***
La direttiva RED II definisce la «comunità di energia rinnovabile» come un soggetto giuridico fondato sulla partecipazione, aperta e volontaria, di chi - persona fisica, PMI (a condizione che la partecipazione alla comunità non costituisca l'attività commerciale principale) o pubblica amministrazione - si trovi nelle vicinanze dei suoi impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili.
La medesima direttiva obbliga gli Stati membri ad assicurare che i clienti finali, in particolare i clienti domestici, abbiano il diritto di partecipare a comunità di energia rinnovabile garantendo che gli stessi non siano soggetti a condizioni o procedure ingiustificate o discriminatorie che possano impedirne la partecipazione alle comunità di energia rinnovabile (art. 22).
Le CER in Italia
Il legislatore italiano ha introdotto dapprima una disciplina transitoria delle CER, nelle more del completo recepimento della direttiva RED II. Il nostro legislatore ha modellato la disciplina “transitoria” sulle esigenze di piccoli gruppi di consumatori decisi a condividere l’energia prodotta dagli impianti di alcuno di essi (che essendo anche consumatore è chiamato “prosumer”). Uno strumento di contrasto alla, incalzante, “povertà energetica” che già prima della pandemia e della guerra in Ucraina affliggeva oltre due milioni di connazionali. Povertà che non solo impedisce agli stessi di fruire di utilities essenziali (luce, riscaldamento, gas) ma ne limita la mobilità (e già il caro carburanti “azzoppa” i poveri!); povertà che, per inciso e a causa degli eventi innanzi ricordati, rischia di dilagare.
Le CER, dunque, sono state introdotte in Italia dal d.l. “milleproroghe” n. 162 del 30 dicembre 2019 (convertito con la Legge n. 8 del 28 febbraio 2020).
Gli effetti della sperimentazione
La disciplina delle CER, dichiaratamente sperimentale e transitoria, aveva ad oggetto Comunità di “taglia” piccola in cui la potenza degli impianti condivisi non poteva eccedere i 200KWh, e la finalità principale di contrastare il dilagante fenomeno della “povertà energetica”. Nonostante gli incentivi riconosciuti alle CER l’effetto pratico è stato davvero minimo. In Italia, infatti, sono censite una ventina di CER, mentre la Germania ne ha quasi 2000. L’Italia è il fanalino di coda, superata finanche da Belgio, Polonia e Spagna.
Le CER italiane sono per di più di taglia compresa tra i 20 e i 50 KWp, quindi molto piccole. Si tratta, infatti, di progetti sperimentali. La limitata potenza massima degli impianti impediva <<il coinvolgimento di un grande numero di cittadini e soprattutto di imprese>>, e correttamente i primi commentatori avvertivano che se l’obbiettivo è di rendere le CER un effettivo strumento della transizione energetica è necessario aumentare la potenza degli impianti e il numero dei potenziali attori, intercettando adeguate capacità manageriali e valorizzando il ruolo della pubblica amministrazione come membro fondatore e promotore delle CER sul proprio territorio di competenza.
Sul piano pratico era, poi, evidenziato che le fonti energetiche utilizzate erano limitate all’energia solare o idroelettrica, mentre erano trascurate le fonti più interessanti per le comunità energetiche a servizio dei distretti produttivi (eolico, biomasse, biogas, clean gas etc.).
Le CER portuali
La nuova normativa rende il modello appetibile da parte delle PMI, ma non per le grandi imprese ovvero per le infrastrutture energivore. Per quanto riguarda quest’ultime con il decreto “aiuti” di aprile 2022 si assiste ad un cambio di paradigma, dove per le comunità energetiche funzionali alle esigenze del ministero della difesa ovvero dei porti la disciplina viene modificata in modo da consentire l’utilizzo delle CER per il soddisfacimento delle esigenze energivore di queste amministrazioni. La finalità dichiarata è quella di contribuire alla crescita sostenibile del Paese, alla decarbonizzazione del sistema energetico e al perseguimento della resilienza energetica nazionale.
Per i porti viene innanzitutto modificata la l. 84/94 consentendo alle Adsp (Autorità di Sistema Portuale) di partecipare a CER, costituite eventualmente in forma societaria, sottoscrivendo anche partecipazioni di maggioranza.
Tanto per le CER della difesa, quanto per quelle portuali viene rimosso il limite massimo in termini di MWh degli impianti energetici condivisi. I porti sono tra le infrastrutture maggiormente energivore del mondo, e oggi sono chiamati ad un ruolo da protagonisti nella transizione energetica, favorendo il consumo da parte del cluster di energia green (tassello importante in questa strategia è l’alimentazione da terra delle navi, cosiddetto cold ironing). Gli sforzi delle Adsp presuppongo la disponibilità non solo di energia da rinnovabili, ma anche e soprattutto la competitività del costo della stessa rispetto ai carburanti fossili. Di qui l’intuizione del MIMS di introdurre le Comunità Energetiche Portuali a sostegno delle esigenze energetiche sia dell’intero cluster portuale (imprese portuali, compagnie portuali, agenzie, servizi tecnico nautici, armatori, Guardia Costiera etc. etc), sia del retro porto (e quindi valorizzabile in ambito Zes o Zfd). I porti, peraltro, stanno divenendo da “emporio” in cui si movimentano i carburanti, hub energetici (stoccaggio e/o produzione di GNL, biocarburanti, idrogeno, energia da economia circolare etc.) favoriti anche dalla diffusione di impianti rinnovabili collocati in mare (parchi eolici offshore e near shore, energia da moto ondoso, fotovoltaico galleggiante, FSRU). Non sorprendentemente, pertanto, i documenti di pianificazione energetica e portuale (DEASP) più recenti valorizzano l’utilizzo delle CER.
Gli impianti di produzione energetica a servizio della CER portuale possono essere di proprietà tanto pubblica che privata, e collocati anche al di fuori del bacino portuale/demanio marittimo. Per quanto riguarda gli impianti da realizzarsi sul demanio di competenza delle Adsp il dl 30 aprile 2022, n. 36, all’art. 33, prevede che i progetti destinati alla realizzazione di opere e impianti di elettrificazione dei porti siano da considerarsi di pubblica utilità e caratterizzati da indifferibilità ed urgenza. La costruzione e l’esercizio dei predetti impianti, fatti salvi i provvedimenti di competenza del Ministero dell'interno in materia di prevenzione incendi, è soggetta ad una autorizzazione unica, che costituisce anche titolo a costruire, rilasciata dalla regione competente nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, che costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico.