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Non è questa la sede per un’articolata disamina delle problematiche connesse alla realizzazione degli appalti pubblici. Tuttavia l’accanimento di alcuni articoli di stampa, impone di dar voce ai “fatti” che mancano negli articoli e non alle “valutazioni” che invece si sprecano grandemente, soprattutto in un momento di emergenza qual è quello attuale.
Non si può parlare di fatti, senza partire dai numeri. Considerando gli ultimi dati disponibili (ahimè relativi al secondo semestre 2019), risulta che:
- le opere “ferme per «complessità del quadro normativo di riferimento in materia di appalti pubblici» - e in particolare il codice appalti” sono soltanto il 9% (fonte il Sole 24 Ore del 16/06/2019 che richiama Rapporto Ance del giugno 2019);
- nel biennio 2017-2018, il tasso di contenzioso in materia di appalti è calato di circa il 50% rispetto al biennio precedente (2015-2016) (fonte Analisi di impatto del contenzioso amministrativo in materia di appalti – biennio 2017/2018 del Consiglio di Stato del 15 ottobre 2019).
In dettaglio, l’analisi sul contenzioso del Consiglio di Stato spiega che nel 2017 sono state impugnate 3.457 procedure su 255.151 bandite, vale a dire l’1,4% delle procedure bandite e nel 2018 sono state impugnate 3.603 procedure su 238.101 bandite, vale a dire l’1,5% delle procedure bandite (nel 2015 il tasso di contenzioso era pari al 2,61% e nel 2016 al 2,76%).
Corre l’obbligo precisare che il numero complessivo delle procedure bandite negli anni 2017 e 2018 tiene conto anche degli affidamenti diretti. Utilizzo, quindi, l’espressione “procedure bandite” perché, pur essendo atecnica, è purtuttavia quella impiegata nell’analisi del contenzioso del Consiglio di Stato.
Cerchiamo di capirne di più, sempre in base agli ulteriori dati disponibili, illustrati dal Consiglio di Stato.
Innanzitutto, scopriamo che le procedure impugnate sono divise in tre fasce in base alle corrispondenti soglie del contributo unificato, vale a dire utilizzando il parametro di riferimento per il calcolo del costo che chi intende impugnare una procedura di gara deve corrispondere allo Stato: l’importo a base d’asta dell’appalto (€ 2.000,00 per appalti di importo sino a € 200.000; € 4.000,00 per appalti di importo compreso tra € 200.000 e 1.000.000,00 e € 6.000,00 per appalti di importo superiore a € 1.000.000,00).
Suddiviso il numero complessivo di procedure di gara impugnate, in base alle soglie del contributo unificato, risulta che quelle di importo:
- superiore a € 1.000.000,00 rappresentano circa il 50% del totale di quelle impugnate;
- compreso tra € 200.000 e 1.000.000,00, circa il 20% del totale delle impugnazioni; e
- inferiore a € 200.000, circa il rimanente 30%.
Da tali dati, si traggono due conclusioni. Si rileva, inanzitutto, l’esistenza di “una relazione di proporzionalità diretta tra l’importo dell’appalto e il tasso di contenzioso”. Più vale l’appalto e maggiore è il tasso di contenzioso. In secondo luogo, si evidenzia l’incidenza sulla scelta di impugnare o meno una procedura “degli oneri che l’impresa deve affrontare per sostenere il giudizio (contributo unificato e spese legali), in rapporto ai benefici ritraibili… in caso di successo”. In sostanza, la scelta di impugnare si basa su una valutazione/analisi costi/benefici. Nell’ambito di tale analisi abbiamo un elemento più o meno certo i costi (ad esempio, l’importo del contributo unificato sopraindicato e gli onorari dell’avvocato) e un elemento aleatorio legato ai concreti benefici che si possono conseguire in caso di accoglimento del ricorso. Se la scelta di impugnare una procedura quindi comporta una tale comparazione di costi/benefici, è utile l’ulteriore dato che ci offre l’analisi del Consiglio di Stato: l’impatto delle sospensive disposte dal giudice amministrativo di primo grado (i Tar) in relazione al totale delle procedure bandite. Tale dato – preso in maniera asettica – scoraggia il contenzioso, perché dimostra che circa il 25% delle impugnazione proposte (più o meno una su quattro) è accolto. Tale dato dimostra quindi che il contenzioso ha comportato la sospensione dell’0,33% e dell’0,31% delle procedure bandite, rispettivamente, nel 2017 e nel 2018.
Stando così le cose, è evidente che soltanto l’0,3% delle procedure di gara che si sono svolte negli ultimi due anni sono state sospese per effetto del giudice amministrativo in applicazione del codice appalti.
Le restanti procedure impugnate, comunque pari soltanto a circa l’1,3% delle procedure che si sono svolte nell’ultimo biennio (2017-2018), ove siano state bloccate lo sono stato per effetto di fenomeno avulso dal codice degli appalti e dal giudice amministrativo.
Il blocco indiretto dell’appalto “sub iudice”, definito “burocrazia difensiva”, consiste nel sospendere l’appalto sino alla definizione del giudizio. Come segnalato nell’analisi del Consiglio di Stato, le concause che determinano tale fenomeno (e che nulla ha a che vedere con il codice appalti e il giudice amministrativo) sono: i) il rischio dell’eventuale esposizione sul versante risarcitorio (sul piano patrimoniale ed erariale); ii) la difficoltà di trovare compagnie assicurative disposte ad assicurare simili rischi da responsabilità civile; e iii) l’assenza di una sanzione efficace per il differimento nel tempo della stipula del contratto.
Concludo questa breve analisi, rilevando che se il problema delle opere che si bloccano esiste e i colpevoli non sono il codice appalti e il giudice amministrativo (se non in piccola parte), la soluzione del problema non può consistere nell’abrogazione del codice appalti e nella limitazione dell’impugnazione delle procedure soltanto ai fini della risarcibilità del danno.
Del resto, al di là della confusione emergenziale, il codice appalti e il giudice amministrativo hanno funzionato consentendo, da un lato, l’espletamento delle procedure e, dall’altro, la relativa tutela giurisdizionale.
Conseguentemente, per migliorare la situazione e tentare di risolvere il problema dei blocchi, la soluzione è quella di non nascondersi dietro la burocrazia o le paure ma di lavorare con senso di responsabilità e professionalità di cui tanto le stazioni appaltanti quanto i giudici amministrativi hanno dato ampia testimonianza.