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Il Decreto Legge n. 25 del 17 marzo 2017 ha nuovamente modificato la disciplina della responsabilità solidale del committente per i crediti retributivi e contribuitivi dei lavoratori dell’appaltatore che hanno prestato la loro opera nell’appalto prevista dall’art. 29 del d. lgs. n. 276/2003.
Responsabilità che, dopo gli interventi restrittivi del 2012 e del 2014, viene oggi di nuovo ampliata, con una certa schizofrenia ormai tipica della legislazione giuslavoristica.
Le novità in tema di responsabilità solidale del committente
Il Decreto Legge in esame ha, in primo luogo, escluso la possibilità per i contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore di prevedere metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti, alternativi rispetto alla previsione di una responsabilità solidale del committente.
Attraverso la norma contrattual-collettiva era quindi possibile escludere il regime generale della responsabilità solidale del committente, a fronte dell’individuazione da parte delle Parti Sociali di procedure di verifica alternative.
V’è da dire che la deroga alla regola della responsabilità solidale era stata poco o nulla praticata; in ogni caso le norme di origine contrattuale che abbiano limitato od escluso la responsabilità solidale del committente d’ora in avanti dovrebbero essere considerate nulle per contrasto a norma di legge imperativa.
Il Decreto 25/2017 ha anche soppresso la possibilità per il committente di eccepire il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore o del subappaltatore.
La previgente disciplina oggi soppressa prevedeva, infatti, che il committente, che doveva essere convenuto in giudizio unitamente all’appaltatore, poteva eccepire nella prima difesa utile il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore e dei subappaltatori, con la conseguenza che i lavoratori o gli stessi enti previdenziali ed assicurativi dovevano prima tentare di escutere il patrimonio dell’appaltatore e, solo in caso di tentativo infruttuoso, potevano rivolgersi al committente.
Oggi, invece, lavoratori ed Enti possono liberamente scegliere di agire direttamente in giudizio nei soli confronti del committente (che spesse volte offre garanzie di solvibilità ben più ampie rispetto all’appaltatore) e di chiedere direttamente nei suoi confronti il pagamento di quanto loro dovuto dall’appaltatore.
Viene quindi ristabilito nella sua pienezza il principio introdotto con la legge Biagi (d. lgs. n. 276/2003) per cui, in caso di appalto di opere o di servizi, il committente è obbligato in solido con l’appaltatore, e con ciascuno degli eventuali subappaltatori, entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto.
Resta, ovviamente, la possibilità per il committente che abbia pagato quanto dovuto in luogo dell’appaltatore di agire in via di regresso nei confronti di quest’ultimo secondo le regole generali.
Ambito di applicazione della responsabilità del committente ex art. 29 d. lgs. n. 276/2003
L’ennesima recente riforma normativa appena delineata ci può dare lo spunto per fare un excursus sull’ambito di applicazione, la portata ed i limiti della responsabilità solidale ex art. 29 d. lgs. n. 276/2003.
Per quanto riguarda l’ambito soggettivo di applicazione dell’art. 29 d. lgs. n. 276/2003, il regime della responsabilità solidale è escluso per i committenti non imprenditori; parimenti è da escludersi in caso in cui il committente sia una Pubblica Amministrazione.
Al contrario si ritiene che la responsabilità solidale sia operante per le società partecipate da enti pubblici.
Di tale responsabilità si possono avvalere non solo lavoratori dipendenti dell’appaltatore, ma anche soci di cooperativa, lavoratori autonomi o parasubordinati (v. art. 9, comma 1° del D.L. 76/2013).
L’oggetto della responsabilità solidale è costituito dai trattamenti retributivi, comprese le quote di TFR, i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto. Sono invece escluse dall’obbligo solidale le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell'inadempimento.
Il committente risponde solo delle differenze retributive e contributive maturate nel periodo in cui il lavoratore dell’appaltatore abbia effettivamente prestato la propria opera nell’ambito dell’appalto. Di qui la necessità per il lavoratore o l’Ente di individuare e limitare il petitum nei confronti del committente ai soli periodi di esecuzione dell’appalto; in assenza di tale doverosa specificazione discende la nullità del ricorso per omessa specificazione della domanda od in ogni caso il rigetto della domanda nei confronti del committente.
Tale principio, di per sé scontato, appare però tanto più importante nei casi in cui si chiede al committente il pagamento degli istituti retributivi indiretti (13ma, 14ma) o del TFR: il committente ne risponde in via solidale solamente per la quota maturata nel periodo di esecuzione dell’appalto. Lo stesso dicasi nel caso in cui i lavoratori, in un dato lasso temporale, siano impiegati promiscuamente presso più appalti a favore di diversi committenti: in tali casi è evidente che il committente non possa rispondere anche per i trattamenti riferiti a periodi in cui i lavoratori dell’appaltatore non erano impiegati presso l’appalto.
La norma precisa che il committente risponde solidalmente dei trattamenti retributivi spettanti ai lavoratori dell’appaltatore. Ne deriva che dovrebbero essere escluse dal perimetro della responsabilità solidale tutte quelle voci non strettamente retributive, ma indennitarie e/o risarcitorie a vario titolo spettanti ai lavoratori dell’appaltatore.
La responsabilità solidale del committente, sulla base di una interpretazione più o meno estensiva della norma, è stata variamente estesa, oltre che nell’ipotesi di contratto di appalto, anche in casi di contratti non nominati o misti in cui la catena produttiva o di realizzazione del servizio coinvolga più operatori con un passaggio del rischio di impresa da un imprenditore a un altro per una frazione della prestazione che viene affidata in esclusiva a quest’ultimo.
Così ad esempio la responsabilità di cui si discute è stata dichiarata in ipotesi di contratti di subfornitura, logistica, spedizione e trasporto (v. in questo senso App. Brescia, 11 maggio 2016, n. 130 in Guida Lav., 2016, 27, 75 e Argomenti, 2016, 4-5, 1033 nota di Tagliente; Trib. Parma, 11 febbraio 2016; Trib. Rovigo, 9 febbraio 2016; Trib. Roma, 13 giugno 2013, n. 8067; Trib. Bolzano, 13 maggio 2011, n. 179, in Riv. Crit. Dir. e Lav., 2012, 2, 250).
Altre sentenze hanno, al contrario (e, a mio avviso, più correttamente), sottolineato come l’art. 29 d. lgs. n. 276/2003 sia norma di carattere eccezionale e che, pertanto, non può essere suscettibile di estensione oltre quanto espressamente previsto dal Legislatore, il quale appunto fa espresso ed univoco riferimento ai contratti di appalto e non anche ad altre tipologie contrattuali (in questo senso v. Trib. Genova, 9 marzo 2016; Trib. Monza, 3 marzo 2016; Trib. Milano, 5 febbraio 2015; Trib. Roma, 14 luglio 2014, n. 7887; Trib. Parma, 3 luglio 2013, n. 985; Trib. Padova, 25 maggio 2012; Trib. Venezia, 9 marzo 2011, n. 218).
Infine, con riferimento ai raggruppamenti temporanei di imprese (ATI) o di consorzi, le imprese mandatarie e consortili sono state ritenute responsabili per i crediti di lavoro vantati dal singolo dipendente rispettivamente di una delle imprese associate o consorziate ai fini della realizzazione di lavori pubblici (Cass. Civ. Sez. lavoro, 25-11-2015, n. 24063; Cass. Civ., Sez. lavoro n. 6208/2008).
Sotto il profilo temporale il committente datore di lavoro risponde solidalmente entro il termine di due anni dalla cessazione dell’appalto.
Per la giurisprudenza maggioritaria si tratta di un termine di decadenza entro cui occorre depositare il ricorso presso la Cancelleria del Giudice del lavoro; non è sufficiente quindi una mera diffida stragiudiziale da parte del lavoratore o l’invio di un avviso bonario da parte dell’INPS (v. Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 28-09-2016, n. 19184; App. Torino n. 265/2015 e n. 878/2017; Tribunale di Alessandria n. 315/2016 del 28 settembre 2016; Trib. Milano, 31 marzo 2015, n. 869; Trib. Roma, 14 ottobre 2014; Trib. Torino, 18 ottobre 2012, in Riv. Giur. Lav., 2013, II, 123. Contra, però, si veda Trib. Bolzano, 26 febbraio 2016, n. 49; Trib. Milano, 19 marzo 2015, n. 204; Trib. Roma, 20 gennaio 2014, n. 23801).
In conclusione, soprattutto dopo l’intervento di quest’anno, la responsabilità solidale negli appalti rappresenta un rischio da tenere nella debita considerazione fin dalla fase di scelta del contraente, in quanto può determinare in capo al committente costi e spese non preventivati e non sempre totalmente eliminabili attraverso un’adeguata contrattualizzazione dell’appalto, né direttamente riscontrabili in corso di esecuzione dell’appalto stesso.
Resta chiaramente imprescindibile che il committente inserisca nel contratto di appalto adeguati strumenti e procedure di controllo circa la correttezza dei pagamenti dei trattamenti retributivi e contributivi da parte dell’appaltatore, oltre che idonee garanzie da parte di quest’ultimo in caso di recriminazioni da parte dei propri dipendenti e collaboratori.
Non bisogna però sottovalutare il fatto che basilari adempimenti contrattualmente previsti (obbligo contrattuale dell’appaltatore di fornire gli estremi ed i massimali delle proprie polizze di assicurazione RCT e RCO, l’elenco dei lavoratori impiegati nell’appalto, di esibire periodicamente il DURC, il LUL, nonché le buste paga quietanzate da parte dei lavoratori), se da un lato rappresentano un’idonea garanzia circa il fatto che l’appaltatore abbia impiegato lavoratori regolarmente assunti e che gli stessi abbiano percepito la retribuzione indicata nelle biste paga, non mette al riparo il committente da eventuali recriminazioni da parte dei lavoratori circa l’avvenuta corresponsione della giusta retribuzione alla luce dell’attività effettivamente svolta.
Esemplificativamente, un committente che voglia “dormire sonni tranquilli” dovrebbe rivolgersi esclusivamente ad appaltatori che applichino ai propri lavoratori il CCNL sottoscritto dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative del settore di appartenenza ed evitare di rivolgersi ad appaltatori che applichino contratti stipulati da organizzazioni di dubbia o nulla rappresentatività (c.d. “contrattazione pirata”).
Soprattutto in settori labour intensive, vi sono aziende che ricorrono all’applicazione di tali contratti collettivi, realizzando fenomeni di vero e proprio dumping contrattuale; va da sé che, in tali casi, il rischio vertenziale da parte dei lavoratori impiegati nell’appalto è particolarmente elevato (con rischi, come si è visto, direttamente in capo al committente) e non è certo eliminabile verificando esclusivamente l’avvenuto pagamento delle retribuzioni indicate nelle buste paga.
In conclusione, per quanto si è visto, la scelta del contraente cui affidare in appalto lavori e/o servizi non dovrebbe avvenire facendosi guidare esclusivamente dal criterio del prezzo più basso.