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Fondo patrimoniale e iscrizione ipotecaria
Sempre di grande attualità è il tema relativo alla possibilità di procedere con una efficace iscrizione ipotecaria (giudiziale) in danno di un debitore, che dal canto suo ha cercato di tutelare il proprio patrimonio mediante la costituzione di un fondo patrimoniale. Invero, sono noti i limiti di legge (art. 170 c..) a carico dei creditori che l’utilizzo di tale istituto implica alle possibilità esecutive sui beni in esso conferiti. È importante ricordare che tali limiti, come più volte confermato dalla Cassazione, esplicano i loro effetti anche in relazione alle iscrizioni di ipoteche non volontarie. Invero, ciò si basa sul principio per cui l’ipoteca legale o giudiziale, pur non essendo atto esecutivo in senso stretto e quindi non direttamente colpita dal precetto normativo, è prodromica all’esecuzione e derivante dal titolo esecutivo che verrà posto in esecuzione.
I requisisti per l’impignorabilità
Recentemente, la Sesta Sezione Civile della Cassazione (ord. n. 19758/2019 del 23.07.2019) si è occupata proprio di un caso di ipoteca legale iscritta su un bene conferito in fondo patrimoniale, ma con arresti che ben possono estendersi anche all’ipoteca giudiziale. La Corte ricorda come il debitore (ovvero il coniuge o il terzo costituente), per potersi giovare del vincolo derivante dalla costituzione del fondo patrimoniale, ha l’onere di provare i presupposti di applicazione dell’art. 170 c.c., ovverosia:
- che il debito per il quale è stata iscritta ipoteca è stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia, e
- che il creditore ne era a conoscenza.
Giova soffermarsi più approfonditamente sulle caratteristiche che il debito deve avere per poter trovare tutela ipotecaria sui beni ed essere poi validamente instaurata una procedura espropriativa. La Cassazione è granitica nell’affermare che non debba guardarsi alla natura o alla fonte dell’obbligazione da cui discende il debito, bensì nella relazione tra il fatto generatore della stessa ed i bisogni della famiglia. Ciò implica una indagine che, sostanzialmente, volge lo sguardo alle ragioni che hanno spinto il debitore a contrarre il debito poi non onorato. In tal senso, deve però tenersi a mente che l’attività di impresa ben può conciliarsi con i bisogni familiari. Vi è infatti una tesi solitamente sostenuta dai debitori per la quale i debiti dall’attività imprenditoriale (come anche quelli fiscali da essi derivanti, come nel caso di cui alla recente pronuncia) non possono esser soddisfatti con i beni conferiti nel fondo. Tuttavia, tale argomentazione non trova sostegno nella giurisprudenza di merito e di legittimità, proprio sulla scorta del principio prima indicato. È infatti evidente che, salvo prova contraria a carico del debitore, l’attività di impresa è esercitata (proprio) al fine di soddisfare i bisogni della famiglia, poiché i proventi da essa derivanti vengono utilizzati per il pieno mantenimento e univoco sviluppo del nucleo familiare. A conti fatti, restano esclusi dall’applicazione di questo principio, e quindi un incontrano un limine nel fondo patrimoniale, solo i debiti derivanti da esigenze voluttuarie o da interessi speculativi, come ad esempio in caso di debito conseguente un contratto derivato (speculativo), ovvero, in ipotesi, allorquando l’imprenditore già percepisce una pensione con la quale è in grado di mantenere la famiglia, sicché l’attività svolta potrebbe dirsi estranea a tale finalità, o comunque destini i proventi a bisogni diversi dal soddisfacimento dei bisogni familiari.
In relazione invece al tema della conoscenza in capo al creditore dell’estraneità del debito ai bisogni della famiglia al fine di impedire l’aggressione dei beni conferiti, il debitore è spesso posto innanzi ad una prova più che diabolica. È infatti impossibile da provare in giudizio tale aspetto (psicologico) nel caso di istituti di credito, ovvero contro l’agente della riscossione. Dimostrare infatti che il legale rappresentante della Banca ovvero il fisco sapessero che una determinata obbligazione avesse come uno scopo estraneo ai bisogni familiari è impossibile anche solo a livello teorico.
Ipoteca e azione revocatoria
Da ultimo, occorre considerare un ulteriore aspetto, spesso trascurato dai creditori. Questi, infatti, sono soliti procedere all’iscrizione ipotecaria (legale o giudiziale) e, intendendo poi procedere esecutivamente, agire in revocatoria contro il fondo patrimoniale costituito. Tuttavia, così facendo si crea un corto circuito tra intenzioni e azioni poste in essere. Se la finalità è quella di vedere dichiarato inefficace nei propri confronti il vincolo del fondo, ciò implica e riconosce che il debito è estraneo ai bisogni della famiglia, poiché diversamente il bene costituito sarebbe liberamente aggredibile ritenendosi non integrabile l’esclusione dall’esecuzione di cui all’art. 170 c.c. Ragionando in siffatta maniera, tuttavia, si ammette l’illegittimità dell’iscrizione ipotecaria, in quanto effettuata per l’appunto per un debito che soffre il vincolo apposto. Delle due, l’una: o il vincolo è efficace per tale debito, e allora l’ipoteca è illegittima e l’azione revocatoria contro il fondo ammissibile, oppure l’iscrizione della garanzia reale è corretta e l’azione pauliana è inutile (se non dannosa). È ben noto che tale artifizio è volto meramente a giovarsi temporalmente degli effetti dell’iscrizione nell’attesa che la sentenza dichiarativa di inefficacia del fondo verso il creditore stesso diventi definitiva. Alla luce delle sempre più granitica posizione della giurisprudenza e tenuto conto che l’onere di dimostrare l’impignorabilità del bene aggredito è a carico del debitore, tuttavia pare più proficuo agire immediatamente sul bene, lasciando ogni iniziativa di contestazione e prova in capo al debitore.