16 Dicembre 2019

Negotiated Settlements. Alcune riflessioni a margine del Convegno dell’Università Bocconi

ANDREA RANGHINO

Immagine dell'articolo: <span>Negotiated Settlements. Alcune riflessioni a margine del Convegno dell’Università Bocconi</span>

Abstract

Secondo i dati raccolti a livello internazionale i casi di corruzione che coinvolgono gli enti, sempre più spesso, sono risolti al di fuori del processo penale, grazie ad accordi negoziali tra le autorità governative e le società coinvolte. A giudizio degli esperti si tratta di una soluzione che, in futuro, dovrà essere applicata sempre più di frequente. Lo scopo di questo breve contributo è provare a individuare quali sono i principali vantaggi e quali gli ostacoli all’impiego transazionale di tali strumenti, anche con specifico riferimento al sistema italiano.

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Negotiated settlements: strumenti di diversione per risolvere, al di fuori del processo, i casi in cui il reato è contestato (anche) alla persona giuridica.

A partire dai primi anni Duemila, soprattutto negli ordinamenti anglosassoni, per la definizione dei casi di c.d. corporate crime, ossia di reati contestati anche all’ente perché commessi nell’esercizio dell’attività d’impresa, si è ricorso, sempre più, a strumenti alternativi al processo penale. In assenza di una disciplina omogenea unitaria, tali strumenti possono essere definiti come accordi negoziali (negotiated settlements) tra le autorità governative e le società coinvolte, in cui si fissano le regole di composizione della controversia: la persona giuridica si impegna ad adempiere ad alcune prescrizioni e, in cambio, ottiene la garanzia che non si procederà nei suoi confronti (non prosecution agreement) o che saranno archiviate le accuse originariamente contestate (deferred prosecution agreement).

L’impiego di tali accordi, che costituiscono a tutti gli effetti delle forme di diversione, si è sviluppato, in modo particolare, nei casi di corruzione che coinvolgono le società a livello internazionale. Proprio su questo tema, nell’ambito del recente convegno organizzato dal prof. Simone Lonati del Dipartimento di Studi Giuridici dell’Università Bocconi, si sono confrontati alcuni dei massimi esperti mondiali.

I profili che si sono delineati in modo più netto, e su cui tutti i panelists sono sembrati concordi – a partire dai membri dell’OCSE[1] –, riguardano l’insufficienza di un sistema deterrente fondato solo sulla responsabilità penale individuale e l’ineluttabilità di un sempre maggiore utilizzo dei negotiated settlements quale strumento di soluzione dei corporate crimes. I vantaggi più significativi conseguibili grazie a tale strumento sono:

  1. procedere con maggiore celerità superando le difficoltà probatorie riconosciute univocamente nei casi di corruzione;
  2. conseguire risultati in termini di efficienza economica sia per le autorità governative sia per le società;
  3. evitare gli effetti negativi derivanti dall’emissione di una sentenza di condanna, anche in termini di rischio reputazionale;
  4. promuovere un’effettiva cooperazione delle persone giuridiche, nella prevenzione e nella repressione delle attività illecite.

Al contempo, tuttavia, sono emerse numerose questioni, tuttora aperte, che sembrano di ostacolo a un’applicazione transazionale e “istituzionalizzata” degli accordi negoziali. Anche in questo caso l’opinione degli esperti è sembrata convergere su alcuni specifici aspetti:

  1. la mancanza di una disciplina unitaria o, quantomeno, di criteri condivisi, che facilitino la cooperazione delle società, non solo tramite la prospettazione delle conseguenze negative che potrebbero derivare dal processo penale;
  2. le differenze strutturali tra i diversi ordinamenti giudiziari, parte dei quali non prevedono tali strumenti di diversione o, comunque, ne rendono incerta l’applicazione a causa della scarsa discrezionalità riconosciuta agli Organi inquirenti;
  3. l’impossibilità di definire in modo unitario casi di corruzione internazionale che coinvolgono più Stati, con conseguente rischio di essere processati due volte per il medesimo reato (double jeopardy). La soluzione proposta da alcuni è di introdurre un procedimento unitario a livello globale (global settlement process);
  4. l’assenza di previsioni che rendano attrattiva la cooperazione delle società, che deve essere coinvolta già nella fase della previsione dei meccanismi di compliance.

 

La situazione in Italia

Attualmente la “versione italiana” dei negotiated settlements, come osservato anche dai membri dell’OCSE, è costituita dall’istituto del c.d. patteggiamento, soluzione alternativa al processo che risponde alle istanze di celerità e di semplificazione, ma che, non costituendo un effettivo strumento di diversione, non sembra idoneo a garantire il conseguimento di tutti gli obiettivi indicati dagli osservatori internazionali. E non sembra neppure prevedibile, quantomeno nel breve periodo, un significativo avvicinamento ai modelli di tradizione anglosassone a causa:

  1. del principio di obbligatorietà dell’azione penale, previsto dall’art. 112 della Costituzione, che esclude ogni discrezionalità del Pubblico Ministero;
  2. della mancanza di adeguati incentivi finanziari per le società che intendono collaborare con l’autorità giudiziaria;
  3. della diffidenza che, da sempre, contraddistingue i rapporti tra gli enti e gli uffici della Procura.

Allo stato, dunque, in Italia non resta che affidarsi alle prassi invalse presso i singoli uffici giudiziari: l’Ufficio della Procura di Milano, per esempio, ritiene discrezionale la scelta di esercitare l’azione penale nei confronti dell’ente, così nell’85-90% dei casi avvenuti negli ultimi anni i processi hanno coinvolto le sole persone fisiche[2]. La diffusione di un tale approccio, possibile anche grazie allo strumento del decreto di archiviazione ex art. 58 d.lgs. 231/2001, potrebbe incentivare le società a definire la propria posizione al di fuori della fase processuale in senso stretto. Resta, in ogni caso, una soluzione di compromesso, priva dei requisiti di trasparenza e certezza che sono necessari per indurre un cambio culturale, in cui la cooperazione tra autorità ed enti è la regola.

 

 

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