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L’obiettivo della norma
L’obiettivo perseguito dall’art. 17 della direttiva Copyright è sintetizzato dal considerando 61 della stessa direttiva: se da un lato “I servizi online … offrono al settore culturale e creativo grandi opportunità di sviluppare nuovi modelli di business…, essi creano anche problemi quando vengono caricati contenuti protetti dal diritto d'autore senza il previo consenso dei titolari dei diritti”. Ciò determina “incertezza giuridica circa il fatto che i fornitori di tali servizi effettuino atti rilevanti per il diritto d'autore e debbano ottenere l'autorizzazione dei titolari dei diritti per il contenuto caricato dai loro utenti”. E “tale incertezza incide sulla capacità dei titolari dei diritti di stabilire se, e a quali condizioni, le loro opere e altri materiali siano utilizzati, nonché sulla loro capacità di ottenere un'adeguata remunerazione per detto utilizzo”.
A tali fini, la tecnica giuridica utilizzata dal legislatore unionista è stata di stabilire a quali condizioni il prestatore di servizi online compia un atto di comunicazione al pubblico e, conseguentemente, di farne derivare l’obbligo di ottenere un’autorizzazione dal titolare dei diritti per l’uso online di tali materiali. L’art. 17, al paragrafo 1, chiarisce infatti che “il prestatore di servizi di condivisione di contenuti online effettua un atto di comunicazione al pubblico o un atto di messa a disposizione del pubblico ai fini della presente direttiva quando concede l'accesso al pubblico a opere protette dal diritto d'autore o altri materiali protetti caricati dai suoi utenti”.
Un prestatore di servizi di condivisione di contenuti online deve pertanto ottenere un'autorizzazione dai titolari dei diritti, ad esempio mediante la conclusione di un accordo di licenza, al fine di comunicare al pubblico o rendere disponibili al pubblico le dette opere.
Sul piano soggettivo, il prestatore di servizi di condivisione di contenuti online, è un operatore “il cui scopo principale o uno dei principali scopi è quello di memorizzare e dare accesso al pubblico a grandi quantità di opere protette dal diritto d'autore o altri materiali protetti caricati dai suoi utenti, che il servizio organizza e promuove a scopo di lucro” (art. 2).
Quindi, anzitutto, le più note piattaforme di condivisione di contenuti audiovisivi (ad esempio YouTube, Vimeo, Dailymotion o Twitch), di contenuti musicali (ad es. sempre YouTube), di contenuti editoriali di qualsiasi tipo, purché protetti dal diritto d’autore (come ad esempio fotografie, opere letterarie etc., tutti materiali ampiamente diffusi tramite, ad esempio Instagram, Facebook, Twitter etc.).
Sul piano oggettivo, la norma in commento chiarisce che compie un atto di comunicazione al pubblico l’operatore che, tramite i suoi servizi, concede l’accesso al pubblico a opere protette dal diritto d’autore.
Lex specialis o mero chiarimento?
Alcuni commentatori affermano che tale previsione introdurrebbe una lex specialis (cfr. art. 17, § 1, “ai fini della presente direttiva”) rispetto alla previsione di carattere “generale” di cui all’art. 3 della direttiva 2001/29/CE che menziona (senza specificarne le caratteristiche intrinseche) il diritto esclusivo di comunicazione al pubblico. Altri sostengono invece che l’art. 17 si limiterebbe a “chiarire” la portata di una norma già esistente (l’art. 3 ult. cit.) in relazione ai servizi forniti dagli operatori di cui si occupa tale articolo: tanto sembra potersi ricavare dalla lettera del considerando 65 direttiva 790/2017 (cfr. “é opportuno chiarire nella presente direttiva che i prestatori di servizi di condivisione di contenuti online effettuano un atto di comunicazione al pubblico”).
La responsabilità diretta degli operatori della rete
L’importanza della norma in commento, comunque la si interpreti, è da attribuirsi al fatto che essa pone comunque in capo a tali operatori la necessità di ottenere un’autorizzazione al fine di poter mettere a disposizione del pubblico opere tutelate dal diritto d’autore. Tale obbligo è ulteriormente rafforzato da un’altra fondamentale previsione di tale norma: e cioè che, in presenza di atti di comunicazione al pubblico di tali operatori, l'articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2000/31/CE non troverà applicazione (cfr. art. 17, § 3).
La direttiva 2019/790/UE in sostanza recepisce l’insegnamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia UE e chiarisce una volta per tutte che tali operatori, nel consentire agli utenti della rete il libero accesso ad opere protette, compiono atti giuridicamente rilevanti e, conseguentemente, essi dovranno ottenere ex ante un’autorizzazione dai titolari dei diritti, ad esempio mediante la conclusione di un accordo di licenza. In mancanza di una tale autorizzazione, il provider sarà dunque direttamente responsabile anche per le condotte dei propri utenti, proprio come se fosse stato esso stesso a porre in essere direttamente la condotta illecita. Sarà dunque lo stesso provider a rispondere degli atti di comunicazione al pubblico posti in essere dai propri utenti. E’ lo stesso legislatore peraltro a suggerire alcuni strumenti contrattuali alle parti coinvolte (i.e. titolari di diritti e gestori di piattaforme) quali, appunto, gli accordi di licenza. Sempre nell’ottica di fornire indicazioni di massima, utili a guidare i titolari dei diritti, da un lato, e i gestori delle piattaforme dall’altro, nella stipula di accordi di licenza, il legislatore unionista ha altresì previsto che tali accordi dovrebbero essere quanto meno “equi e mantenere un equilibrio ragionevole tra entrambe le parti”. Tuttavia ai titolari dei diritti –che restano comunque liberi di decidere se rilasciare o meno tali autorizzazioni- dovrebbe essere sempre garantito “un compenso adeguato per l'utilizzo delle loro opere” (cfr. considerando 61).