04 Marzo 2019

Le prove convenzionali: art. 2698 c.c.

GIAN PAOLO MARAINI

Immagine dell'articolo: <span>Le prove convenzionali: art. 2698 c.c.</span>

Abstract

Diritti e limiti delle parti nella modifica e regolazione convenzionale del regime dell’onere della prova.

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Quando si approcciano i principi e le regole che disciplinano l’onere della prova si è portati a pensare ad un regime “rigido” e “tassativo” rimesso esclusivamente alla disciplina legale (o all’elaborazione giurisprudenziale che da tale disciplina legale trae fonte) e, quindi, sottratto a qualsiasi interferenza o potere dispositivo delle parti; in realtà così non è.

Come è noto, i principi generali che guidano la disciplina legale della ripartizione dell’onere della prova sono enunciati nell’art. 2697 cod. civ. (ed in generale nel libro sesto, titolo II del codice civile). Tali principi sono ispirati alla regola tradizionale dello “onus probandi incubit ei qui dicit”, ovvero; l’onere della prova è a carico della parte che afferma un fatto per sé favorevole ovvero ne eccepisce l’inefficacia, modifica o estinzione. Come è noto, tale principio generale ha nella prassi processuale dato ingresso a molteplici ed articolate applicazioni alle quali sarebbe improprio anche solo accennare in questa sede.

I principi enunciati dall’art. 2697 cod. civ., ed in generale il regime legale delle prove, non sono tuttavia sottratti al potere dispositivo delle parti. L’art. 2698 cod. civ. nell’enunciare un divieto in realtà afferma e legittima la facoltà delle parti di disporre convenzionalmente delle prove e del regime di regolazione dell’onere della prova.

L’art. 2698 cod. civ. stabilisce: “sono nulli i patti con i quali è invertito ovvero è modificato l’onere della prova, quando si tratta di diritti di cui le parti non possono disporre o quando l’inversione o la modificazione ha per effetto di rendere a una delle parti eccessivamente difficile l’esercizio del diritto”. La norma dunque non pone un divieto assoluto alla possibilità di stipulare patti volti a precostituire delle prove o regolare il regime dell’onere della prova, ma si limita a porre dei limiti alla validità di simili patti: a) non sono ammessi i patti ove l’onere della prova attenga alla tutela di diritti indisponibili (sono per definizione indisponibili quei diritti che trascendono dal mero interesse della parte ma assumono funzione di tutela di interessi pubblicistici: diritti della personalità, diritti relativi allo status “familiare”, ecc.); b) non sono inoltre ammessi simili patti quanto la disciplina convenzionale sia tale da rendere “eccessivamente difficile” ad una parte l’esercizio dei propri diritti: norma generale di “chiusura” la cui concreta applicazione dipende dall’esercizio del potere discrezionale di valutazione ed interpretazione del patto da parte del giudice.

I patti volti alla pre-costituzione di prove o presunzioni, ovvero finalizzati alla modifica o inversione del regime generale dell’onere della prova, salvo i limiti prescritti dall’art. 2698 cod. civ., sono dunque perfettamente legittimi e vengono generalmente qualificati come patti di diritto privato a contenuto processuale; si discute se l’eventuale inserimento di simili patti in condizioni generali di contratto o in “moduli e formulari” richieda o meno la specifica approvazione ai sensi dell’art. 1341 o 1342 cod. civ.; in realtà solo l’art. 33 lett. t) del decreto legislativo 6.9.2005 n. 206 (Codice del Consumo) qualifica espressamente come “vessatori” simili patti, ma laddove il contraente “debole” non sia un “consumatore” e ci si debba strettamente attenere all’applicazione degli artt. 1341 o 1342 cod. civ., la qualifica di “vessatorietà” vacilla non rientrando tali patti nel “catalogo” tassativo delle clausole vessatorie previsto dalle stesse norme.

Non a caso ho fatto riferimento alle condizioni generali di contratto o ai “moduli e formulari”, in quanto l’inserimento di tali patti (peraltro in modo quasi mai così espresso e spesso surrettizio) è costume tutt’altro che raro in simili fattispecie. Si pensi alle clausole inserite nei contratti di conto corrente in forza delle quali il cliente riconosce che i libri e le altre scritture contabili della banca fanno piena prova nei suoi confronti (si è espressa generalmente per la validità di simili patti e per loro non contrarietà al disposto di cui all’art. 2698 cod. civ. la giurisprudenza di legittimità: Cass. 2 dicembre 2011 n. 25857, Cass. 29 gennaio 1982, 575). Si pensi alle clausole inserite nelle condizioni (generali o particolari) dei contratti di assicurazione che pongono a carico dell’assicurato l’onere di dimostrare delle circostanze, anche indipendenti da comportamenti o iniziative dello stesso assicurato, funzionali alla dimostrazione che il rischio assicurato (i.e. furto, incidente, infortunio) non sia dipeso da suo dolo o colpa grave (art. 1900 cod. civ.), dimostrazione dalla quale quindi si faccia dipendere lo stesso diritto alla liquidazione del danno (per la validità di simili patti Corte d’Appello di Napoli 27 marzo 1982; si è invece espressa per la loro nullità Corte d’Appello di Roma 8 giugno 2000: evidentemente tali pronunce vanno interpretate e valutate con stretto riferimento alle specifiche fattispecie negoziali esaminate dai giudici). Rientra, a ben vedere, tra i patti derogativi del regime dell’onere della prova anche la clausola usuale nelle garanzie autonome che impone al garante di adempiere alla richiesta di pagamento a fronte di “semplice richiesta” del beneficiario e “senza eccezioni” (espressamente in tal senso Tribunale di Milano, 22 settembre 1986).

Tralasciando quel che può essere un utilizzo indebito e vessatorio dei patti relativi all’onere della prova ex art. 2698 cod. civ. (rispetto al quale comunque la stessa norma ed i principi generali enunciati dagli artt. 1341 e 1342 cod. civ. e/o dal d. lg. 206/05 possono fornire, come visto, degli strumenti di tutela), gli stessi patti in realtà consentono, nell’ambito di un legittimo esercizio del principio di autonomia contrattuale (art. 1322 cod. civ.), di offrire molteplici soluzioni alle parti per prevenire contestazioni in ordine alla prova di determinate circostanze rilevanti nello sviluppo della dinamica e delle vicende del contratto, rendendo quindi superfluo, non necessario ed addirittura inammissibile, il ricorso al regime generale della ripartizione dell’onere della prova e ai mezzi di prova ordinari (prove testimoniali o presuntive) non sempre agevoli da offrire e comunque rimessi all’apprezzamento ed alla discrezionale valutazione di un giudice (in tal senso Cass. 2 febbraio 1994 n. 1070).

 

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