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Natura del rapporto Amministratore – Società
La dottrina inquadra il rapporto intercorrente tra la società e l’amministratore nel “contratto di amministrazione”[1] precisando che trattasi di un “rapporto tipico non risolubile in alcun altro”[2].
Secondo la Suprema Corte, il rapporto amministrativo “è rapporto di società, perché serve ad assicurare l’agire della società” (Cass. Civ. Sez. Un., n. 1545/2017). I doveri degli amministratori scaturenti dall’esecuzione di detto “rapporto” «sono previsti dalla legge o dallo statuto» (art. 2392, c.c.) e la legge prevede che tali doveri debbano essere adempiuti con «la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze».
Solo l’eventuale omissione, da parte dell'amministratore, di quelle cautele, di quelle verifiche o di quelle informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel genere, può configurare la violazione dell'obbligo di adempiere con diligenza il mandato di amministrazione e può quindi generare una responsabilità contrattuale dell’amministratore verso la società (Cass. civ. n. 17494/2018).
L’azione sociale di responsabilità
La responsabilità ipotizzata dall'art. 2392 c.c. discende unicamente dalla violazione di obblighi giuridici, gravanti sui gestori del patrimonio sociale, cui non potrebbe invece essere mai imputato, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico: giacché una valutazione di tal fatta atterrebbe alla sfera dell’opportunità, e, dunque, della discrezionalità amministrativa, e potrebbe semmai solo rilevare come giusta causa di revoca dell'amministratore dalla carica, e non già come fonte di responsabilità contrattuale dello stesso verso la società (Cass. civ. n. 17441/2017, Cass. civ. n. 3409/2013). In base alla c.d. business judgment rule o giudizio prognostico postumo, infatti, è escluso che possa essere effettuato ex post un vaglio del merito e della bontà dell’operazione, salva ovviamente la verifica che l’operazione non risulti del tutto irrazionale ed aleatoria, ma l’indagine dovrà essere volta esclusivamente a verificare ed accertare la correttezza procedurale della decisione.
Quanto poi al requisito soggettivo della responsabilità degli amministratori verso la società, occorre subito rilevare come la natura contrattuale di tale responsabilità comporti che, mentre su chi promuove l'azione grava esclusivamente l'onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità tra queste ed il danno verificatosi, incombe, per converso, sugli amministratori l'onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell'osservanza dei doveri e dell'adempimento degli obblighi loro imposti (Cass. civ. n. 25977/2008; Cass. civ. n. 2772/1999)
Se, alla stregua di questi criteri, più amministratori appaiono responsabili, la loro responsabilità sarà solidale (art. 2392, 1° co. c.c.). Da ciò deriva che la disciplina della responsabilità sia applicabile a tutti coloro che hanno in concreto svolto attività gestoria a prescindere da una loro formale investitura, i.e. gli amministratori di fatto.
La violazione degli obblighi gravanti sugli amministratori, e, quindi, l’accertamento dell'inadempimento da parte di costoro agli obblighi imposti dalla legge e/o dall'atto costitutivo o dallo statuto, costituisce presupposto necessario, ma non sufficiente per affermarne la responsabilità risarcitoria: occorrono, infatti, tanto la prova del danno, ossia del deterioramento effettivo e materiale della situazione patrimoniale della società, quanto la diretta riconducibilità causale di detto danno alla condotta omissiva o commissiva, dolosa o colposa, degli amministratori stessi. (cfr. Cass. civ. n. 5960/05; Cass. civ. n. 5876/11; Cass. civ. n. 7606/11).
La ripartizione dell'onere della prova - Cassazione civile sez. I - 09/11/2020, n. 25056
Ora, con specifico riferimento alla natura della responsabilità degli amministratori verso la società, parte della dottrina[3], seguita dalla giurisprudenza[4], la qualificano come contrattuale.
La natura contrattuale della responsabilità degli amministratori verso la società, comporta che la società attrice abbia soltanto l'onere di provare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità fra tali comportamenti ed il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori il dovere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati dell'osservanza dei doveri e dell'adempimento degli obblighi loro imposti (Cass. civ. n. 2975/2020, Cass. civ. n. 17441/2016 e Cass. civ. n. 3409/2013).
Tuttavia, come da ultimo ha meglio chiarito la Suprema Corte con la sentenza n. 25056 resa in data 09.11.2020, “nel caso in cui i comportamenti degli amministratori che si assumono illeciti non siano in sé vietati dalla legge o dallo statuto, l'onere della prova dell'attore non si esaurisce nella dimostrazione dell'atto compiuto dall'amministratore, investendo anche quegli elementi di contesto dai quali è possibile dedurre che lo stesso implica violazione del dovere di lealtà o di quello di diligenza; a fronte della prova della violazione del dovere, compete all'amministratore allegare e provare gli ulteriori fatti che siano idonei ad escludere o ad attenuare la sua responsabilità”.
Considerazioni conclusive
La sentenza in commento ha, innanzitutto, ribadito che la responsabilità degli amministratori verso la società discende dal compimento di atti dannosi per la società in violazione dei doveri gestori discendenti dalla legge e/o dallo statuto. Al contrario, l’insuccesso dal punto di vista economico della società non costituisce ipso facto inadempimento e conseguente responsabilità per gli amministratori.
Tale regola, chiarisce la Sezione I civile della Suprema Corte, trova un limite qualora i comportamenti degli amministratori che si assumono illeciti discendano dal dovere di lealtà, coincidente col precetto di non agire in conflitto di interessi con la società amministrata, o dal dovere di diligenza, consistente nell'adottare tutte le misure necessarie alla cura degli interessi sociali a lui affidati.
In tal caso l’onere della prova dell'attore non si esaurisce nella dimostrazione dell'atto compiuto dall'amministratore, ma investe anche quegli elementi di contesto dai quali è possibile dedurre che lo stesso implica violazione del dovere di lealtà o di diligenza. Pertanto, in relazione alla mancata osservanza, da parte dell'amministratore, dell'obbligo di diligenza, chi agisce in giudizio deve dare dimostrazione di quegli elementi di contesto dai quali è possibile inferire la violazione del predetto dovere (Cass. civ. n 25056/2020).
Nel momento in cui la prova viene acquisita nel processo, spetta all'amministratore evocato in giudizio allegare e provare gli ulteriori fatti, consistenti in cautele, informazioni e verifiche, che sono idonee ad escludere od attenuare la sua responsabilità colpevole (Cass. civ. n 25056/2020; Cass. civ. nn. 15470/2017, 17761/2016, 1783/2015 e 3409/2013).
[1]Per tutti, A. TOFFOLETTO, in AA.VV., Diritto delle società. Manuale breve, Milano, 2012.
[2] CAMPOBASSO Diritto commerciale 2 Diritto delle società, a cura di M. Campobasso, Torino 2020; e in tal senso di esprime anche la giurisprudenza, e, per tutte, v. Cass., 23 luglio 2004, n. 13805
[3] G.F. CAMPOBASSO, vedi n. 2.
[4] Fra molte, Cass., 29 ottobre 2008, n. 25977, in Fallimento, 2009, 619.