14 Giugno 2021

La nuova azione di classe tra presente e futuro

SILVIA MONTI

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Abstract

Il 19 maggio scorso, è entrata in vigore la L. 12 aprile 2019, n. 31, che pone per l’azione di classe una disciplina sostitutiva di quella prevista dal Codice del Consumo. Si analizzano, pur sommariamente, le principali caratteristiche della nuova azione collettiva, per poi provare a ipotizzarne le prospettive di operatività.  

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L’ambito di applicazione soggettivo, oggettivo e temporale

La L. 12 aprile 2019, n. 31 ha abrogato le disposizioni sulle azioni collettive – anche inibitorie – contenute nel Codice del Consumo (i.e.: artt. 139, 140 e 140 bis) e ha introdotto specifiche previsioni dedicate ai “Procedimenti collettivi” nel Codice di Procedura Civile[1].

La scelta del Legislatore è stata complessivamente accolta con favore, quale espressione della volontà di trasformare l’azione di classe da strumento tipico di protezione dei consumatori a rimedio generale a tutela dei diritti individuali

In effetti, è senz’altro più ampio rispetto al passato l’ambito di applicazione della nuova azione collettiva, sotto entrambi i profili oggettivo e soggettivo.

Per quanto concerne il profilo oggettivo, l’art. 840 bis, 1° comma, c.p.c. pone quale unico presupposto per l’esperimento dell’azione collettiva l’esistenza di “diritti individuali omogenei”, con la conseguenza che la tutela dei diritti individuali dei componenti della classe: (i) in materia contrattuale, si estende ai rapporti fra imprese e non è più circoscritta ai soli rapporti di consumo; (ii) in materia extracontrattuale, si estende alle situazioni più svariate e non è più limitata alle sole ipotesi di responsabilità del produttore, di pratiche commerciali scorrette e di comportamenti anticoncorrenziali.

Per quanto concerne il profilo soggettivo, l’art. 840 bis, 2° comma, c.p.c. attribuisce la legittimazione attiva a “ciascun componente della classe(non necessariamente consumatore) e, in modo del tutto innovativo, a enti esponenziali senza scopo di lucro iscritti in un elenco pubblico istituito presso il Ministero della Giustizia. Legittimati passivi, ai sensi dell’art. 840 bis, 3° comma, c.p.c., sono le “imprese” e gli “enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità”, ma non la Pubblica Amministrazione: la disposizione fa espressamente salve le procedure di ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di pubblici servizi.

La nuova disciplina si applicherà soltanto alle “condotte illecite poste in essere successivamente alla sua entrata in vigore”, mentre alle “condotte illecite poste in essere precedentemente continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti prima”, ossia le norme del Codice del Consumo (v. art. 7, 2° comma, L. 12 aprile 2019, n. 31).

Diversi sono i temi interpretativi che questa norma – criticata dalla dottrina[2] – è suscettibile di sollevare, soprattutto se le attività lesive (i) sono continuative e reiterate “a cavallo” dell’entrata in vigore della riforma oppure (ii) si sono esaurite prima dell’entrata in vigore della riforma, ma hanno cagionato danni percepibili solo in seguito.

 

I tratti essenziali del procedimento

L’azione di classe deve essere proposta con ricorso dinanzi alla sezione specializzata in materia di impresa competente per il luogo in cui ha sede la parte convenuta in giudizio[3].

In estrema sintesi, il procedimento – regolato dal rito sommario di cognizione di cui agli artt. 702 bis ss. c.p.c., pur con alcune peculiarità (v. artt. da 840 ter a 840 quinquies c.p.c.) – si articola in tre fasi.

La prima fase è volta a verificare l’ammissibilità dell’azione. Il Tribunale, previa fissazione dell’udienza di discussione, decide con ordinanza, applicando gli stessi criteri già previsti dalla disciplina anteriore.

La seconda fase è caratterizzata dal compimento di atti istruttori diretti ad accertare la fondatezza della pretesa dell’attore e della classe nel suo complesso. In caso di accoglimento, viene resa una sentenza, che, fra l’altro: (i) accerta la condotta illecita del resistente, (ii) definisce i caratteri dei diritti individuali omogenei rilevanti e (iii) nomina il giudice delegato e il rappresentante comune degli aderenti.

La terza fase è funzionale alla liquidazione degli importi dovuti agli aderenti, si svolge con una procedura simile a quella di accertamento del passivo fallimentare e si chiude con decreto motivato del giudice delegato. Tale provvedimento è predisposto, sulla base del “progetto dei diritti individuali omogenei degli aderenti” redatto ed eventualmente modificato dal rappresentante comune degli aderenti.

Gli asseriti titolari di diritti individuali omogenei possono aderire all’azione collettiva in due momenti, ossia (i) dopo l’emanazione dell’ordinanza di ammissibilità oppure (ii) dopo l’emanazione della sentenza, entrambe pubblicate sul Portale dei Servizi Telematici gestito dal Ministero della Giustizia (“PST”) del giudizio.

La facoltà di adesione successiva alla sentenza è stata oggetto di censure, perché: (i) creando incertezze sulle dimensioni della classe, disincentiverebbe potenziali definizioni transattive[4]; (ii) consentirebbe agli aderenti di avvalersi di una pronuncia favorevole, senza correre il rischio della soccombenza[5].

 

Quali prospettive per la nuova azione di classe? Qualche considerazione

Delineati i caratteri essenziali della nuova azione di classe, viene spontaneo chiedersi quale ne sarà il futuro, soprattutto con riferimento alle prospettive di operatività. 

La questione è tutt’altro che semplice.

In termini astratti, l’ampliamento dell’ambito di applicazione dell’azione collettiva dovrebbe favorirne la diffusione, sinora ridotta: lo strumento potrebbe essere utilizzato anche in settori diversi, come ad esempio quello dell’ambiente.

Questo approccio ottimistico, però, deve essere contemperato con la consapevolezza della realtà: i contrasti interpretativi sul requisito dell’omogeneità dei diritti individuali tutelabili, il meccanismo di adesione opt-in (e non opt-out) e le incertezze sul contesto pratico-applicativo (dalla funzionalità del PST all’istituzione dell’elenco degli enti esponenziali presso il Ministero della Giustizia) sono fattori suscettibili di “frenare” la prospettata diffusione. 

Come sempre avviene dinanzi alle novità, non resta che lasciar fare al tempo: il diritto vivente darà tutte le risposte.  

 

 

[1] Tali norme sono collocate al Titolo VIII bis del Libro IV del Codice di rito (i.e. dall’art. 840 bis all’art. 840 sexiesdecies) e al Titolo V bis delle Disposizioni di attuazione (i.e.: art. 196 bis e art. 196 ter).

[2] Si veda, ad esempio, I. Speziale, La nuova azione di classe: riflessioni critiche sulla riforma, in Corr. giur., 2020, cit., 967-968, nonché P. Florio, La nuova azione di classe, passi in avanti verso gli obiettivi di accesso alla giustizia e deterrenza?, in www.ilcaso.it.

[3] Non è chiaro se il riferimento alla “sede” designi solo il foro della sede legale oppure rinvii al foro generale delle persone giuridiche ex art. 19 c.p.c. In questa seconda ipotesi, l’attore potrebbe anche agire davanti al giudice del luogo in cui la persona giuridica ha uno stabilimento o un rappresentante autorizzato a stare in giudizio e ciò consentirebbe un certo margine di forum shopping, specie quando la convenuta ha centri operativi su tutto il territorio nazionale. Sul punto, C. Consolo, La terza edizione dell’azione di classe è legge ed entra nel c.p.c. Uno sguardo d’insieme ad una amplissima disciplina, in Corr. giur., 2019, 739.  

[4] Si considerino Confcommercio, Documento acquisito in Commissione al Senato sulle Disposizioni in materia di classe (A.S. 844), in www.senato.it, Confindustria, Contributo di Confindustria per le Commissioni Giustizia e Industria del Senato, in www.senato.it, nonché, in dottrina, G. Ponzanelli, La nuova class action, in Danno e resp., 2019, 307.

[5] In questo senso, fra gli altri, G. Mazzaferro, Brevi riflessioni sul disegno di legge n. 844 (azione di classe) e su alcune proposte di emendamenti, in www.judicium.it. Contra, C. Consolo, La terza edizione dell’azione di classe, cit., 739, secondo cui, anche dopo la sentenza, ciascun aderente sarà esposto, in una certa misura, all’alea del giudizio, perché “dovrà dimostrare la titolarità del proprio diritto”.

 

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