale il contratto presenti i contatti più significativi e applicare la legge di tale Stato.
Per ciò che concerne i rapporti di franchising il legislatore comunitario ha oggi previsto criteri specifici di collegamento per talune tipologie contrattuali, tra cui il contratto di franchising e così sancendo all’art. 4, co. 1, lett. e) del Regolamento Roma I, che: “il contratto di affiliazione (franchising) è disciplinato dalla legge del paese nel quale l’affiliato ha la residenza abituale”. Il criterio prescelto, dunque, è quello soggettivo della “residenza abituale” del franchisee.
Per altro verso nel Regolamento Roma I è stabilito che ove non siano applicabili i criteri specifici di collegamento enunciati all’art. 4, co. 1, lett. da a) ad f), per una serie di contratti (tra cui, come si è detto, il franchising), è applicabile il criterio della residenza della parte che deve effettuare la prestazione caratteristica ed infine, ove nessuno di tali criteri permetta di determinare la legge applicabile, si rinvia alla legge del Paese con cui il contratto presenta il collegamento più stretto.
Quanto al Master franchising parte della dottrina, nel vigore della Convenzione di Roma, rimarcando le differenze esistenti tra tale tipologia contrattuale e quella del franchising, aveva già evidenziato che la prestazione caratteristica è quella dello sviluppo della rete locale, che compete al sub-franchisor, concludendo, quindi, che la legge applicabile in mancanza di scelta fosse quella dell’ordinamento di quest’ultimo. La stessa dottrina, peraltro, aveva sottolineato come tale opzione consenta di realizzare uniformità sul punto della legge applicabile anche rispetto ai rapporti di sub-franchising con i singoli sub-franchisees, pure essi, in mancanza di scelta dei contraenti, regolati dalla legge del sub-franchisor quale erogatore della prestazione caratteristica anche rispetto a tali rapporti (in particolare come si è detto la licenza di know-how e di altri beni di proprietà industriale).
L’appena enunciata impostazione esegetica ed i suoi corollari appaiono a chi scrive, ancora oggi, vigente il Regolamento Roma I, preferibili, sia per le argomentazioni poste a suo sostegno ed in specie: per la più volte evidenziata diversità ontologica tra i contratti di franchising e di Master Franchising, con conseguente inapplicabilità a tale ultima fattispecie dell’enunciato art. 4, co. 1, lett. e) del Regolamento Roma I nonché per il rilievo per cui lo sviluppo della rete distributiva, che spetta al sub-franchisor, costituisce la prestazione caratteristica nel contratto di Master franchising; sia, infine, traendo un argomento letterale dall’art. 4, co. 1, lett. f), del Regolamento stesso a mente del quale: “il contratto di distribuzione è disciplinato dalla legge del paese nel quale il distributore ha la residenza abituale”.