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Oggetto della modifica
Uno degli aspetti principali della Riforma Cartabia – che ha acceso un intenso dibattito tanto politico quanto dottrinale – riguarda le modifiche al regime della procedibilità a querela.
La Riforma estende tale regime ad alcuni delitti puniti con pena edittale detentiva non superiore nel minimo a due anni (senza tener conto delle circostanze) e a due contravvenzioni, pur facendo salva la procedibilità d’ufficio “quando la persona offesa sia incapace per età o per infermità” (ad eccezione per le lesioni stradali).
Quanto ai delitti contro la persona, si tratta di:
- lesioni personali stradali gravi o gravissime (art. 590bis c.1 c.p.), limitatamente alle fattispecie non aggravate;
- lesioni personali dolose (art. 582 c.p.) nel solo caso di lesioni lievi (prognosi tra 21 e 40 giorni);
- sequestro di persona (art. 605 c.p.), limitatamente all’ipotesi non aggravata (ad es., i c.d. “sequestri lampo”);
- violenza privata (art. 610 c.p.), limitatamente all’ipotesi non aggravata;
- minaccia grave (art. 612 c.p.), se commessa da persona cui sia contestata la recidiva;
- violazione di domicilio (art. 614 c.p.), se con violenza sulle cose.
Quanto ai reati contro il patrimonio, si tratta di:
- furto (art. 624 c.p.) aggravato dalla particolare gravità del danno (art. 61 n.7 c.p.) e tutte le ipotesi di furto aggravato ex art. 625 c.p., salvo se ricorre taluna delle circostanze di cui all’articolo 625, numeri 7, salvo che il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede, e 7bis;
- turbativa violenta del possesso di cose mobili (art. 634 c.p.);
- danneggiamento (art. 635 c.p.) se il fatto sia commesso con violenza o minaccia;
- truffa, frode informatica e appropriazione indebita (artt. 640, 640ter e 649bis c.p.) anche nei casi in cui ricorrano l’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità ovvero la recidiva, se integra un’aggravante ad effetto speciale.
Inoltre, tale decreto compie una scelta innovativa rendendo procedibili a querela, per la prima volta, due contravvenzioni:
- il disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone (art. 659 c.p.) se il fatto sia commesso nei confronti delle “persone”;
- la molestia o disturbo alle persone (art. 660 c.p.).
Sarà opportuno tenere a mente che:
- se la persona offesa, prima del 30 dicembre 2022, ha avuto notizia del fatto costituente reato, il termine di tre mesi per l’esercizio del diritto di querela (e per l’integrazione di denunce/esposti già depositati) maturerà il 30 marzo 2023;
- se, invece, la persona offesa, prima del 30 dicembre 2022, non ha avuto notizia, il termine decorrerà dal giorno della notizia del fatto di reato.
Le principali obiezioni mosse alla Riforma
Come noto, il “cantiere” della Riforma è stato aperto nella primavera del 2021, con l’obiettivo di elaborare le modifiche al sistema penale necessarie a conseguire i target fissati dal P.N.R.R., in particolare, la riduzione del 25% della durata dei tre gradi di giudizio penali entro il 2026.
In linea con l’obiettivo di efficienza del processo penale, la Riforma estende significativamente il regime di procedibilità a querela, per i reati oggetto del maggior numero di contestazioni [1] e che si prestano a condotte riparatorie e risarcitorie delle quali la persona offesa potrà beneficiare in tempi brevi, e non all’esito di un procedimento, a distanza di molti anni.
Proprio per questo, tale intervento si pone in linea di continuità con l’effetto deflattivo ampiamente perseguito e ricercato dalla Riforma. Il passaggio a procedibilità a querela riduce fortemente l’intervento del giudice penale, con una considerevole riduzione del congestionamento processuale sia per i casi in cui non sarà presentata una querela sia per quelli in cui vi sarà una remissione della stessa.
Come anticipato, questa scelta ha creato un significativo dibattito “nelle aule di giustizia” e sulla stampa nazionale. Infatti, in molti, temono che questa Riforma metta in discussione la funzione stessa del diritto penale. È vero che la mancata proposizione o la remissione della querela non tocca, astrattamente, la rilevanza penale della condotta, che continua ad avere il disvalore del reato anche se non perseguita. La procedibilità di un reato a querela significa, però, che la reale punibilità di quel fatto dipende dalla volontà, insindacabile, della persona offesa: volontà condizionabile non solo dal “desiderio di punire”, ma anche da circostanze ulteriori (ad es., le condizioni sociali ed economiche). Pertanto, affidare alla decisione delle vittime il potere di iniziare o meno un procedimento penale, significherebbe accentuare le disparità sociali.
Altra critica mossa è connessa al tipo di interessi protetti: si tratta di fattispecie prive di una dimensione sovra individuale in materia di diritti alla libertà personale, alla libertà d’autodeterminarsi, all’inviolabilità del domicilio, all’integrità fisica e alla proprietà. Il dubbio che “spaventa” molti è se modificare il regime di tutela di questi non significhi, di fatto, limitare l’esercizio di un diritto costituzionalmente tutelato.
La preoccupazione di parte di stampa e politica, però, sembra voler distinguere reati per cui non si può lasciar discrezionalità alla persona offesa da reati per cui è opportuno che sia la persona offesa a decidere come procedere. Ovviamente, questa distinzione non si addice alla materia penale. L’obiettivo della Riforma è una maggiore attenzione per la riparazione dell’offesa, a beneficio dell’imputato, della vittima e dell’intero sistema giudiziario: un risultato non sempre garantito dalla giustizia penale e, sicuramente, non in tempi rapidi come quelli raggiungibili tramite accordo transattivo. Questa Riforma, infatti, non comporta un danno per la persona offesa, ma rappresenta un forte incentivo alla riparazione dell’offesa nonché alla definizione anticipata del procedimento penale attraverso la remissione della querela o l’estinzione della causa per condotte riparatorie oggi scarsamente applicata, specie in sede dibattimentale.
I correttivi proposti
Oltre alle obiezioni di carattere “generale” appena esposte, ve ne sono alcune più specifiche e strettamente connesse alla tutela dell’ordine pubblico e ai rischi che questa modifica normativa avrebbe rispetto a determinati reati, caratterizzati da un particolare disvalore sociale a causa del contesto in cui vengono posti in essere o per le modalità di esecuzione. Su tale aspetto, il Consiglio dei Ministri dello scorso 19 gennaio ha approvato, con procedura d'urgenza, un disegno di legge (A.C. n. 831) volto a introdurre, tra le altre, norme di modifica della Riforma con la previsione della procedibilità d’ufficio per i reati per cui sia contestata l’aggravante del “metodo mafioso” o della finalità di terrorismo o di eversione, oltre che per il reato di lesioni personali causato da persona sottoposta a una misura di prevenzione personale, fino ai 3 anni successivi al termine della misura stessa.
Il nuovo ruolo dell’avvocato per fronteggiare le novità
A fronte dell’obiettivo deflattivo della Riforma, l’avvocato – e si potrebbe dire che il legislatore avrebbe potuto essere più esplicito nella scrittura del testo normativo – avrà un ruolo importante (ed ulteriore a quanto già affidatogli): egli dovrà farsi parte attiva per favorire una risoluzione transattiva della controversia, al fine di cercare di limitare l’accesso alle aule di giustizia per i c.d. reati bagatellari, la cui pronta risoluzione potrebbe avvenire anche nei rapporti tra le parti per il tramite dei confronti tra i legali.
Un accordo transattivo, infatti, è sicuramente di interesse per il proprio assistito, che potrebbe ottenere una soddisfazione del proprio interesse con costi di gran lunga inferiori (in termini economici, di tempo e di risorse) rispetto a quelli necessari in un processo penale. L’avvocato dovrà, pertanto, assurgere a “mediatore” tra gli interessi del proprio assistito e quelli della controparte.
A ciò si aggiunge un ulteriore compito implicitamente assegnato all’avvocato: egli dovrà “riaprire i fascicoli dei propri clienti” così da verificare le denunce e gli esposti già presentati e valutare nuovamente le situazioni in cui si era deciso di non presentare appoggiandosi alla procedibilità d’ufficio. A dir la verità, originariamente la Riforma prevedeva che fossero i magistrati ad avvisare le persone offese del mutamento di regime di procedibilità: ora, tale onere resta solamente in caso di indagati soggetti a misure cautelari. L’avvocato dovrà contattare i propri clienti per avvisare della decorrenza del termine per proporre la querela e valutare una strategia difensiva.