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Il caso
La vicenda trae origine dall’impugnazione da parte di alcune licenziatarie del servizio pubblico di telefonia fissa e mobile sul territorio nazionale delle disposizioni del nuovo “Regolamento per la localizzazione, l'installazione e la modifica degli impianti di telefonia mobile” del Comune di Roma approvato nella seduta del 14.5.2015 e gli atti applicativi, che inibiscono l’installazione di impianti, in quanto asseritamene contrastante con il Codice delle telecomunicazioni e con la legge quadro n. 36/2001 sull'elettromagnetismo praticamente preclusivo delle attività di pianificazione dello sviluppo della rete.
A seguito del rigetto dei ricorsi promossi da parte del giudice di primo grado, il Consiglio di Stato dispone la riunione degli appelli e rinvia alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, al fine di verificare se la disciplina nazionale in materia così come interpretata dalla giurisprudenza, sia compatibile con la disciplina europea vigente.
Quadro normativo di riferimento
Al fine di comprendere appieno la portata dal quesito giova operare una ricostruzione del quadro normativo di riferimento e della relativa interpretazione giurisprudenziale.
L’art. 8, comma 6, legge 36/2001, dispone che: “I comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici”.
Tale norma è stata interpretata dalla prevalente giurisprudenza, nel senso che, nell’ambito delle proprie e rispettive competenze, alle regioni ed ai comuni è consentito individuare criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile (anche espressi sotto forma di divieto) quali ad esempio il divieto di collocare antenne su specifici edifici (ospedali, case di cura ecc.) mentre non è loro consentito introdurre limitazioni alla localizzazione, consistenti, come nel caso di specie, in criteri distanziali generici ed eterogenei (come ad es. prescrizione di distanze minime, da rispettare nell’installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente connesse all’esercizio degli impianti stessi, di ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili nido nonché di immobili vincolati ai sensi della legislazione sui beni storico-artistici o individuati come edifici di pregio storico-architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti sportivi).
Per quanto attiene, invece, al diritto dell’Unione europea, e, in particolare, le direttive di rilievo nel caso di specie, un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica, nonché per il servizio universale ed i diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica, è istituito dalla direttiva quadro 7/3/2002, n. 2002/21/CE e dalla connessa direttiva n. 2002/22/CE (direttiva servizio universale). Assume altresì rilievo la direttiva 2002/20/CE recante la disciplina delle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica, c.d. direttiva autorizzazioni.
In materia la giurisprudenza europea (Corte giustizia UE sez. III, 17/02/2011, n.16) ha chiarito che l’art. 8 n. 1, della direttiva "servizio universale" (2002/22/CE) autorizza gli Stati membri, quando decidono di designare una o più imprese per la fornitura del servizio universale, ad imporre alle imprese affidatarie unicamente gli specifici obblighi previsti dalla direttiva stessa e che sono collegati alla fornitura agli utenti finali. Inoltre l'art. 3 n. 2 della direttiva stessa non consente ad uno Stato membro di imporre ad un'impresa, designata per lo svolgimento del servizio universale, obblighi diversi da quelli previsti dalla direttiva stessa.
La rimessione in CGUE
A fronte delle indicazioni desumibili dalle norme delle direttive in materia e dalla giurisprudenza europea sopra richiamate, il Collegio ha ritenuto sussistenti “dubbi di compatibilità della disciplina nazionale, con particolare riferimento all’art. 8 comma 6 legge 36\2001”, nella misura in cui consente alle singole amministrazioni locali di individuare criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile (anche espressi sotto forma di divieto) quali ad esempio il divieto di collocare antenne su specifici edifici o attraverso l’imposizione di specifiche e predeterminate distanze.
I dubbi di compatibilità scaturiscono in particolare dall’interpretazione della norma operata dalla prevalente giurisprudenza e condivisa dal Collegio, a tenore della quale gli enti territoriali possono individuare i criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile (anche espressi sotto forma di divieto), ma non possono introdurre limitazioni alla localizzazione.
Necessità di individuare un bilanciamento
Il Collegio constata che dalle norme sopra richiamate emerge che il diritto all'informazione dei cittadini e quello del cittadino di effettuare, ricevere chiamate telefoniche e comunicazioni di dati in ogni luogo, senza limitazioni di carattere spaziale-territoriale (cfr. considerando n. 4 direttiva n. 2002/22/CE) costituisce “un diritto a soddisfazione necessaria che non può essere compresso o limitato arbitrariamente né da normazioni di livello statale né tantomeno da normazioni di livello inferiore”. Per garantirlo la disciplina europea ha, infatti, imposto agli operatori del servizio universale alcuni obblighi, tra cui di mantenere l'integrità della rete, come pure la continuità e la qualità del servizio (cfr. considerando 14 direttiva cit.), in modo tale da assicurare l'effettività del diritto in capo a tutti gli utenti omogeneamente su tutto il territorio dell'Unione europea.
Infatti è incontestato – sottolinea il Collegio – che il diritto alla comunicazione non possa essere arbitrariamente e ingiustificatamente compresso o limitato, dunque le amministrazioni preposte al corretto governo del territorio dovranno trovare le soluzioni che di volta in volta meglio consentano il minor sacrificio dello stesso e, allo stesso tempo, la massima tutela del diritto alla comunicazione.
Tuttavia questi diritti possono confliggere con quelli alla tutela dell'ambiente, del corretto assetto del territorio e della salute. In particolare in quest’ultimo caso, sulla scorta del principio di precauzione.
In conclusione, il Consiglio di Stato ritiene necessario che venga operato un bilanciamento tra i vari diritti in rilievo nel caso di specie.