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La pianificazione è un atto complesso, che incide sulla proprietà di migliaia di persone, anche se attuata in un comune di modeste dimensioni e con i nomi più vari che oggi assumono i PRG (PUG, PGT etc.) nelle varie Regioni.
Ciò premesso è difficile capire se un terreno destinato a funzioni pubbliche sia da espropriare oppure no. La questione è rilevante sia per il Comune (che deve programmare l’opera, prevederne i costi e dichiararne la pubblica utilità) sia per il privato, che vedrà vincolato il proprio terreno per un tempo limitato (per l’esproprio) o illimitato (se si tratta di una norma che non prevede la perdita di proprietà).
L’espropriazione si basa su tre fasi:
- vincolo;
- dichiarazione di P.U. (pubblica utilità);
- decreto di esproprio ed indennizzo.
Con le prime due fasi (vincolo e P.U.) si radica il diritto ad espropriare.
La terza fase (decreto di esproprio ed indennizzo) riguarda il pagamento del prezzo dell’ablazione delle aree.
Ma queste fasi presuppongono che il vincolo di destinazione imposti dal piano regolatore sia espropriativo.
La sentenza del Consiglio di Stato (sez. VI, 24 gennaio 2023, n. 759) ribadisce con chiarezza la differenza tra vincolo conformativo ed espropriativo.
Sul piano generale, i vincoli conformativi riguardano una generalità di beni, in funzione della destinazione assolta dall'intera zona in cui questi ricadono. Si tratta in sostanza di vincoli che riguardano i modi di godimento e utilizzazione del bene, non sono soggetti a decadenza e non danno diritto ad alcun indennizzo.
I vincoli espropriativi, invece, sono vincoli che incidono su beni determinati, in base alla localizzazione (lenticolare, secondo la Cassazione) di un'opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata. Si tratta quindi di vincoli preordinati alla successiva espropriazione e soggetti a decadenza quinquennale.
La Corte costituzionale, nella sentenza 20 maggio 1999 n. 179, ha precisato che una previsione urbanistica, per poter essere considerata conformativa e non (sostanzialmente) espropriativa, deve essere tale da poter essere attuata – in concreto ed effettivamente – dal privato proprietario dell’area. Del resto sono qualificati come di carattere meramente conformativo i vincoli di destinazione che siano realizzabili ad iniziativa privata, con un coordinamento pubblico, o mista pubblico-privata.
Non comportano necessariamente l'espropriazione o la realizzazione di interventi ad esclusiva iniziativa pubblica, interventi attuabili anche dal soggetto privato, a volte, sia pure mediante convenzione con il Comune, ma senza necessità della preventiva ablazione del bene.
In questa categoria (non espropriativa) possono ricadere parcheggi, impianti sportivi, mercati e complessi per la distribuzione commerciale, edifici per iniziative di cure e sanitarie. Da tale premessa la giurisprudenza ha ritenuto che “i vincoli di destinazione imposti dal piano regolatore per attrezzature e servizi realizzabili anche ad iniziativa privata o promiscua, in regime di economia di mercato, anche se accompagnati da strumenti di convenzionamento (ad es. parcheggi, impianti sportivi, mercati e strutture commerciali, edifici sanitari, zone artigianali, industriali o residenziali), sfuggono allo schema ablatorio, con le connesse garanzie costituzionali in termini di alternatività fra indennizzo e durata predefinita.
Se è vero, infatti, che la previsione dell'indennizzo è doverosa non soltanto per i vincoli preordinati all'ablazione del suolo, ma anche per quelli "sostanzialmente espropriativi" (secondo la definizione di cui all'art. 39, comma 1, del precitato D.P.R. 327/2001), è anche vero che non possono essere annoverati in quest'ultima categoria, quei vincoli derivanti da destinazioni realizzabili anche attraverso l'iniziativa privata in regime di economia di mercato (cfr., ex multis, Cons. St., IV, 28 febbraio 2005, n. 693; VI, 14 maggio 2000, n. 2934; Cass. Civ., I, 26 gennaio 2006, n. 1626 e 27 maggio 2005, n. 11322). Ciò, in quanto la disciplina urbanistica che ammette la realizzazione di interventi edilizi da parte di privati, seppur conformati dal perseguimento del peculiare interesse pubblico che ha determinato il vincolo, non si risolve in una sostanziale espropriazione, ma solo in una limitazione, conforme ai principi che presiedono al corretto ed ordinario esercizio del potere pianificatorio, dell'attività edilizia realizzabile sul terreno. Questa categoria di vincoli, non avendo un contenuto sostanzialmente espropriativo, ma derivando dal riconoscimento delle caratteristiche intrinseche del bene, nell'ambito delle scelte di pianificazione generale, risulta determinata nell'esercizio della potestà conformativa propria dello strumento urbanistico generale, per cui ha validità a tempo indeterminato, come espressamente stabilito dall'articolo 11 della legge 1150/1942" (cfr., in termini, Cons. Stato, Sez. IV, 16 settembre 2011 n. 5216, 22 giugno 2011 n. 3797 e 1 ottobre 2017 n. 5059).
In sintesi, i vincoli espropriativi, che sono soggetti alla scadenza quinquennale, concernono beni determinati, in funzione della localizzazione puntuale di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può quindi coesistere con la proprietà privata.
Non può invece attribuirsi carattere ablatorio ai vincoli che regolano la proprietà privata al perseguimento di obiettivi di interesse generale, quali il vincolo di inedificabilità, c.d. “di rispetto”, a tutela di una strada esistente, a verde attrezzato, a parco, a zona agricola di pregio, in quanto tali ultime conformazioni non azzerano il contenuto del diritto di proprietà limitandosi a finalizzarlo a un interesse generale.
Solo nel caso in cui i vincoli degli strumenti urbanistici generali costituiscano vincoli espropriativi essi, ove non siano stati attuati, decadono dopo la decorrenza del termine quinquennale di cui all’art. 9 del d.p.r. n. 327 del 2001. Altrimenti, laddove si ravvisi un vincolo conformativo, esso non è sottoposto a una data finale di efficacia e non necessita di essere rideterminato.
Chiarita la natura del vincolo va ricordato che il Comune ha un forte potere discrezionale, che comporta limiti di impugnabilità di un piano urbanistico e quindi sui limiti della tutela delle aspettative edificatorie dei privati rispetto all’esercizio di poteri pianificatori ambientali e paesaggistici. In generale:
- le scelte di pianificazione sono espressione di un’amplissima valutazione discrezionale, insindacabile nel merito, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità;
- anche la destinazione data alle singole aree non necessita di apposita motivazione (c.d. polverizzazione della motivazione), oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico discrezionale, seguiti nell'impostazione del piano stesso, essendo sufficiente l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione allo strumento urbanistico generale, a meno che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni;
- con riferimento all’esercizio dei poteri pianificatori urbanistici, la tutela dell’affidamento è riservata ai seguenti casi eccezionali: a) superamento degli standard minimi di cui al d.m. 2 aprile 1968, con l’avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona; b) pregresse convenzioni edificatorie già stipulate; c) giudicati (di annullamento di dinieghi edilizi o di silenzio rifiuto su domande di rilascio di titoli edilizi), recanti il riconoscimento del diritto di edificare; d) modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo;
- una posizione di vantaggio (derivante da una convenzione urbanistica o da un giudicato) può essere riconosciuta (e quindi essere oggetto della tutela da parte del giudice amministrativo) soltanto quando abbia ad oggetto interessi oppositivi e non invece quando si tratti di interessi pretensivi.