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Il quadro normativo.
L’abusivismo edilizio, disciplinato dal Titolo IV del d.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. Edilizia), si verifica in linea generale, oltre alle specifiche dettate dal medesimo Titolo, quando vengono realizzate opere che comportano una trasformazione urbanistica od edilizia, in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, delle leggi statali o regionali, o senza la prescritta autorizzazione.
La disciplina più di dettaglio del T.U. Edilizia (artt. 31 e ss.) rivela una volontà del Legislatore di trattare il fenomeno dell’abusivismo edilizio in maniera più particolareggiata, dando diversa rilevanza - anche a livello sanzionatorio - alle differenti tipologie di abuso.
Alla chiarezza legislativa e giurisprudenziale sulle finalità repressive da perseguire, però, non ne corrispondeva altrettanta circa i limiti motivazionali legati ai poteri dell’Amministrazione nell’ambito dell’emissione dell’ordinanza di demolizione; né conseguenzialmente poteva dirsi stabilito in modo preciso il confine oltre il quale l’inerzia dell’Amministrazione sull’emissione del provvedimento di ripristino, o altri elementi quali la conoscenza (anche indiretta) dell’abuso da parte della P.A., potessero generare in capo al destinatario del provvedimento una posizione giuridica valutabile in termini di legittimo (o meglio, incolpevole) affidamento.
Da questi temi, l’ambito di conflitto giurisprudenziale.
Orientamenti giurisprudenziali
Come fotografato dall’Adunanza Plenaria n. 9/2017, il panorama giurisprudenziale si è diviso secondo due orientamenti.
- Il primo, maggioritario, riteneva che in tema di abusivismo edilizio fosse da escludere la possibilità di configurare un legittimo affidamento in capo al responsabile dell’abuso e, quindi, l’onere per la P.A. di fornire nell’ordinanza una specifica motivazione di stampo pubblicistico (es: Cons. Stato, VI, 10 maggio 2016, n. 1774). Ciò, a prescindere dal tempo trascorso tra l’emissione del provvedimento e il fatto, in ragione della natura vincolata dell’ordine di demolizione che esclude il configurarsi in capo alla P.A. di obblighi di motivazione ulteriori (al ripristino della legalità) e di ponderazione degli interessi coinvolti, dovendosi infine emarginare la possibilità di creazione di una sorta di “sanatoria extra ordinem”.
- Un secondo e minoritario orientamento, invece, sosteneva che l’ordine di demolizione dovesse essere adeguatamente motivato sull’accertata abusività dell’opera quando, verificata anche la diversità tra il soggetto responsabile dell’abuso e il proprietario, nonché tenuto conto di un considerevole lasso di tempo e dell’inerzia della P.A. sotto il profilo repressivo, si era oramai venuta a generare nel destinatario una posizione di affidamento (in tal senso: Cons. Stato, IV, sent. 4577 del 2016).
In questa cornice, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (17 ottobre 2017, n. 9), si è inserita pronunciando il principio secondo cui il provvedimento di ordine di demolizione di un immobile abusivo, realizzato in assenza di titolo edilizio, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso.
Di più, l’Adunanza Plenaria ha specificato come tale principio non ammetta deroghe, neppure dettate dal decorso di un lungo lasso di tempo tra la realizzazione dell’intervento abusivo e l’ingiunzione, ovvero dalla non coincidenza tra il destinatario di quest’ultima e il responsabile dell’abuso (anche in assenza di finalità elusive nel trasferimento).
Deve però rammentarsi che, nella stessa pronuncia, il Supremo Consesso amministrativo ha esplicitato (cfr. par. 7.3) la tutela, prevista dall’ordinamento, del soggetto che pure versi in una situazione antigiuridica come quella dell’abuso, qualora la sua posizione di affidamento presenti un carattere incolpevole.
Occorre poi rilevare come, successivamente all’emanazione del predetto principio, altre pronunce (es.: T.A.R. Napoli sent. nn. 5473/2017 e 184/2018) abbiano fornito ulteriori indizi utili circa l’individuazione dei confini dell’incolpevole affidamento, rilevando la sussistenza di tale posizione, per esempio, nei casi in cui il privato, resa nota la situazione edilizia alla P.A., fosse stato indotto da quest’ultima a ritenere legittimo il suo operato mediante il rilascio di un provvedimento.
Consiglio di Stato, sez. VI, n. 3372 del 4 giugno 2018: brevi considerazioni.
Questo, parte del quadro normativo e giurisprudenziale entro cui deve leggersi la sentenza n. 3372/2018 della sezione VI del Consiglio di Stato che ha contributo a chiarire l’ambito di applicazione e i termini del bilanciamento che, in tema di abusivismo edilizio, deve effettuarsi tra la necessità di punire una condotta contra legem e l’affidamento (incolpevole) del proprietario dell’immobile realizzato abusivamente.
Nella vicenda riguardante l’abusività contestata dalla P.A. nel 2016 di un locale realizzato nel 1973 (a detta delle ricorrenti eseguito dalla società costruttrice), adibito a garage ubicato al piano seminterrato, nonché portato a conoscenza dell’Amministrazione sin dal 1978, il Consiglio di Stato - con esplicito richiamo all’Ad. Pl. 9/2017 - ha stabilito in punto di affidamento incolpevole che la risalenza nel tempo dell’abuso contestato, unita alla conoscenza della situazione edilizia da parte della P.A. per mezzo del rilascio di un titolo edilizio ricollegabile all’opera abusiva, configurano in capo al privato una posizione valutabile in termini di affidamento incolpevole e, pertanto, costituiscono parametri apprezzabili di valutazione da parte della P.A. prima dell’emissione della misura ripristinatoria, ovvero devono condurre l’Amministrazione a fornire una adeguata motivazione sull’interesse pubblico attuale al ripristino dei luoghi.