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Sul punto si sono susseguite la Direttiva n. 1 del 25 febbraio 2020 e la Circolare n. 1 del 4 marzo 2020, entrambe del Dipartimento della Funzione Pubblica, che hanno fornito prescrizioni operative per l’implementazione del lavoro agile ex l. n. 81 del 2017 anche tra i dipendenti pubblici.
Come noto, l’art. 18, co. 3 della l. n. 81 del 2017 estende l’applicazione delle disposizioni sul lavoro agile anche ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, co. 2 del d.lgs. 165 del 2001, purché “compatibili” con i compiti assegnati e con l’organizzazione del lavoro, ed in ogni caso secondo le direttive emanate anche ai sensi dell'art. 14 l. n. 124 del 2015.
Questa disposizione, che pure precedeva la codificazione normativa del lavoro agile ad opera della l. n. 81 del 2017, è rubricata “promozione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nelle amministrazioni pubbliche” ed incoraggiava le P.A. a fissare obiettivi annuali per l'attuazione del telelavoro e per la sperimentazione di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione, così che entro il triennio successivo almeno il 10% dei dipendenti pubblici potesse avvalersi di telelavoro o altre modalità “flessibili” di esecuzione della prestazione (in termini di spazio e tempo). La finalità sottesa all’adozione di tali misure era chiaramente quella di agevolare la conciliazione vita-lavoro, ma anche di incrementare la produttività degli Uffici.
Un nuovo impulso allo sviluppo di tali misure era giunto con la l. n. 81 del 2017 e con la Direttiva n. 3 del 1 giugno 2017 del Dipartimento della Funzione Pubblica, con cui erano state fornite indicazioni operative e metodologiche per l’implementazione di forme di lavoro “agile” nella P.A.
La Direttiva n. 3 del 2017 pur evidenziando gli innumerevoli effetti positivi che il lavoro agile poteva avere sull’organizzazione e buon funzionamento della P.A., esigeva che alla sua introduzione le singole Amministrazioni giungessero solo a valle di un complesso iter organizzativo che esigeva: una preliminare analisi del contesto organizzativo; la successiva costituzione di un apposito gruppo di lavoro interno; la definizione precisa degli obiettivi e delle caratteristiche del progetto di lavoro agile rispetto alla singola amministrazione ed alla sua specifica organizzazione interna; la verifica degli spazi, del rispetto dei requisiti antinfortunistici e l’accertamento dell’adeguatezza e del buon funzionamento della dotazione tecnologica strumentale a tale particolare modalità di esecuzione del lavoro; la definizione chiara delle modalità di avvio, del monitoraggio e valutazione della performance del singolo dipendente; ma anche la sensibilizzazione dei singoli dipendenti alle nuove modalità di svolgimento dei propri compiti, l’accrescimento della cultura manageriale e dell’organizzazione per obiettivi all’interno della P.A., nonché il coinvolgimento delle rappresentanze sindacali.
Richiamando integralmente l’applicazione della l. 81 del 2017, rimaneva in questo contesto di assoluta rilevanza la conclusione dell’accordo individuale con il singolo dipendente, al quale, come noto, la legge rinvia il compito di definire i profili di maggior rilievo della prestazione agile, non da ultimo l’esercizio del potere controllo e del potere disciplinare.
Nel quadro emergenziale causato dalla diffusione del COVID-19, invece, l’implementazione del lavoro agile per i pubblici dipendenti muta sia ratio (non più strumentale alla conciliazione vita lavoro ma a tutela della salute pubblica), sia anche i requisiti di attuabilità (venendo meno l’obbligatorietà di sottoscrivere un accordo individuale nel quale le parti disciplinano i distinti profili normativi della prestazione).
In questo contesto si colloca, quindi, l’emanazione di importanti provvedimenti volti a favorire il ricorso allo smart working, tra cui la circolare n. 1/2020, che contiene alcune indicazioni circa gli indirizzi operativi che le pubbliche amministrazioni devono adottare.
Nella circolare si prevede il ricorso in via prioritaria al lavoro agile, optando per questa modalità rispetto al telelavoro; inoltre si prescrivono alcune misure di incentivazione del ricorso allo smart working, consistenti principalmente:
- nell’utilizzo di soluzioni cloud;
- nel ricorso a strumenti per la partecipazione da remoto a riunioni;
- nell’attivazione di un sistema di reportistica interna ai fini dell’ottimizzazione della produttività anche in considerazione delle esigenze di misurazione e valutazione della performance.
Quanto ai mezzi da utilizzare per rendere la prestazione lavorativa, la circolare chiarisce che è consentito ricorrere al lavoro agile anche quando è il dipendente a rendersi disponibile all’utilizzo dei propri dispositivi, a condizione che in questi casi siano garantiti adeguati livelli di sicurezza e protezione della rete. È importante evidenziare che, con riferimento a questo aspetto, il legislatore era già intervenuto con il d.l. n. 9/2020, proprio per ovviare alle difficoltà economiche delle p.a. nell’approvvigionamento di nuovi pc, incrementando i quantitativi massimi per la fornitura.
Con questa circolare, quindi, si vorrebbe giungere ad assicurare il livello minimo di utilizzo del lavoro agile per il 10 per cento del personale, uscendo dalla fase della sperimentazione. A tal proposito va però specificato che nella circolare tale cifra viene pur sempre indicata come “obiettivo” da garantire “a regime”; anche considerato che ormai l’obiettivo è fissato nella stessa misura da ormai cinque anni, ci si può augurare che, complice la situazione di emergenza, che da ultimo ha comportato l’ulteriore restringimento contenuto nel DPCM dell’8 marzo 2020, questo livello venga raggiunto, superando la scarsa apertura verso questa innovativa modalità di svolgimento del lavoro che tutt’oggi sembra presente nelle pubbliche amministrazioni.
A questo fine nella circolare si conferma l’importanza del sistema di monitoraggio, finalizzato altresì alla misurazione della produttività delle attività, nell’ottica di valorizzazione delle performance.
Rimane fermo, e confermato dalla circolare, quanto previsto dalla direttiva n. 1/2020, che contiene importanti indicazioni in merito ai criteri di scelta da utilizzare per individuare i lavoratori destinatari del lavoro agile, per cui, senza distinzioni di categoria di inquadramento o tipologia di rapporto, sono favoriti i lavoratori portatori di patologie che li rendono maggiormente esposti al contagio (riferimento da leggere, presumibilmente, come esposti al rischio derivante da contagio), quelli che si avvalgono di servizi pubblici di trasporto per raggiungere il luogo di lavoro e quelli su cui grava la cura dei figli a seguito della chiusura delle scuole.
Nella circolare viene, infine, richiamata la previsione di cui al DPCM 1 marzo 2020, per cui è confermato che, come già accennato, anche all’interno del settore pubblico, valga, per la durata del periodo di emergenza, l’esonero dall’obbligo di accordo individuale di cui alla l. n. 81/2017. La misura è indubbiamente volta ad eliminare quella che poteva costituire una possibile difficoltà alla fruizione immediata del lavoro agile; non può tuttavia essere trascurata l’importanza di una regolamentazione di aspetti come l’orario di lavoro, le modalità di controllo e le forme di esercizio dei poteri datoriali che, in difetto di un pregresso accordo individuale, saranno auspicabilmente destinate ad essere regolate tramite un atto unilaterale dell’amministrazione.
Il presente articolo è stato redatto con la collaborazione dell’Avv. Maria Laura Picunio – MDA Studio Legale