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Premessa
La ormai nota data nel 2026 ha mietuto vittime anche nel processo amministrativo. Dall’avvio delle prime misure attuative del maggio 2021 anche le norme del processo sono state piegate all’interesse primario di non bloccare le gare e l’esecuzione dei contratti, basandosi su una petizione di principio che è colpa degli avvocati se le opere in Italia non si fanno. A due anni di tempo dalla partenza della avventura recovery, siamo ben lieti di dire che non è colpa nostra, ma le ragioni sono sotto gli occhi di tutti. Purtroppo magra consolazione per chi, come chi scrive, crede ancora nel diritto e lo vede frustrato da una normativa speciale che elide qualsivoglia baluardo di difesa di diritti ed interessi, sacrificati per la celerità delle procedure. Per comprendere di cosa si sta parlando, basti pensare che nell’attuale processo amministrativo, la tutela cautelare per le opere recovery non può esser accordata perché i pochi TAR che lo hanno fatto comunque, motivando ampiamente il provvedimento in ordine alle ragioni per le quali l’interesse pubblico alla realizzazione di un’opera strategica poteva ben esser sacrificato, nell’arco di una notte si sono visti ribaltare l’esito con impugnative istantanee al Consiglio di Stato da parte dell’Avvocatura Generale dello Stato, sempre parte in questi processi assieme al MEF.
Le nuove regole
L’art. 3 del D.L. n. 85/2022 ha introdotto di recente nuove misure di legge tese a presidiare gli obiettivi di tempestiva e agile realizzazione degli interventi previsti nell’ambito del PNRR, mediante una celere e ponderata definizione dei giudizi amministrativi eventualmente insorti al riguardo. In particolare, con riferimento a tutte le procedure amministrative esperite ai fini dell’attuazione del detto Piano (progettazione, autorizzazione, approvazione, realizzazione, espropriazione, asservimento, etc.), la norma in esame dispone accorgimenti di carattere processuale, quali:
- il coinvolgimento delle amministrazioni centrali titolari degli interventi previsti nel PNRR come parti necessarie dei giudizi di che trattasi (comma 4);
- il contenimento dei termini di fissazione dell’udienza pubblica per la discussione del ricorso nel merito, in caso di concessione di una misura cautelare (l’udienza deve svolgersi entro 30 giorni da tale concessione), con decadenza della stessa ove siffatti termini non vengano rispettati, e ciò anche per i giudizi già in corso all’entrata in vigore del decreto (commi 1 e 8);
- l’applicazione delle speciali disposizioni concernenti la concessione della tutela cautelare e l’eventuale dichiarazione della inefficacia del contratto ex art. 125 c.p.a., con modifiche e integrazioni di coordinamento apportate dalla norma in esame all’art. 48, comma 4, del Decreto Semplificazioni bis (comma 7);
- uno stringente onere motivazionale posto in capo al giudice amministrativo, chiamato a motivare espressamente l’eventuale concessione della tutela cautelare in rapporto alla compatibilità della stessa e della data di udienza pubblica rispetto ai tempi stabiliti per l’attuazione degli interventi oggetto della controversia (comma 2);
- l’applicazione dei termini abbreviati ex artt. 119, comma 2, e 120, comma 9, c.p.a. previsti in via ordinaria per le controversie afferenti alle procedure di affidamento dei contratti pubblici (comma 5);
- l’applicazione di tutte le suddette previsioni in ogni grado di giudizio, ovverosia in primo grado, appello, revocazione e opposizione di terzo (comma 6).
La questione
In tal contesto, al di la di ogni disquisizione dogmatica, interessantissima, ma pressocché sterile per la miglior tutela degli interessi del privato coinvolto in questi procedimenti che generalmente è un imprenditore o un’ associazione di categoria o soggetti portatori di interessi diffusi, si segnala che in questi processi oltre a non veder accolte le cautelari, non si può neppure ottenere l’annullamento della procedura e il subentro nel contratto, perché è stato disposto che anche laddove il giudice riconosca e dichiari l’illegittimità dell’aggiudicazione , la stessa non travolgerà il contratto stipulato che manterrà la propria efficacia. Il malcapitato vittorioso potrà vedersi corrispondere solo il risarcimento del danno, che per una strana alchimia giuridica non pagherà l’amministrazione o il responsabile del procedimento o chi ha sbagliato, bensì l’aggiudicatario illegittimo. Infatti, secondo un orientamento giurisprudenziale confluito in una sentenza dell’Adunanza plenaria n. 21/2021, ora recepito all’art. 5 comma 4 del dlgs. 36/2023 recante il principio di buonafede, sarà proprio questi a dover pagare quanto dovuto al ricorrente vittorioso.
Il caso della diga foranea di Genova
La conferma di quanto ricostruito, la si può leggere in una interessante pronuncia, quella del TAR Liguria adottata lo scorso 10 maggio 2023 n. 495 che si è pronunciato nel caso dell’affidamento dei lavori di realizzazione della Diga Foraneo del Porto di Genova, - dopo appena una settimana di avvio dei lavori - sentenza nella quale il giudici ricostruito il panorama normativa, oltre a dettare le misure “compensative” del sacrificio del privato, lasciano trapelare in modo chiaro le responsabilità.
Si ribadisce, dopo una settimana dall’avvio dei lavori per la costruzione della nuova diga foranea di Genova, il Tar della Liguria ha annullato l’aggiudicazione della gara. La decisione, però, non avrà effetti sui cantieri. Si tratta, infatti, di un’opera finanziata con le risorse previste dal PNRR e, come si legge anche nella sentenza, in applicazione all’articolo 125 del codice del processo amministrativo, l’annullamento dell’affidamento non comporta la caducazione del contratto già stipulato. L’illegittimità dell’atto ha valore, quindi, solo ai fini risarcitori.
Il ricorso era stato presentato da Eteria, il consorzio guidato dai gruppi Gavio e Caltagirone con la spagnola Acciona e Rcm costruzioni; e si opponeva all’aggiudicazione, al consorzio Webuild-Fincantieri, della gara per la realizzazione dell’opera perché in gara è stato provato in atti del processo, l’aggiudicataria ha dichiarato e depositato documentazione che avrebbe dovuto comprovare l’esperienza pregressa in opere analoghi, che in realtà sarebbe da ascrivere ad altro operatore economico e non già l’aggiudicatario. In precedenza, il TAR aveva rigettato la sospensiva richiesta dai ricorrenti, cosa che avrebbe ostacolato l’avvio dei lavori, iniziati il 4 maggio scorso.
Cosa chiedere nel risarcimento?
Nel calcolo saranno considerate diverse variabili, fra le quali il mancato utile e il risarcimento dei danni provocati dalla procedura di aggiudicazione giudicata illegittima dal tribunale. Di prassi, nel settore delle costruzioni, il mancato utile si calcola nel 10% del valore dell’appalto; a questo si aggiungerà la quantificazione dei danni. Il valore della richiesta nel caso di specie , potrebbe superare i 100 milioni di euro. Ma ben sappiamo che le imprese vogliono realizzare e quindi, anche la previsione di poter comunque in sede curriculare utilizzare questa sentenza non rassicura gli operatori
Considerazioni conclusive e profili critici della norma in oggetto
Da quanto emerso, affiorano dubbi in merito alla effettiva compatibilità di tale previsione di legge rispetto ai principi costituzionali posti a presidio del diritto alla difesa e del giusto processo ai sensi degli artt. 24 e 111 Cost. Vieppiù, la stessa norma pare poter confliggere anche con gli artt. 1, par. 3, e 2, par. 1, lett. a), e 5, della direttiva 2007/66/CE (cd. “Direttiva ricorsi”).
Come è stato da più parti osservato, vale infine rimarcare che, ancora una volta, il legislatore ha optato per il ricorso alla decretazione di urgenza al fine di intervenire con sensibili modifiche e revisioni sulla materia dei contratti pubblici e dei pertinenti procedimenti giurisdizionali, esponendosi, come già in passato, a possibili limiti e profili critici in punto di chiarezza, organicità ed efficacia delle misure adottate – pur comprendendosi, quanto meno in questo caso specifico, la sussistenza di pressanti esigenze di salvaguardia degli obiettivi e degli interventi del PNRR sopra ricordati.