15 Novembre 2018

Il recupero del volto costituzionale della bancarotta nella più recente giurisprudenza della Cassazione

ELISABETTA BUSUITO

Immagine dell'articolo: <span>Il recupero del volto costituzionale della bancarotta nella più recente giurisprudenza della Cassazione</span>

Abstract

L’articolo passa in rassegna due recenti sentenze della Quinta Sezione della Corte di Cassazione, che segnano una tappa necessaria nella direzione del recupero dell’offensività nell’interpretazione della fattispecie di bancarotta fraudolenta, attraverso l’abbandono dei canoni ermeneutici propri del pericolo astratto e la valorizzazione del paradigma del pericolo concreto.

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La concretezza del pericolo derivante dall’illecito

Con due recenti pronunce la Quinta Sezione della Corte di Cassazione è intervenuta sul versante della concretezza del pericolo richiesto ai fini della integrazione della bancarotta fraudolenta, nella direzione del recupero del volto costituzionale dell’illecito.

Con sentenza n. 17819 del 24 marzo 2017, partendo dalla premessa secondo la quale l'offensività del reato è contraddistinta dal pericolo che, ove per qualsiasi ragione si dia luogo ad una procedura concorsuale, l'esito della stessa venga condizionato da atti distrattivi che abbiano comunque ridotto il patrimonio disponibile, la Suprema Corte trae la conseguenza secondo cui là dove esista uno stretto rapporto cronologico tra l’atto dispositivo diminutivo del patrimonio e gli evidenti segnali o indicatori dei presupposti storici della procedura, la ricostruzione della fattispecie normativa è particolarmente agevole in quanto è del tutto evidente la natura non solo "pericolosa" ma anche concretamente depauperativa della azione e la rimproverabilità soggettiva del suo autore.

Il problema ermeneutico può nascere, piuttosto, quando quel rapporto cronologico non vi sia e l'atto di cui si assume la conformità all’art. 216 comma 1, n. 1 L.F. non possa correlarsi oggettivamente e soggettivamente, in modo intuitivo ed evidente, alla fase di crisi o insolvenza della impresa.

La risposta che la Cassazione offre a tale delicato problema si articola in un lungo percorso motivazionale, teso a recuperare le note di offensività e colpevolezza smarrite da quella giurisprudenza che ha interpretato la fattispecie in termini di reato di pericolo presunto, ritenendo che, ai fini dell’integrazione dell’elemento oggettivo del delitto, fosse sufficiente ogni distacco ingiustificato dal patrimonio dell’impresa o della società, indistintamente e in sé, schiacciando in termini assertivi la prospettiva della ricerca della prova sul punto genetico del distacco, a prescindere dalla ricerca della qualità del distacco stesso e dalla valutazione della concreta idoneità a porre in pericolo la garanzia per i creditori.

La bancarotta fraudolenta: valutazione del pericolo concreto

In questo contesto, la Quinta sezione ha posto alcuni punti fermi, affermando, anzitutto che la bancarotta fraudolenta patrimoniale è un reato di pericolo concreto e che tale pericolo deve essere correlato all’idoneità della condotta ad arrecare offesa all’integrità della garanzia dei creditori nella evenienza della apertura di una procedura concorsuale. In secundis,  la valutazione della sussistenza del concreto pericolo «deve poggiare su criteri ex ante» in relazione alle caratteristiche complessive della condotta e della situazione finanziaria della società, senza che sia esclusa dalla valutazione la permanenza o meno della stessa situazione fino all'epoca antecedente l'atto di apertura della procedura. Valore fortemente indiziante viene assegnato all'avere agito nella "zona di rischio penale". Ossia, in quella area temporale che la dottrina comunemente individua come prossimità dello stato di insolvenza. Sicché l'apprezzamento di uno stato di crisi, normalmente conosciuto dall'agente imprenditore, è destinato a orientare la "lettura" di ogni sua iniziativa di distacco dei beni nel senso dell’idoneità a creare un pericolo per l'interesse dei creditori sociali. Ciò non esclude che il reato possa essere integrato da comportamenti anche antecedenti a tale fase di crisi della vita della azienda, a condizione però che questi presentino caratteristiche obiettive (si pensi all’operazione fittizia, alla distruzione o alla dissipazione) che, di regola, non richiedono particolari e ulteriori accertamenti per provare l’esposizione a pericolo del patrimonio e che risultino e permangano congruenti rispetto all'evento giuridico (esposizione a pericolo degli interessi della massa) che poi si addebita all'agente. Da ultimo, precisa la Cassazione, per le tipologie di bancarotta residue rispetto allo schema interpretativo tracciato, (i.e., essenzialmente gli atti di spesa non orientati su obiettivi correlati all'oggetto della impresa e cronologicamente distaccati, in modo significativo, dall'epilogo della vita della stessa) il compito dell'interprete, volto sempre a dimostrare l’idoneità lesiva di simili comportamenti rispetto agli interessi dei creditori della procedura concorsuale, è più complesso e oneroso.

Il percorso avviato dalla sentenza sopra indicata viene proseguito da Cass. Pen,  Sez. V,  23 giugno 2017, n. 38396, che valorizza la ricerca di “indici di fraudolenza”, al fine dell’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico richiesto per l’integrazione della fattispecie. In tale ultima occasione, la Cassazione ha, in particolare,  affermato che:

  1. le fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale hanno natura di reato di pericolo concreto, sicché, per il loro perfezionamento, è esclusa la necessità di un nesso causale tra i fatti di bancarotta ed il successivo fallimento, laddove i fatti di bancarotta possono assumere rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando l'impresa non versava ancora in condizioni di insolvenza;
  2.  in quanto reato di pericolo concreto è comunque necessario, da un lato, che il fatto di bancarotta abbia determinato un depauperamento dell'impresa e un effettivo pericolo per la conservazione dell'integrità del patrimonio dell'impresa, da valutare nella prospettiva dell'esito concorsuale e sulla base dell'idoneità del fatto distrattivo ad incidere sulla garanzia dei creditori alla luce delle specifiche condizioni dell'impresa e, dall'altro, che tale effettivo pericolo non sia stato neutralizzato da una successiva attività "riparatoria" di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell'impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento;
  3. fuori dall'ipotesi di esposizione o riconoscimento di passività inesistenti, l'elemento psicologico della bancarotta fraudolenta patrimoniale è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ma è sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell'impresa e di compiere atti che possano cagionare o cagionino danno ai creditori. In quanto afferente a un reato di pericolo concreto, caratterizzato dalla "fraudolenza" come connotato interno del fatto, il dolo generico della bancarotta fraudolenta patrimoniale richiede comunque la rappresentazione da parte dell'agente della pericolosità della condotta distrattiva, dissipativa, etc., da intendersi come probabilità dell'effetto depressivo sulla garanzia patrimoniale che la stessa è in grado di determinare e, dunque, la consapevole volontà del compimento di operazioni sul patrimonio sociale, o su talune attività, idonee a cagionare un danno ai creditori;
  4. l'accertamento dell'elemento oggettivo del reato di pericolo concreto e del dolo generico  deve basarsi sugli ordinari criteri, valorizzando, in particolare, la ricerca di "indici di fraudolenza" necessari a dar corpo alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell'integrità del patrimonio dell'impresa funzionale ad assicurare la garanzia dei suoi creditori e alla relativa proiezione soggettiva, ossia all'accertamento, in capo all'agente, della consapevolezza e della volontà della condotta in concreto pericolosa. Tra tali indici, mutuati e sviluppati in tema di analisi di impresa, vengono indicati in via esemplificativa: la valutazione del fatto distrattivo alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’impresa e della congiuntura economica in cui la condotta pericolosa per le ragioni della massa dei creditori è stata realizzata; il contesto all’interno del quale l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’imprenditore o dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte nei fatti dannosi per la società fallita; la distanza tra fatto generatore di uno squilibrio tra attività e passività rispetto a qualsiasi canone di ragionevolezza imprenditoriale..

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