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La vicenda ha del paradossale: per scongiurare il fallimento della banca, i vertici di Banca Etruria hanno cercato di invididuare un partner attraverso consulenze di grandi società e importanti studi legali, spendendo almeno 4 milioni di euro. Secondo gli inquirenti, questa spesa avrebbe finito per contribuire al dissesto dell’istituto di credito invece che a risolverne i problemi, soprattutto perché il denaro sarebbe stato investito in maniera disattenta, con incarichi “inutili e ripetitivi”.
Come di consueto, a 4cLegal non interessano i nomi degli indagati e lo stretto merito del caso, quanto i suoi caratteri esemplari per la situazione dell’affidamento di incarichi legali esterni in Italia. Si ripete nuovamente uno schema che vede gli incarichi legali costituire un’area “franca” (nel quadro più ampio delle “consulenze” di varia natura) dove somme di denaro, anche molto grosse, vengono investite senza evidenti criteri di razionalità, trasparenza e oggettività, al punto da attirare le attenzioni degli inquirenti.
Starà proprio agli inquirenti accertare l’eventuale presenza di illeciti, sulla quale non ci pronunciamo. Evidenziamo però come al cuore della mission di 4cLegal stia l’offerta di strumenti operativi -piattaforme per albi e beauty contest digitali- che contribuirebbero a disinnescare, alla radice, i rischi connessi a quelle che poi mediaticamente diventano consulenze “d’oro” o “pazze”. Casi eccellenti come quello di Banca Etruria hanno (tristemente) il merito di ricordarci come la questione di un affidamento di incarichi legali esterni all’insegna delle best practice sia estremamente concreta e attuale.