* * *
Il diffusissimo utilizzo degli smartphone ha reso sempre più radicata l’abitudine di comunicare attraverso sistemi elettronici alternativi (mail o SMS) o applicazioni specifiche (Whatsapp, Messenger, Telegram ecc.); tutti oramai siamo abituati a ricorrere a tali sistemi non solo nelle relazioni private ma anche – e sempre più diffusamente – in quelle professionali.
Il tema è quello di dover valutare la reale valenza probatoria del contenuto di simili messaggi in funzione delle specifiche esigenze istruttorie che occorre, a seconda dei casi, soddisfare.
L’unico chiaro riferimento normativo sul tema è desumibile dagli artt. 20 e 21 del d. lgs. 82/2005 (Codice dell’amministrazione digitale – d’ora in avanti CAG -, norme la cui applicazione si estende anche ai rapporti tra privati e non solo tra privati e P.A. in virtù di quanto disposto all’art.2 comma 3 dello stesso Codice).
L’art. 20 comma 1bis del CAG stabilisce in particolare: “Il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta e ha l'efficacia prevista dall'articolo 2702 del Codice civile quando vi è apposta una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata o, comunque, è formato, previa identificazione informatica del suo autore, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall'AgID ai sensi dell'articolo 71 con modalità tali da garantire la sicurezza, integrità e immodificabilità del documento e, in maniera manifesta e inequivoca, la sua riconducibilità all'autore. In tutti gli altri casi, l'idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità. La data e l'ora di formazione del documento informatico sono opponibili ai terzi se apposte in conformità alle Linee guida”.
Ovviamente laddove il messaggio informatico sia dotato dei requisiti di “firma digitale” previsti dalla prima parte della succitata norma, il problema della sua valenza probatoria ai sensi dell’art. 2702 c. c. (efficacia della scrittura privata) non si pone (si segnala al riguardo il disposto dell’art. 21 comma 2.bis del CDA con riferimento ai requisiti di forma scritta per gli atti elencati all’art. 1350 n. 1-12 c.c.).
Anche laddove tuttavia il documento informatico non abbia i suddetti requisiti di “forma certificata”, non perde in assoluto la possibilità di assumere valenza probatoria ai sensi dell’art. 2702 c.c., ma tale giudizio è rimesso all’apprezzamento del giudice “in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità”; la decisione del giudice va quindi ragionevolmente affiancata da un giudizio tecnico che attesti la rispondenza del supporto informatico (telefono cellulare e/o computer) dal quale il documento è tratto con i requisiti di “sicurezza, integrità e immodificabilità”.
La sentenza della Cassazione
Tali principi sono stati recentemente ribaditi dalla Cassazione nella sentenza 8 marzo 2018 n. 5523 “Quanto all'efficacia probatoria dei documenti informatici, l'art. 21 del medesimo D.Lgs., nelle diverse formulazioni, ratione temporis vigenti, attribuisce l'efficacia prevista dall'art. 2702 c.c. solo al documento sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, mentre è liberamente valutabile dal giudice, ai sensi del D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 20, l'idoneità di ogni diverso documento informatico (come l'e-mail tradizionale) a soddisfare il requisito della forma scritta, in relazione alle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità.”
La norma citata nella menzionata sentenza non distingue tuttavia in modo chiaro il confine tra necessario requisito di “forma” scritta e quello di “prova” scritta i quali, evidentemente, ai fini processuali e probatori assumono valenze distinte.
Si pensi all’ipotesi di atti ricognitivi di debito o promesse di pagamento per la cui validità non sia richiesto alcun tassativo requisito di forma scritta (art. 1988 c.c.); la domanda, in particolare, è se si possa ritenere provata la ricognizione di un debito o la promessa di un pagamento contenuta in un documento informatico non dotato di “firma digitale” o riconosciuta ai sensi dell’art. 20 del CDA.
Ritengo vi siano validi argomenti per dare una risposta positiva a tale domanda.
A simile conclusione si può in primo luogo pervenire, come sopra indicato, laddove il documento informatico (o messaggio) convinca il giudice di essere connotato da requisiti di “qualità, integrità e immodificabilità” e quindi assuma valenza probatoria equiparabile a quella prescritta dall’art. 2702 c.c..
Non di meno, laddove il documento informatico contenente la dichiarazione ricognitiva o la promessa di pagamento non venga “disconosciuto” nella sua “conformità ai fatti” dalla parte contro la quale lo stesso documento è prodotto, lo stesso assume piena prova ai sensi dell’art. 2712 c.c. (si consideri peraltro che per giurisprudenza consolidata il disconoscimento non deve essere generico, in tal caso, ma “chiaro, circostanziato ed esplicito” (Cass. 28 marzo 2018 n 7595).
Non mancano del resto precedenti giurisprudenziali nei quali è stata riconosciuta valenza probatoria di riconoscimento di debito al contenuto di messaggi scambiati tramite Whatsapp (in tal senso Tribunale di Ravenna 10 marzo 2017 n. 231).
Più in generale, è stata riconosciuta ai messaggi scambiati tramite Whatsapp valenza di “natura di documento” e quindi valore di prova documentale ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen. (Cass. Pen. 16 gennaio 2018 n. 1822) e comunque pieno valore probatorio agli effetti dell’applicazione dell’art. 2712 c.c. della violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale per l’addebito della separazione (Cass. 6 marzo 2017 n. 5510).