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Numerose sono le decisioni intervenute sui diversi aspetti problematici della fattispecie, anche in conseguenza della rilevanza dell’argomento rispetto all’attualità delle condizioni economiche e sociali.
Tra questi è interessante il contributo dato dalla ordinanza n°. 29810, di rimessione alla Corte di Appello di Venezia, resa dalla 1° sezione della Corte di Cassazione in data 12 dicembre 2017.
L’argomento verte sulla declaratoria di nullità di un contratto di fideiussione e sulla conseguente condanna risarcitoria, sul presupposto dell’essere tale contratto applicazione di un generale schema contrattuale, predisposto dall’ABI e sanzionato dalla Banca d’Italia perché lesivo della concorrenza in conformità all’art. 2, comma 2, lett. a), l. 10 ottobre 1990, n. 287.
La Corte di Appello rigettava le domande dell’utente sul presupposto della natura regolamentare del provvedimento della Banca d’Italia, come tale inapplicabile ai contratti conclusi prima della sua emanazione ai fini della declaratoria della relativa nullità. Soltanto il mancato adeguamento dell’ABI nella predisposizione delle norme bancarie uniformi (NBU) potrebbe dirsi illegittimo e conseguentemente determinare la nullità dei contratti stipulati successivamente alla pronuncia del controllore pubblico.
Di diverso avviso sono i Giudici di legittimità, i quali, nel rimettere la decisione ad altra sezione del giudice di merito, hanno espresso il seguente principio di diritto: “in tema di accertamento dell'esistenza di intese anticoncorrenziali vietate dalla L. n. 287 del 1990, art. 2, la stipulazione "a valle" di contratti o negozi che costituiscano l'applicazione di quelle intese illecite concluse "a monte" (nella specie: relative alle norme bancarie uniformi ABI in materia di contratti di fideiussione, in quanto contenenti clausole contrarie a norme imperative) comprendono anche i contratti stipulati anteriormente all'accertamento dell'intesa da parte dell'Autorità indipendente preposta alla regolazione o al controllo di quel mercato (nella specie, per quello bancario, la Banca d'Italia, con le funzioni di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi, ai sensi della L. n. 287 del 1990, artt. 14 e 20, (in vigore fino al trasferimento dei poteri all'AGCM, con la L. n. 262 del 2005, a far data dal 12 gennaio 2016)) a condizione che quell'intesa sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato come nullo, considerato anche che rientrano sotto quella disciplina anticoncorrenziale tutte le vicende successive del rapporto che costituiscano la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza”.
Le motivazioni della Corte
La Corte ha quindi sancito la nullità della fideiussione bancaria stipulata in conformità al modello ABI del 2003 sulla base delle censure mosse da parte della Banca d’Italia.
Già in precedenza parte della giurisprudenza di merito aveva affermato la nullità del contratto di fideiussione per violazione della normativa antitrust. Oggetto di valutazione fu, in particolare, la deroga ivi presente alla disciplina di cui all’articolo 1957 c.c.. Norma – si ricorda – che prevede l’obbligo per il creditore di attivarsi presso il debitore garantito entro sei mesi dalla scadenza della obbligazione garantita se non intende perdere la facoltà di rivalersi nei confronti del fideiussore in forza della garanzia dallo stesso prestata. Si è sostenuto sul punto come “detta intesa sulla clausola di deroga alla disciplina prevista dall’art. 1957 c.c. può reputarsi nulla, in quanto vietata” e che la sanzione “deriva dal fatto che essa ha lo scopo precipuo di addossare al fideiussore le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca, così imponendosi al fideiussore detta clausola e sostituendo il suo diritto di scelta effettiva tra prodotti in concorrenza con una scelta (meramente) apparente”. Da ciò la conseguente liberazione del fideiussore.
La Corte di Cassazione fa proprio tale principio, stabilendo la nullità della fideiussione la cui disciplina richiami quelle condizioni generali di contratto già oggetto di censura da parte della Banca d’Italia.
Ma va oltre, affermando che sono da considerarsi invalide anche quelle fideiussioni stipulate successivamente alla entrata in vigore della legge antitrust, ma antecedentemente all’accertamento della violazione della disciplina da parte dell’Autorità.
La conseguenza di tale violazione è individuata nella nullità del contratto di fideiussione, quale contratto “a valle”. Non viene tuttavia detto se tale nullità sia limitata alle singole clausole contrattuali “sanzionate”, potendosi così trovare applicazione l’articolo 1419, 2° comma, c.c., o invece debba qualificarsi in termini di nullità dell’intero rapporto di garanzia. La soluzione dovrà tener conto della valutazione comparativa tra i diversi interessi coinvolti nel singolo caso, non potendosi dare una sola risposta alle possibili modulazioni in cui possono estrinsecarsi gli effetti di una eventuale violazione.
Nella fattispecie potrebbe forse ritenersi più congruo limitare la sanzione della nullità alle singole clausole difformi alle indicazioni di Banca d’Italia ed adottare la clausola di salvaguardia prevista dall’articolo 1419, 2° comma, c.c.. Il tutto non dimenticando come riconoscere la validità ad un contratto di fideiussione depurato dalle clausole non conformi consentirebbe comunque una forma di tutela dello stesso sistema bancario.
Ciò fatto ovviamente salvo il diritto dell’utente bancario di ottenere il risarcimento dell’eventuale danno patito in dipendenza della fattispecie dedotta in giudizio.
Laddove la Corte d’Appello – alla quale la causa è rinviata – intenda invece applicare ai contratti “a valle” la sanzione della nullità assoluta, l’effetto sarà quello della liberazione di chi ha prestato fideiussione: in particolare, il fideiussore che invoca la nullità, oltre alla possibilità di richiedere il risarcimento del danno derivante da condotta illecita, potrà opporsi ai decreti ingiuntivi che dovesse eventualmente ricevere. Per di più, i correntisti non dovranno provare la condotta anticoncorrenziale tra gli istituti di credito, essendo sufficiente invocare l’accertamento della Banca d’Italia, cui i giudici attribuiscono «elevata attitudine a provare tanto la condotta anticoncorrenziale quanto l’astratta idoneità della stessa condotta a procurare un danno ai consumatori».
Saranno, piuttosto, gli istituti di credito a dover dimostrare l’interruzione del nesso causale tra l’illecito antitrust e il danno patito dai singoli, magari dando atto della specifica contrattazione intercorsa con i fideiussori.