***
Analisi del Rent to Buy di Azienda
Il Rent to Buy di Azienda è un modello contrattuale di elaborazione dottrinale[1] derivante da un’accurata esegesi delle disposizioni in materia di Rent to Buy di Immobili di cui all’art. 23 del D.L. n. 133/2014 (convertito nella L. 164/2014). Tale normativa è stata introdotta con l’intento di stimolare la ripresa del settore immobiliare in sofferenza a causa della stretta creditizia conseguente alla crisi economica di quel periodo. A questo fine, il Rent to Buy di Immobili proposto dal Legislatore tende a contemperare l’interesse del venditore all’alienazione dell’immobile con quello del potenziale acquirente sprovvisto di liquidità e impossibilitato ad accedere al credito.
Ne risulta un complesso meccanismo giuridico che permette al soggetto concedente di offrire il godimento di un immobile al soggetto conduttore a fronte del pagamento di un canone, con facoltà per il conduttore di acquistare il bene entro un dato termine imputando al corrispettivo del trasferimento della proprietà la parte di canone indicata nel contratto.
Il tutto nell’ambito di un’architettura normativa che, tra gli aspetti principali, prevede:
- la scomposizione del canone in quota remunerativa del godimento del bene e quota imputata a corrispettivo della vendita da restituire in caso di mancato esercizio della facoltà di acquisto;
- la risoluzione del contratto in caso di mancato pagamento di un numero minimo di canoni, determinato dalle parti, non inferiore ad un ventesimo del loro numero complessivo;
- l’opponibilità del contratto ai terzi mediante la trascrizione ai sensi dell’art. 2645 bis c.c., con efficacia elevata a un massimo di dieci anni;
- la prosecuzione del contratto in caso di fallimento del concedente, in deroga alle norme fallimentari che consentono al curatore di sciogliersi dai rapporti contrattuali pendenti.
In questo contesto giuridico, in dottrina si ritiene che l’art. 23 del D.L. n. 133/2014 contempli un modello di acquisto graduale della proprietà in cui l’elemento caratterizzante dell’operazione non è dato dalla natura immobiliare dell’oggetto della cessione, bensì dal “godimento finalizzato all’acquisto”.
Come tale, lo schema negoziale in questione si presta ad essere utilizzato anche per l’acquisizione di beni diversi dagli immobili, e segnatamente per i trasferimenti dei complessi aziendali (con o senza immobili), in relazione ai quali presenta molteplici elementi di attrattività.
In particolare, si segnala:
- dal punto di vista del conduttore/acquirente, la possibilità di valutare la capacità reddituale dell’azienda e la reale competitività del settore, la programmazione nel tempo dell’impegno finanziario, la creazione del c.d. storico creditizio, l’accantonamento di parte di quanto versato come acconto prezzo, la posticipazione dei costi e delle imposte relative all’acquisition financing e al rogito notarile; e
- dal punto di vista del concedente/venditore, la rivitalizzazione dei valori dell’azienda dovuta ad una nuova gestione imprenditoriale che con ogni probabilità coniugherà rischio e rendimento in maniera diversa.
Nel Rent to Buy di Azienda, peraltro, il godimento del compendio aziendale diviene funzionale alla produttività dello stesso e implica per il conduttore un vero e proprio obbligo alla gestione redditizia a tutela delle qualità dell’azienda stessa, tra le quali l’avviamento.
Infine, tra le applicazioni del Rent to Buy di Azienda, si prospetta anche la possibilità di un suo proficuo utilizzo ai fini del passaggio generazionale d’impresa, sebbene con talune accortezze volte a preservare il rispetto della quota di legittima: ad esempio, nell’ambito di un lascito testamentario di beni aziendali si potrebbe prevedere che alcuni cespiti vadano a comporre la quota dell’erede necessario in modo da soddisfare la legittima e che, al contempo, gli stessi siano oggetto di un legato di opzione a favore del successore nell’azienda.
Conferma della giurisprudenza di merito
Recentemente, il Tribunale di Catanzaro, sezione fallimentare, con ordinanza n. 8064 del 05/12/2019, ha confermato la legittimità del Rent to Buy di Azienda, la possibilità cioè di avvalersi del modello contrattuale previsto per il Rent to Buy di Immobili anche per la cessione dei compendi aziendali, e la prosecuzione di tale contratto in caso di fallimento del concedente ai sensi del comma 6, dell’art. 23, D.L. n. 133/2014.
Il caso riguardava il reclamo proposto ex art. 36 L.F. avverso il recesso della curatela di un fallimento da un contratto di concessione del godimento di ramo di azienda (comprensivo anche di immobili) con diritto di acquisto, stipulato dalla società fallita in qualità di concedente e avente le caratteristiche tipiche dell’istituto di cui all’art. 23 del D.L. n. 133/2014.
In prima istanza, il Giudice Delegato aveva respinto il reclamo sul presupposto della scarsa trasparenza dell’operazione negoziale tale da far ritenere che il contratto sarebbe stato passibile di revocatoria ex art. 67 L.F. in quanto non stipulato al “giusto prezzo”.
Sul reclamo ex art. 36, comma 2, L.F., il Tribunale in composizione collegiale ha, preliminarmente, chiarito che il citato art. 23 del D.L. n.133/2014 regolamenta in maniera unitaria e tipica il contratto di rent to buy, i cui elementi essenziali sono costituiti dalla concessione in godimento e dal diritto del conduttore di acquistare il bene oggetto del rapporto contrattuale, dal pagamento di un canone da imputare in tutto o in parte a corrispettivo del trasferimento del bene, dal rinvio alle norme in materia di usufrutto e ancora dalla disciplina particolare per i casi di risoluzione e inadempimento delle parti; mentre non sembra si possa affermare che il bene “immobile”, come considerato nello schema normativo, assurga a requisito unico, essenziale e decisivo del contratto in esame, né integri la sua causa in maniera determinante.
Sulla base di tale assunto, il Collegio ha quindi affermato il principio di cui alla seguente massima: “Il rent to buy di azienda ha la stessa funzione e la stessa ratio del c.d. rent to buy di immobili per quel che concerne la struttura e la funzione di questo contratto, con l’unica differenza che il primo ha nella sua regolamentazione negoziale un bene diverso dal secondo. Da ciò discende la possibilità di prevedere un contratto di rent to buy tipico avente ad oggetto un complesso aziendale, comprensivo o meno di beni immobili e/o diritti reali immobiliari, con la peculiarità che, ove l'azienda dovesse ricomprendere beni immobili troverà piena applicazione la normativa di cui all’art. 23 del decreto legge 133/2014 e dunque anche il comma 6, primo periodo che dispone espressamente che in caso di fallimento del concedente il contratto prosegue, fatta salva l'applicazione dell’art. 67, comma 3, lettera c) del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e ss.mm.”[2].
Ne risulta, allo stato, una ulteriore attestazione della piena cittadinanza nel nostro ordinamento dello schema tipico del Rent to Buy di Azienda.
Prospettive di riforma
I riconoscimenti dottrinali e giurisprudenziali ricevuti dal Rent to Buy di Azienda lo candiderebbero, per le descritte caratteristiche, ad essere uno strumento giuridico diretto a favorire la circolazione delle realtà aziendali e ad agevolarne così, se del caso, anche il salvataggio.
Non si è mancato, tuttavia, di evidenziare che il principale ostacolo alla diffusione del Rent to Buy di Azienda è rappresentato dall’imposizione fiscale indiretta a cui è assoggettata la frazione del canone periodico convenzionalmente imputata ad anticipazione sul prezzo di cessione (imposta di registro con aliquota del 3%). Tale imposta è dovuta sull’importo complessivo degli anticipi all’atto della registrazione del contratto di Rent to Buy (stante la sua natura di preliminare unilaterale ai fini della cessione); per, poi, essere imputata all’imposta di registrazione del contratto definitivo all’atto della sua eventuale stipula. Stando, però, all’interpretazione offerta dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 4/E del 19 febbraio 2015, l’imposta di registro versata sugli acconti di prezzo non potrà essere restituita al conduttore né in caso di mancato esercizio del diritto di acquisto, né in caso di risoluzione per inadempimento di una delle parti.
Sarebbe, pertanto, auspicabile un intervento normativo che preveda la restituzione dell’imposta di registro versata sugli anticipi del prezzo di cessione in qualsiasi caso in cui l’operazione di alienazione non vada a buon fine; o, in alternativa, che almeno regoli la tassazione indiretta del Rent to Buy di Azienda sulla falsariga della disciplina dell’imposta di registro applicabile ai contratti condizionali non meramente potestativi, che vengono registrati con il pagamento dell’imposta in misura fissa per poi essere assoggettati, se e quando si verifica la condizione, al versamento dell’eccedenza di quanto dovuto in misura proporzionale.
In tal modo, la tipizzazione del Rent to Buy di Azienda verrebbe completata con una disciplina fiscale più fedele al carattere eventuale del trasferimento e più idonea a liberarne le potenzialità di utilizzo; il che potrebbe essere particolarmente utile per l’economia, anche in un contesto caratterizzato da grave illiquidità come quello attuale derivante dall’emergenza sanitaria COVID-19.
[1] Il presente elaborato si basa sui contributi dottrinali riportati nel volume “Rent to buy di azienda”, a cura di S. Landini e M. Palazzo, I Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato, Ed. Gruppo24Ore, Milano 2016.
[2] Cfr. Tribunale Catanzaro, sezione fallimentare, 05/12/2019, riportata in De Jure, Giuffré, fonte Redazione Giuffré 2019.