07 Novembre 2019

La Corte di Giustizia sulle previsioni che limitano la quota subappaltabile degli appalti pubblici

ANTONIO PAVAN

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Abstract

Con sentenza del 26 settembre 2019 la Corte di Giustizia si è pronunciata sulla previsione del codice appalti italiano che limita i sub affidamenti ad un certo valore percentuale rispetto all’intero importo del contratto d’appalto: la Corte ha stabilito che tale previsione è contraria alle direttive europee in materia d’appalto.

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Dopo la lettera di messa in mora del gennaio scorso con cui la Commissione europea dichiarava aperta la procedura d’infrazione contro l’Italia per violazione, tra l’altro, delle direttive europee in materia di subappalto, anche la Corte di Giustizia ha avuto modo di pronunciarsi sull’argomento.

Con Sentenza del 26 settembre scorso, resa nella causa C-63/18, la Corte ha preso posizione sulla restrizione quantitativa della quota di subappalto al 30%, come prevista nel Codice degli Appalti, dichiarandola illegittima.

Va premesso che i fatti di cui alla decisione in commento risalgono a prima dell’ultimo intervento legislativo, ovvero quello della L. 55/2019 (di conversione del c.d. D.L. “Sblocca-Cantieri”), che ha alzato il livello della quota subappaltabile al 40% dell’importo dell’intero contratto.

In ogni caso, il valore della quota è di poco rilievo, in quanto i Giudici europei hanno stabilito che è illegittimo prevedere limiti alle prestazioni subappaltabili tout-court e dunque a prescindere da ogni eventuale percentuale. In altre parole, non si contesta la restrizione perché più o meno alta, ma la restrizione in se stessa.

La decisione è dunque coerente con la lettera della Commissione europea di gennaio 2019, con cui quest’ultima dichiarava vietati i limiti assoluti alle prestazioni subappaltabili da parte del vincitore di una gara d’appalto pubblica.

La domanda di pronuncia pregiudiziale in questione era stata avanzata dal T.A.R. Lombardia, nel contesto di un giudizio vertente tra una società per azioni e la società Autostrade per l’Italia, in relazione all’esclusione da una gara della detta s.p.a. da parte della stazione appaltante.

Il Collegio lombardo chiedeva alla Corte europea di pronunciarsi in relazione alla corretta interpretazione degli articoli 49 e 56 TFUE, dell’articolo 71 della direttiva sui lavori (2014/24/UE) e del principio di proporzionalità, palesando un dubbio circa la potenziale violazione, da parte della normativa italiana, dei principi di libertà di stabilimento, di libera prestazione dei servizi e di proporzionalità.

Cioè alla Corte veniva chiesto di chiarire se i principi europei in questione ostassero all’applicazione di una normativa nazionale in materia di appalti pubblici (nella specie, l’articolo 105, comma 2, terzo periodo, del D. Lgs. n. 50/2016), secondo cui il subappalto non può superare la quota del 30% dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture.

La Corte aveva già avuto modo di esprimersi sulla questione con la sentenza del 16.7.2016 resa nella causa C‑406/14 (Wrocław - Miasto na prawach powiatu, sentenza che riguardava l’interpretazione della direttiva 2004/18/CE) e ne ha ribadito i principi. In quella sede, i Giudici europei avevano chiarito che è incompatibile con il diritto europeo sugli appalti imporre, in un capitolato, limitazioni al subappalto per una percentuale dell’importo contrattuale, fissata in maniera astratta, a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità di eventuali subappaltatori e senza menzione alcuna del carattere essenziale degli incarichi di cui si tratterebbe.

Nella Sentenza del 26 settembre scorso, la Corte UE ha rilevato come il divieto di subappalto oltre il 30% dell’importo contrattuale si applichi indistintamente a tutti i settori economici, indipendentemente dalla natura essenziale o meno delle prestazioni o dall’identità dei subappaltatori, non lasciando alla stazione appaltante alcun margine di valutazione del caso concreto.

La Corte, nell’argomentare la propria decisione, ha richiamato la funzione del subappalto, che è quella di permettere un agile accesso agli appalti per le piccole e medie imprese, consentendo così la massima apertura alla concorrenza.

Nemmeno la finalità di contrastare il fenomeno delle infiltrazioni della criminalità organizzata può costituire valido motivo per apporre limiti al subappalto. La difesa del Governo italiano, infatti, ha tentato di giustificare le limitazioni in questione in ragione delle particolari circostanze che caratterizzano il nostro Paese, per cui i sub affidamenti costituiscono spesso terreno fertile per la criminalità organizzata. Tuttavia, per i Giudici del Lussemburgo, “anche supponendo che una restrizione quantitativa al ricorso al subappalto possa essere considerata idonea a contrastare siffatto fenomeno, una restrizione come quella di cui trattasi nel procedimento principale eccede quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo” proprio perché non sarebbe possibile operare una valutazione sul caso concreto da parte della stazione appaltante.

Invero, vi sarebbero già, a detta della Corte, delle misure che limitano meno la concorrenza ma che sono pur sempre idonee a raggiungere l’obiettivo di prevenzione criminale perseguito dal legislatore italiano. La Corte ricorda che il diritto italiano “già prevede numerose attività interdittive espressamente finalizzate ad impedire l’accesso alle gare pubbliche alle imprese sospettate di condizionamento mafioso o comunque collegate a interessi riconducibili alle principali organizzazioni criminali operanti nel paese”. E in ogni caso, non convince l’argomentazione per cui i controlli di verifica che l’amministrazione è tenuta ad effettuare sarebbero inefficaci: secondo la Corte questa circostanza “nulla toglie al carattere restrittivo della misura nazionale”.

Dunque, la Corte ha concluso stabilendo che la Direttiva 2014/24/UEdeve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che limita al 30% la parte dell'appalto che l'offerente è autorizzato a subappaltare a terzi”.

A questo punto non resta che attendere l’iniziativa del legislatore italiano per l’adeguamento della normativa nazionale ai dettami delle direttive europee.

 

Ha contribuito alla stesura del presente articolo la Dottoressa Francesca Novello, Collaboratrice dello studio.

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