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Il background normativo
Nell’ipotesi in cui la procedura ad evidenza pubblica abbia ad oggetto la fornitura di dispositivi medici – caratterizzati, come noto, da una costante evoluzione tecnologica – si è posto il frequente problema di capire quale fosse il momento rilevante in cui verificare il possesso, da parte di questi, della certificazione di conformità CE.
Prima di addentrarci nell’analisi degli orientamenti giurisprudenziali esistenti sul punto, tuttavia, sembra opportuno soffermarsi sullo specifico apparato normativo dedicato a tale particolare settore.
Punto di riferimento per la materia è il D. Lgs. n. 46/1997, che ha recepito la Direttiva 93/42/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, concernente, in generale, i dispositivi medici.
L’art. 16, D.L gs. n. 46/1997, rubricato “Marcatura CE”, prevede al comma 1 che “i dispositivi, ad esclusione di quelli su misura e di quelli destinati ad indagini cliniche, che soddisfano i requisiti essenziali previsti all'articolo 3 devono recare al momento dell'immissione in commercio una marcatura di conformità CE”.
In particolare, l’art. 3 della medesima legge prevede che “I dispositivi possono essere immessi in commercio o messi in servizio unicamente se rispondono ai requisiti prescritti dal presente decreto, sono correttamente forniti e installati, sono oggetto di un'adeguata manutenzione e sono utilizzati in conformità della loro destinazione”.
Dalla lettura delle disposizioni testé citate si comprende che la rispondenza dei dispositivi medici ai requisiti prescritti dal decreto è condizione per il rilascio della certificazione di conformità CE, che è a sua volta condizione per l’immissione in commercio di detti prodotti.
L’art. 1, comma 2, lett. h) fornisce una definizione di immissione in commercio, stabilendo che essa si perfeziona con “la prima messa a disposizione a titolo oneroso o gratuito di dispositivi, esclusi quelli destinati alle indagini cliniche, in vista della distribuzione e/o utilizzazione sul mercato comunitario, indipendentemente dal fatto che si tratti di dispositivi nuovi o rimessi a nuovo”.
Parallelamente alla certificazione di conformità CE, sussiste, per tali specifici prodotti, un obbligo di registrazione degli stessi nel Repertorio nazionale dei dispositivi medici, così come previsto dal D.M. 21.12.2009 del Ministero della Salute, in attuazione dell’art. 13, comma 3-bis del D. Lgs. n. 46/1997.
Il procedimento in esame, ulteriore rispetto alla certificazione di conformità CE, prevede in particolare all’art. 5, comma 1 che “I dispositivi medici per la prima volta commercializzati in Italia successivamente alla data del 1° maggio 2007, con l'esclusione di quelli di cui agli articoli 4 e 6, possono essere acquistati, utilizzati o dispensati nell'ambito del Servizio sanitario nazionale dopo che il legale responsabile della struttura acquirente o un suo delegato ha verificato l'ottemperanza agli obblighi di comunicazione e informazione previsti dall'art. 13 del decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 46”.
Alla lettera del Decreto Ministeriale, pertanto, l’adempimento di tale obbligo informativo è quindi essenziale per poter commercializzare per la prima volta in Italia un dispositivo medico.
L'orientamento giurisprudenziale
Il Consiglio di Stato, a tal proposito, sostiene che “nel caso di appalti pubblici, l’immissione in commercio o in servizio, deve essere ordinariamente identificata con il momento della stipula del contratto; ovvero con il momento dell’ordinazione dei dispositivi contemplati in contratto qualora intervengano successivi ulteriori aggiornamenti dei dispositivi medici dedotti nell’obbligazione contrattuale originaria”.
Tale assunto risulterebbe giustificato dal fatto che l’assetto normativo “è direttamente finalizzato ad assicurare, all’attualità, il progresso tecnologico dei dispositivi medici ma anche la piena concorrenza tra i produttori. […] L’offerta in una gara pubblica infatti è un atto unilaterale di natura pre-negoziale, che anticipa il momento della commercializzazione vera e propria che coincide con la distribuzione del prodotto, vale a dire con la possibilità degli acquirenti di procedere in concreto all’acquisto”. (cfr. Cons. St., sez. III, 27.6.2017, n. 3145).
Tale interpretazione viene ribadita, estendendola tuttavia anche alla necessaria registrazione dei prodotti in questione nel Repertorio nazionale dei dispositivi medici, anche da una successiva pronuncia ove viene stabilito che “il prodotto deve essere, solo al momento del contratto, dotato del "numero", oltre che del marchio CE (rispetto ad una procedura che si era già perfezionata, e che si è completata nel corso della gara); con necessario distinguo tra fase della partecipazione (ove è sufficiente il perfezionamento nascente dall'informativa eseguita) rispetto a quella di esecuzione (stipula del contratto)”. (T.A.R. Cagliari, Sardegna, sez. I, 18.9. 2017, n. 587).
Secondo questo orientamento giurisprudenziale, quindi, è ammessa la possibilità di partecipare legittimamente ad una gara con un prodotto che al momento della presentazione dell’offerta risulti privo della certificazione di conformità CE, essendo la stessa condizione necessaria alla sola successiva messa in commercio del prodotto, che si ha, nel caso di appalti pubblici, con l’aggiudicazione definitiva e la stipula del contratto.
Tale conclusione si fonda sulla considerazione che “le apparecchiature ed i sistemi in questione, sono soggetti ad una costante, progressiva e, spesso, minuta innovazione delle relative componenti di prodotto e dunque evidente che il ricordato assetto della normativa comunitaria, è direttamente finalizzato ad assicurare, all'attualità, il progresso tecnologico dei dispositivi medici ma anche la piena concorrenza tra i produttori. Per questo voler anticipare l'obbligo del possesso della certificazione al momento dell'offerta apparirebbe, in assoluto, irragionevole in quanto si finirebbe per penalizzare gli interessi delle stazioni appaltanti ad una continua innovazione ed aggiornamento dei dispositivi medici” (cfr. Cons. St., sez. III, 27.6.2017, n. 3145).
A latere di tale orientamento giurisprudenziale ne esiste uno diverso, opposto, a mente del quale “l’omologazione e l’iscrizione nei relativi elenchi presso il Ministero della Salute sono prescritte da appositi decreti ministeriali, adottati in pedissequa attuazione di normative di derivazione comunitaria, e pertanto configurano un requisito legale dei prodotti medici in difetto del quale gli stessi non sono commerciabili, con la conseguente inammissibilità di un’offerta in gara che abbia a oggetto prodotti non regolarmente certificati e registrati. Quanto sopra discende non solo e non tanto dallo stesso atteggiarsi della normativa in materia di omologazione, la quale è anche assistita da sanzioni per chi commercia prodotti medici irregolari, ma anche e soprattutto dalla disciplina di gara la quale, nell’imporre ai concorrenti di indicare puntualmente gli estremi della registrazione dei dispositivi offerti, logicamente presuppone che gli stessi già al momento dell’offerta siano conformi alle normative in questione” (cfr. Cons. St., sez. III, 26.05.2017, n. 2514).
Stando a tale ultima interpretazione, un prodotto privo di certificazione di conformità CE e/o della relativa registrazione presso il Ministero della Salute non potrebbe costituire legittimamente oggetto di offerta ad una gara pubblica, ciò, tanto più, nel caso in cui tali certificati e/registrazioni siano espressamente richiesti dalla legge di gara.