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Sulla giurisdizione
Il primo problema che si pone all’interprete è la scelta tra giurisdizione ordinaria e quella amministrativa. Alcun dubbio che la giurisdizione appartiene al Giudice ordinario. In tali rapporti giuridici, infatti, non è ravvisabile alcun potere discrezionale o autoritativo dell’Ente Locale che provvede a concedere in locazione le aree dopo aver indetto una gara pubblica che prevede l’offerta, da parte di società interessate, di un canone per la locazione di una porzione di terreno.
La Giurisprudenza di Legittimità è univoca e consolidata nel ritenere che le controversie relative alla fase successiva alla sottoscrizione del contratto (dopo aver indetto una gara pubblica) ricadono nella giurisdizione dell’A.G.O. cui spetta di conoscere dei diritti e degli obblighi che derivano dalla stipulazione del contratto con la P.A.. (Confr. da ultimo Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, ordinanza 13 dicembre 2019, n. 32976).
In particolare, afferma la Corte, appartengono al giudice ordinario tutte le controversie concernenti l’interpretazione dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, nonché quelle rivolte ad accertarne le condizioni di validità e di efficacia e a ottenerne la declaratoria di nullità o inefficacia, ovvero l’annullamento, posto che anche esse hanno ad oggetto non già i provvedimenti riguardanti la scelta dell’altro contraente, ma il rapporto privatistico discendente dal negozio, e che gli eventuali vizi di questo devono essere esaminati esclusivamente dal giudice ordinario competente a conoscerne l’intera disciplina.
Un altro aspetto da tener presente, nella scelta della giurisdizione, è la natura giuridica del bene concesso in locazione. La giurisdizione appartiene al Giudice Amministrativo se il bene concesso in locazione è un bene appartenente al patrimonio indisponibile dell’Ente.
Se il bene concesso in locazione, invece, appartiene al patrimonio disponibile dell’Ente la giurisdizione spetta al Giudice ordinario.
Per distinguere se il bene concesso in locazione appartiene al patrimonio disponibile o indisponibile dell’Ente è illuminante il principio statuito dalla Suprema Corte a Sezioni Unite (Cass. Civ. Sez. Unite, sentenza n. 6019/2016).
In tale pronuncia la Corte afferma che affinché un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili, in quanto destinati a un pubblico servizio ai sensi dell'art. 826, comma 3, c.c., deve sussistere il doppio requisito (soggettivo e oggettivo) della manifestazione di volontà dell'ente titolare del diritto reale pubblico (e, perciò, un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell'ente di destinare quel determinato bene a un pubblico servizio) e dell'effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico servizio.
In difetto di tali contemporanee condizioni e della conseguente ascrivibilità del bene al patrimonio indisponibile la cessione in godimento del bene in favore di privati non può essere ricondotta a un rapporto di concessione amministrativa, ma, inerendo a un bene facente parte del patrimonio disponibile, al di là del "nomen iuris" che le parti contraenti abbiano inteso dare al rapporto, essa viene a inquadrarsi nello schema privatistico della locazione, con la conseguente devoluzione della cognizione delle relative controversie alla giurisdizione del giudice ordinario.
Sulla validità e efficacia del contratto di locazione
Le società di telefonia per evitare di corrispondere il canone affermano che le clausole del contratto di locazione relative alla sua determinazione sono nulle perché in contrasto con l’art. 93 del d. lgs n. 259/2003 come novellato dall’art. 68 comma 2 d. lgs 70/2012”.
L’art. 93 del d. lgs n. 259/2003, come novellato, vieta alle PP.AA. di imporre per l’utilizzazione del suolo da parte degli operatori che intendono eseguire interventi di realizzazione ed installazione delle reti ed impianti di telecomunicazione, prestazioni patrimoniali diverse ed aggiuntive rispetto al pagamento della Tosap e della Cosap, e al comma 2 fa carico agli operatori - gestori di reti di comunicazione elettronica, di tenere indenne gli enti proprietari delle spese necessarie alle opere di sistemazione delle aree pubbliche coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione e di ripristinare a regola d’arte le aree stesse.
Tale disciplina trova applicazione, dunque, nell’ipotesi in cui i beni oggetto dell’occupazione, da parte dei gestori telefonici, siano aree pubbliche e cioè che appartengano al demanio o al patrimonio indisponibile dell’Ente.
Il citato articolo 93, infatti, nel fare salva l’applicazione della Tosap e della COSAP non può che riferirsi alle fattispecie in cui dette imposizioni sono dovute ai sensi della normativa che le prevede con esclusione, da tale normativa, delle proprietà facenti parte del patrimonio disponibile dell’ente (In tal senso: Corte di Appello di Milano sentenza n^4178/2018, Tribunale Torino sentenza 5059/2018, ordinanza Tribuanle Velletri del 23/07/2021, Giudice Renato Buzi).
La suddetta norma è chiaramente orientata a limitare, definire e circoscrivere in termini precisi il potere degli Enti locali o proprietari di aree pubbliche rientranti nel patrimonio indisponibile di imporre, agli operatori di telecomunicazioni, oneri economici, diversi dalla Tosap e/o Cosap.
Né un terreno rientra automaticamente nel patrimonio indisponibile dell’Ente solo perché il posizionamento dell’antenna risponde a un servizio di pubblica utilità.
Sul punto la Suprema Corte a SU afferma testualmente: “La circostanza di aver posato le strutture e le antenne sul terreno di proprietà dell’ente, al fine di rendere un servizio di pubblica utilità, non fa si che tale fondo sia passato automaticamente a far parte del patrimonio indisponibile dell’ente essendo necessaria la presenza del doppio requisito (soggettivo e oggettivo) della manifestazione di volontà dell’ente titolare del diritto reale pubblico e, perciò, un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell’ente di destinare quel determinato bene a un pubblico servizio e dell’effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico servizi. (Cass. Sez. Unite 28/6/2006 n. 14865, Cass. Sez. Unite Ord. n. 6019/2016).