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Con la sentenza in esame il Tar meneghino, confermando l’univoco orientamento della giurisprudenza amministrativa in ordine all’annullamento in autotutela della D.I.A./S.C.I.A. presentata nell’ambito edilizio, stabilisce che: “Una delle ipotesi in cui l’annullamento d’ufficio può essere esercitato anche quando il termine de quo è stato superato, è infatti costituita dal caso in cui il titolo edilizio sia fondato su false attestazioni del privato”.
Il Tribunale, in particolare, è stato chiamato a pronunciarsi sul ricorso proposto avverso un provvedimento di annullamento d’ufficio di una D.I.A. per lavori di ristrutturazione, adottato dall’Amministrazione dopo ben 16 anni dalla presentazione della D.I.A. stessa.
A motivo del provvedimento in autotutela, l’Amministrazione poneva l’accertamento dell’abusività delle opere realizzate nonché il comportamento fraudolento tenuto dal privato in sede di presentazione della D.I.A., allorché quest’ultimo aveva omesso di rappresentare nella planimetria alcune opere edilizie, poi realizzate in contrasto con la normativa vigente.
Quanto al bilanciamento degli interessi, l’Amministrazione dava atto dell’interesse pubblico al ripristino della legalità violata nonché di quelli alla tutela della sicurezza urbana ed alla regolarità igienico sanitaria specificando, al contempo, che il comportamento tenuto dal privato aveva determinato il venir meno di qualsiasi esigenza di tutela dell’affidamento.
Sposando in toto la posizione della Pubblica Amministrazione e richiamando numerosi precedenti giurisprudenziali, il TAR Lombardia, con la pronuncia in commento, ha respinto il ricorso e dichiarato legittimo il provvedimento di annullamento in autotutela adottato oltre il termine previsto dall’art. 21 nonies della Legge n. 241 del 1990.
A tale riguardo, si legge in sentenza «In caso di s.c.i.a., in presenza di una falsa rappresentazione del privato, la P.A. può esercitare il proprio potere di intervento tardivo senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse; inoltre la falsa rappresentazione dei fatti da parte del privato (configurabile anche in presenza del solo silenzio su circostanze rilevanti) comporta l'inapplicabilità del termine di diciotto mesi di cui all'art. 21-nonies, l. n. 241/1990, senza neppure richiedere alcun accertamento processuale penale» (T.A.R. Campania, Napoli, IV, 23 gennaio 2020, n. 316; cfr: TAR Lombardia, Milano, II, 2 maggio 2020 n. 728; ibidem, 23 aprile 2021 n. 1037; TAR Campania, Napoli, 14 gennaio 2022 n. 300).
Tale arresto si inserisce nel più ampio panorama giurisprudenziale e normativo riguardante l’istituto dell’annullamento d’ufficio nella materia edilizia, con particolare riguardo alle ipotesi dei titoli ottenuti in virtù della presentazione di S.C.I.A./D.I.A.
A tal proposito, giova premettere che la S.C.I.A. (così come la D.I.A.) costituisce, oramai pacificamente, un atto di natura privatistica che accresce immediatamente la sfera giuridica del privato senza previa adozione di un provvedimento da parte dell’amministrazione, nemmeno di carattere tacito.
Per tale ragione, in simili ipotesi, può parlarsi esclusivamente di annullamento d’ufficio in senso atecnico, non essendovi appunto un provvedimento amministrativo di primo grado sul quale agire.
L’art. 19, co. 4 della Legge n. 241/1990, novellato dalla Riforma Madia di cui alla L. n. 124/2015, infatti, non attribuisce all’Amministrazione un vero e proprio potere di annullamento in autotutela della S.C.I.A. (che, del resto, neppure sarebbe ipotizzabile), bensì la possibilità di esercitare i poteri inibitori, conformativi e sospensivi alla stessa riconosciuti dal precedente comma 3, anche una volta spirato il termine di legge di 30 giorni dalla presentazione della SCIA.
Il legislatore, in particolare, riconosce tale possibilità a condizione che sussistano i presupposti per il generale esercizio del potere di annullamento d’ufficio degli atti amministrativi, dettati dall’art. 21 nonies, e dunque a condizione che:
- sussista un vizio di legittimità ascrivibile al provvedimento (rectius, irregolarità della s.c.i. per carenze non meramente formali);
- via sia un interesse pubblico al ritiro dell’atto (rectius, un interesse pubblico a che la s.c.i.a. non produca i propri effetti previsti per legge);
- non sia trascorso un lasso di tempo superiore a 12 mesi dall’adozione del provvedimento (rectius, dalla formazione degli effetti della s.i.a.).
In relazione a tale ultima condizione temporale, il legislatore ha tuttavia previsto una deroga al fine di contemperare l’affidamento riposto dal privato nella stabilità dei rapporti con la PA con la teoria il principio di perpetuità dell’azione amministrativa.
Così l’art. 21 nonies, comma 2 bis della L. n. 241/1990, il quale prevede che il rigido termine di 12 mesi previsto per l’esercizio del potere di autotutela non opera nelle ipotesi in cui il privato abbia conseguito il provvedimento favorevole “…sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato”.
La ratio sottesa alla deroga, evidentemente, è quella di evitare fattori premiali per il privato che, in mala fede, abbia omesso di rappresentare circostanze rilevanti, impedendo all’Amministrazione di esercitare - per ciò che concerne specificatamente il caso che qui ci occupa - i poteri di controllo entro il termine di 30 giorni di cui all’art. 19, comma 6 bis della L. 241/1990 in tema di SCIA edilizia.
Alla luce di quanto sopra, emerge evidente la linea di continuità tra le intenzioni del legislatore e l’arresto giurisprudenziale in commento.
Il TAR lombardo, infatti, ha negato tutela al privato che, omettendo di rappresentare nella planimetria allegata alla DIA le opere in contrasto con la normativa edilizia, ha accresciuto la propria sfera giuridica illegittimamente, inducendo in errore con comportamenti fraudolenti la Pubblica Amministrazione e contribuendo causalmente alla formazione di una situazione giuridica viziata.
L’affidamento così maturato dal privato nella stabilità del rapporto con l’Amministrazione, per tali motivi, non è stato ritenuto legittimo e, dunque, meritevole di tutela.
La pronuncia in commetto si pone, inoltre, in linea di continuità con i principi di diritto già espressi anche dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che, con sentenza n. 8 del 17.10.2017, ha avuto modo di chiarire che: “non sussiste l’esigenza di tutelare l’affidamento di chi abbia ottenuto un titolo edilizio - anche in sanatoria – rappresentando elementi non veritieri, e ciò anche qualora intercorra un considerevole lasso di tempo fra l’abuso e l’intervento repressivo dell’amministrazione. […]; l’oggettiva falsità della prospettazione dei fatti rilevanti e la sua incidenza ai fini dell’adozione dell’atto illegittimo non consentiranno di configurare una posizione di affidamento legittimo […], non sussistendo un interesse privato meritevole di tutela da porre in comparazione con quello pubblico (comunque sussistente) al ripristino della legalità violata”.