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Si sente sempre più spesso parlare di concessione di opzioni di acquisto e vendita; di cosa si tratta esattamente e come funzionano?
Per iniziare da una definizione più formale, l’opzione, o meglio il patto di opzione, è un contratto con cui una parte (che viene definita concedente) concede ad un’altra parte (l’opzionario) il diritto di costituire un rapporto contrattuale attraverso una propria dichiarazione di volontà.
In termini più concreti e pratici, con l’opzione il concedente si impegna a concludere un contratto che l’opzionario avrà la facoltà, ma non l’obbligo, di concludere. Quindi, l’opzione vincola, per un determinato periodo di tempo, solo il concedente mentre l’opzionario può decidere, in tale lasso temporale, se esercitare l’opzione determinando così il perfezionamento del contratto, oppure non esercitare l’opzione che, alla scadenza del suo termine, cessa.
Per fare un esempio pratico: un soggetto concede ad un altro un’opzione della durata di tre mesi per l’acquisto di un immobile ad un prezzo definito. L’opzionario potrà decidere, nell’arco dei tre mesi di durata dell’opzione, se esercitare l’opzione e quindi acquistare l’immobile al prezzo già concordato.
L’opzionario in questo modo ha la possibilità di godere di un lasso di tempo per valutare l’opportunità dell’affare senza risultare vincolato all’accettazione di alcuna proposta e con la certezza che, nel frattempo, il concedente non possa cambiare idea perché, appunto, con l’opzione si è vincolato contrattualmente a vendere l’immobile.
Nel contesto della compravendita, l’opzione non dev’essere necessariamente di acquisto ma anche di vendita. Attraverso l’opzione di vendita il concedente si impegna ad acquistare un bene al prezzo concordato, nel caso in cui il proprietario del bene, l’opzionario, eserciti l’opzione nel termine di durata della stessa decidendo così di vendere.
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Ha fatto l’esempio dell’opzione nel settore della compravendita immobiliare. Ci sono altri settori in cui viene comunemente utilizzato lo strumento dell’opzione?
Assolutamente sì. Innanzitutto mi preme precisare che, benché l’opzione sia più comunemente utilizzata per le compravendite, può riferirsi a qualsiasi tipo di contratto. Recentemente mi è capitato di predisporre un’opzione per un contratto di locazione con cui il proprietario di un immobile si impegnava a concedere in locazione ad un terzo dei locali commerciali. In quello specifico caso, l’opzione serviva per consentire al futuro conduttore di valutare l’opportunità di avviare un’attività commerciale avendo però nel frattempo “ipotecato” (in accezione non giuridica del termine) i locali. Tornando ai settori, sebbene l’opzione sia uno strumento caratteristico nel settore immobiliare, trova ormai da anni estesa applicazione anche nell’ambito societario. Sempre più si ricorre infatti a contratti di opzioni di acquisto o di vendita (anche definite opzioni call e put) aventi ad oggetto partecipazioni societarie o strumenti finanziari a prezzi predeterminati o comunque determinabili.
Sempre in ambito societario, esiste anche un’opzione prevista direttamente dalla legge a favore dei soci di società che conferisce ai soci, in caso di emissioni di nuove azioni o quote di una società, il diritto di sottoscriverle al fine di evitare che operazioni di aumento del capitale possano alterare la percentuale di partecipazione di ciascun socio al capitale sociale. Chiaramente ci sono limiti e deroghe a tale principio generale ma non voglio divagare troppo e magari ne parleremo in altra occasione.
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È evidente l’interesse della parte beneficiaria dell’opzione, ma quale può essere l’interesse a concedere, ad esempio, un’opzione di acquisto ad un terzo?
Non vi è una risposta univoca. Una prima risposta può essere il corrispettivo che il concedente riceve per l’opzione. Tuttavia, non è sempre il corrispettivo che spinge il concedente a concedere un’opzione. Sebbene sia stato in passato oggetto di dibattito sia dottrinale sia giurisprudenziale, ormai si ritiene che l’opzione possa essere anche gratuita, e quindi non sia necessario che l’opzionario paghi un corrispettivo al concedente, purché di fatto sussista un interesse (in gergo si dice “meritevole di tutela”) del concedente a vincolarsi a beneficio dell’opzionario.
In tal senso, molto spesso le opzioni si inseriscono in più ampi contesti negoziali e quindi l’interesse del concedente può ricondursi al completamento dell’affare complessivo. O ancora, nella prassi societaria è assai diffuso l’uso combinato di azioni put e call con cui le parti si obbligano reciprocamente a vendere e ad acquistare delle partecipazioni, spesso anche a prezzi diversi. In tal caso l’interesse risiede proprio nella reciprocità dell’impegno e/o nella convenienza economica data dal prezzo che può differire.
Ancora, la concessione di un’opzione può essere lo strumento per agevolare la conclusione di un affare o per garantire condizioni economiche migliori per il concedente quale contropartita derivante dalla concessione dell’opzione e quindi dall’incertezza circa l’effettiva conclusione del contratto. Per concludere, quindi, le ragioni possono essere le più disparate e va sempre esaminato il contesto generale in cui si inserisce l’opzione per poter determinare l’interesse di ciascuna delle parti coinvolte.
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Quali sono gli accorgimenti da adottare e quali sono gli elementi principali da considerare quando si stipula un contratto di opzione?
Considerato che con la comunicazione dell’esercizio dell’opzione l’opzionario determina la conclusione del contratto (senza necessità di ulteriori interlocuzioni o negoziazioni e fatte salve solo eventuali formalità meramente esecutive), è evidente che l’opzione deve già contenere tutti gli elementi essenziali del contratto che si perfezionerà in caso di esercizio dell’opzione e, se possibile, ogni altra pattuizione aggiuntiva che possa essere opportuno concordare per agevolare l’esecuzione del contratto stesso.
Per essere pratici: se parliamo di opzione di vendita di un immobile, è chiaro che l’opzione deve già contenere quanto meno l’indicazione specifica e dettagliata dell’immobile e il prezzo di vendita (già determinato o quanto meno determinabile, es. un tot al mq). In aggiunta, l’opzione deve disciplinare bene le tempistiche e le modalità di esercizio dell’opzione. In estrema sintesi, il contratto di opzione deve essere “autosufficiente” in modo tale che non ci siano aree grigie sulle modalità di esercizio dell’opzione e di esecuzione del contratto definitivo. Poi occorrerà tenere a mente ulteriori accorgimenti in relazione a specifiche fattispecie e casistiche. Un esempio tra tanti: si è molto discusso in passato sulla legittimità dell’opzione di vendita (put) di partecipazioni societarie ad un prezzo fisso predeterminato. Si riteneva infatti che in tal modo si incorresse nella violazione del divieto di patto leonino. Questo esempio è solo per dire che, benché vi siano dei principi generali, poi ogni caso va esaminato ed adattato per riflettere le specificità della fattispecie concreta. Ma d’altronde a questo servono gli avvocati (n.d.r. l’avvocato ride).
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Forse andiamo un po’ fuori tema ma prima menzionava il patto leonino. Cos’è?
Il divieto di patto leonino è disciplinato all’articolo 2265 del Codice civile che dispone la nullità di qualsiasi patto che escluda uno o più soci dalla partecipazione agli utili o alle perdite della società. In particolare, si è ampiamente dibattuto della legittimità di un’opzione put a prezzo fisso avente ad oggetto partecipazioni societarie per violazione del divieto di patto leonino. Si riteneva infatti che tale tipologia di opzione di fatto determinasse un’esclusione del socio opzionario (che quindi aveva il diritto di vendere le proprie azioni ad un prezzo già predeterminato) dalla partecipazione alle perdite della Società in considerazione del fatto che il prezzo della vendita delle partecipazioni sarebbe rimasto immutato indipendentemente dai risultati della Società. Senza scendere in troppi dettagli, che possiamo rimandare ad altra occasione, concludo solo dicendo che la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria ormai hanno sciolto questo nodo ritendo che, in presenza di determinati presupposti, questa tipologia di opzione possa essere considerata legittima.
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Per finire, quali sono i rimedi che ha il beneficiario dell’opzione se il concedente dovesse poi rifiutarsi di dare esecuzione all’opzione?
Salve casistiche che possano configurarsi quali contratto preliminare a tutti gli effetti, il comportamento inadempiente del concedente è tendenzialmente fonte di responsabilità risarcitoria. Quindi, se il concedente si rifiuta di dare esecuzione al contratto ovvero, in pendenza del termine per l’esercizio dell’opzione ha posto in essere condotte incompatibili con l’impegno assunto (ad esempio ha venduto ad un terzo il bene oggetto di opzione di acquisto), l’opzionario può chiedere il risarcimento del danno subito per effetto di tale condotta. In casi particolari e in presenza di specifici presupposti di forma e di sostanza, si può anche valutare l’opportunità di adire l’autorità giudiziaria per chiedere l’accertamento della conclusione del contratto e/o di emettere una sentenza costitutiva che ne disponga direttamente gli effetti.