26 Maggio 2020

La responsabilità per gli amministratori senza delega per difetto d’organizzazione

GIUSEPPE ROCHIRA

Immagine dell'articolo: <span>La responsabilità per gli amministratori senza delega per difetto d’organizzazione</span>

Abstract

L’art. 2086 c.c., così come modificato dall'art. 375 del nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, stabilisce la regola generale in base alla quale tutti gli imprenditori che operano in forma societaria o collettiva hanno il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, che sia anche funzionale alla rilevazione tempestiva di una eventuale crisi e della perdita della continuità aziendale, al fine di adottare ed attuare senza indugio gli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.

L’attuale ordinamento giuridico impone agli amministratori - anche privi di deleghe -, un atteggiamento che risulti improntato a: trasparenza, informazione, iniziativa, intervento e attivazione. Con il fine di consentire un efficace funzionamento dell’organo amministrativo, quantitativamente e qualitativamente diretto alla realizzazione dei principi di corretta amministrazione ed efficiente gestione della società nel perseguimento dell’oggetto sociale.

Gli assetti organizzativi e amministrativi della società, nonché le procedure di allerta che l’organo amministrativo deve prevedere, in un quadro organico delle attività che gli amministratori sono chiamati a svolgere, hanno l’obiettivo di definire la figura attuale dell’amministratore senza deleghe, fungendo da riferimento per tutti coloro che operano nell’ambito dei meccanismi collegiali di governance societaria.

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Il modello organizzativo di amministrazione ed il deficit di responsabilità

Dal 16 marzo 2019, il ruolo proattivo nell’ambito del C.d.A. di tutti i componenti privi di delega è divenuto un effettivo supporto agli organi delegati, tanto da assumere - più di ieri -  un valore insopprimibile per il governo della società e per la tutela degli interessi degli stakeholders. Pertanto il nuovo sistema delle responsabilità degli amministratori non delegati, che viene rafforzato in via generale dall’art. 2086 c.c., è più articolato rispetto al passato, stante la graduazione delle medesime e a seconda del ruolo effettivamente svolto nell’organizzazione societaria, rispetto agli organi delegati. Questi, essendo direttamente coinvolti nelle dinamiche aziendali, acquisiscono maggiore e completa conoscenza delle stesse e, dunque, hanno maggiori, e più dirette, responsabilità rispetto agli amministratori privi di deleghe.

La novellata disposizione dell’art. 2086 c.c., risultando mutuata da quanto disposto agli artt. 2381e 2392 c.c., all’interno del codice oggi assume carattere generale rispetto alle seconde già vigenti, le quali vengono ad assumere carattere speciale. È così garantito, in ossequio alla business judgement rule, il dovere degli amministratori con delega di agire in modo informato e, per gli altri, l'obbligo di intervenire, per impedire fatti di gestione pregiudizievoli o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose che potrebbero derivarne.

Dopo la riforma del diritto societario del 2003 è pacifico che, in presenza di un modello organizzativo improntato alle nuove disposizioni, la responsabilità degli amministratori privi di deleghe operative non possa che discendere da una condotta di omessa vigilanza. Si passa così da un rischio di adozione di una responsabilità sostanzialmente oggettiva, ad un ancoraggio della stessa ad inadempimenti specifici, ricollocandola entro parametri soggettivi della culpa in vigilando, piuttosto che in eligendo.

Ora, in materia di s.p.a., l’art. 2392 co. 1 cc. limita la responsabilità degli amministratori senza deleghe all’adempimento secondo la diligenza richiesta dall’incarico, escludendo espressamente la loro responsabilità solidale quando si tratti di attribuzioni delegate al comitato esecutivo, piuttosto che a uno o più membri del C.d.A. 

In tema di s.r.l., invece, con riferimento ai poteri-doveri di iniziativa e di intervento degli amministratori, l’art. 2476 co. 1 c.c. precisa che la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa e che, essendo a conoscenza che l’atto si stava per compiere, abbiano fatto annotare il proprio dissenso.

Ebbene, dalla riforma del 2003 all’entrata in vigore del nuovo Codice della crisi d’impresa, poteva solo ipotizzarsi un’applicazione analogica delle disposizioni delle s.p.a. alle s.r.l., in quanto i due tipi di società avevano discipline distinte.

Oggi però, detto intervento di riforma ha modificato anche l’art. 2475 co. 1 c.c. (rubricato amministrazione delle società), rinviando espressamente all’art. 2086 co. 2 c.c., di cui si discute, elevandolo a modello di riferimento per un’ottimale amministrazione/organizzazione nelle s.r.l.

Pertanto, il novellato espresso riferimento al 2086 c.c. può considerarsi un avvicinamento della disciplina di s.r.l. e s.p.a., quantomeno in tema di responsabilità dei vertici amministrativi. Infatti, la portata generale del secondo comma dell’art. 2086 c.c. non può, come detto, non costituire un parametro comune ad ogni forma d’impresa ovvero di governance.

Ancora, la scelta del legislatore di novellare l’art. 2086 c.c. (si badi, collocato al Capo I, Sezione I, del Codice civile nel Titolo II, rubricato “del lavoro nell’impresa”,  non già nel Titolo V, “delle società”) non si concreta di fatto in una scelta imprenditoriale, bensì nell’imposizione di un protocollo organizzativo avente efficacia potenzialmente liberatoria per il board.

La disposizione de qua, infatti, da un lato chiarisce che gli assetti organizzativi rappresentano l’esplicazione dell’obbligo di corretta gestione imprenditoriale, come del resto è dato evincere dall’art. 2381 c.c. laddove teorizza l’agire informato. Dall’altro lato, specifica che l’adeguatezza degli assetti deve essere valutata anche in funzione della tempestiva rilevazione della crisi e della perdita della continuità aziendale, di guisa che le responsabilità per mancata istituzione degli assetti organizzativi ricadano sull’intero C.d.A. e, dunque, anche sugli amministratori privi di delega che non si siano prontamente attivati, impartendo direttive in tal senso.

Quanto sopra esposto è confermato dal quinto comma dello stesso art. 2381 c.c., per cui le procedure degli assetti organizzativi rientrano tra le funzioni dei consiglieri muniti di delega, mentre, ai sensi del comma sesto, la valutazione sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo spetta ai consiglieri senza delega. È dunque evidente come dal combinato disposto dell’art. 2086 c.c. e dell’art. 2381 c.c. emerga un coinvolgimento in termini di controllo sugli assetti organizzativi dell’intero C.d.A.

L’organo amministrativo collegiale dovrà pretendere dai delegati l’attuazione di procedure di allerta, assicurando un proficuo scambio di informazioni tra gli organi della società e, nelle realtà di gruppo, tra gli organi della holding e delle società eterodirette, con cadenza almeno semestrale (nelle società quotate almeno con cadenza trimestrale) rispetto al generale andamento della gestione.

Fermo tutto quanto precede, è evidente che le responsabilità per danni derivanti da un eventuale deficit organizzativo si estenderanno ai consiglieri senza delega tutte le volte in cui non si saranno attivati senza indugio al fine di eliminare le deficienze riscontrate. Tal che, solo il diligente comportamento da essi tenuto, con richieste di informazioni e di rendiconto dirette ai delegati, al fine di farne adeguare o implementare le procedure esistenti, potrà far attrarre la loro responsabilità nell’ambito applicativo e di copertura della business judgement rule, come peraltro si evince dal contenuto letterale dell’art. 14 del Codice della crisi d’impresa.

 

Conclusioni

Sulla base di quanto sin qui enucleato, oggi più di ieri, l’amministratore privo di deleghe, ancorché chiamato a compiti non esecutivi, deve necessariamente conoscere in maniera adeguata la normativa che sovraintende l’ordinamento dell’impresa collettiva, non potendo esimersi dalla sua puntuale applicazione, con lo scopo di qualificare (nel suo stesso interesse) come soggettiva (e non oggettiva) la propria responsabilità per il solo fatto di ricoprire un ruolo cui la legge necessariamente attribuisce doveri e responsabilità. 

Ne discende che, a partire dal 16 marzo 2019, nell’ambito dei propri assetti organizzativi, tutte le società (in relazione alla natura dell’attività esercitata e alle dimensioni dell’impresa, alle caratteristiche, alla complessità dell’attività svolta) sono tenute ad istituire procedure di allerta che consentano di gestire efficacemente, nonché di identificare e misurare in tempo utile, i rischi di crisi o l’assenza di prospettive di continuità.

Con riguardo alle realtà minori, invece, le dimensioni sembrerebbero consentire l’adozione di un modello organizzativo meno stringente. Tuttavia, a seconda dei casi e degli ambiti di operatività non può escludersi un organigramma di controlli capillari su più livelli anche nelle P.M.I., soprattutto ove ci si scontri con realtà spersonalizzate, dove il vertice o la direzione aziendale, non corrispondano con la proprietà.

 

 

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