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Le modifiche introdotte dal D.L. Semplificazioni e dall’ultima Legge di bilancio contengono modifiche estremamente puntuali del Codice dei Contratti pubblici ma molto distanti dalla riforma organica del settore, da più parti auspicata per superare le criticità del Codice varato nel 2016 - largamente tacciato di inefficienza ed inattuabilità - già oggetto di un primo, corposo correttivo nel 2017.
Per quanto riguarda il D.L. Semplificazioni, il legislatore ha adottato un’unica misura di semplificazione contenuta nell’art. 5. A dispetto delle numerose modifiche prospettate nello schema di Decreto e nonostante l’accattivante titolo di “Norme in materia di semplificazione e accelerazione delle procedure negli appalti pubblici sotto soglia comunitaria”, l’articolo contiene in realtà poche e scarne disposizioni, tutte incentrate sulla riforma della causa di esclusione dalle gare pubbliche prevista dall’art. 80, comma 5, lettera c), del D.lgs. 50/2016. In sintesi, la causa di esclusione in questione viene riformulata ed articolata in autonome fattispecie descritte dalle nuove lettere c), c-bis) e c-ter) del comma 5; e ciò, al dichiarato fine di “allineare il testo dell’articolo 80, comma 5, lettera c) del codice alla direttiva 2014/24/UE, articolo 57, par. 4, che considera in maniera autonoma le quattro fattispecie di esclusione indicate erroneamente, a titolo esemplificativo nell’attuale lettera c)”.
La novella introdotta dal D.L. Semplificazioni suggerisce due riflessioni.
La prima riguarda il contenuto dell’art. 5. Esso presenta una evidente incongruenza, essendo l’articolo in questione dedicato, nella rubrica, agli appalti sottosoglia e, nel corpo del testo, alla riforma dell’art. 80 del Codice applicabile (anche) agli appalti soprasoglia. L’incongruenza appare tanto più evidente se si considera che l’obiettivo dichiarato della riforma è stato quello di rendere il diritto nazionale coerente con la disciplina dettata dalla direttiva comunitaria, come è noto riguardante principalmente gli appalti soprasoglia.
La seconda considerazione è legata alla riformulazione delle cause di esclusione disciplinate dalla ‘vecchia’ lett. c) dell’art. 80, comma 5. La nuova lettera c-ter), infatti, registra una novità di rilievo rispetto alla precedente versione dell’art. 80, legittimando per il futuro l’esclusione dell’operatore economico a prescindere dalla esistenza di un accertamento ‘definitivo’ – in quanto non contestato ab origine o contenuto in sentenza non più impugnabile – in merito alla anticipata risoluzione contrattuale e, dunque, alle gravi carenze dimostrate dall’operatore nell’esecuzione di un precedente contratto.
Come è noto, la necessità di un accertamento definitivo era richiesta dal diritto nazionale – non dalle direttive europee – e aveva dato luogo a difficoltà applicative ed interpretative. In effetti, la vecchia formulazione della norma, da un lato, incentivava strumentalizzazioni della tutela giurisdizionale con finalità dilatorie e, dall’altro, se interpretata letteralmente, conduceva alla irragionevole conseguenza di imporre l’esclusione di un operatore a distanza di molti anni dal verificarsi dell’inadempimento contestato.
Sotto questo profilo, dunque, la modifica apportata dal D.L. Semplificazioni dovrebbe porre fine alle incertezze alimentate dalla vecchia disposizione. Inoltre, a compensazione del maggior margine di discrezionalità riconosciuto alle stazioni appaltanti nel disporre l’esclusione e a tutela degli operatori economici, il nuovo art. 80, comma 5, lett. c-ter), d.lgs. 50/2016, prevede un obbligo rafforzato di motivazione dell’esclusione “con riferimento al tempo trascorso dalla violazione e alla gravità della stessa”.
Il testo risultante dalla riforma, dunque, sembra sottolineare la necessità che le valutazioni delle stazioni appaltanti si concentrino sul profilo della (attuale) affidabilità del concorrente, da intendersi come reale capacità tecnico professionale nello svolgimento dell’attività oggetto di affidamento.
Per quanto concerne la Legge di bilancio, essa incide – senza modificarlo esplicitamente - sull’art. 36 del Codice, innalzando temporaneamente da 40.000 euro a 150.000.000 euro la soglia, al di sotto della quale sono consentiti affidamenti diretti di lavori pubblici: “fino al 31 dicembre 2019, le stazioni appaltanti, in deroga all’articolo 36, comma 2, del medesimo codice, possono procedere all’affidamento di lavori di importo pari o superiore a 40.000 euro e inferiore a 150.000 euro mediante affidamento diretto previa consultazione, ove esistenti, di tre operatori economici e mediante le procedure di cui al comma 2, lettera b), del medesimo articolo 36 per i lavori di importo pari o superiore a 150.000 euro e inferiore a 350.000 euro”
In sostanza, la disposizione introduce una deroga al Codice, al momento limitata sotto il profilo temporale (fino al 31 dicembre 2019), oltre che circoscritta ai soli appalti pubblici di lavori.
Considerato il mercato dei lavori pubblici, peraltro, è presumibile che la nuova disposizione sia destinata a trovare diffusa applicazione.
Anche in questo caso, l’intervento del legislatore suscita qualche perplessità: non si dimentichi che comprare al prezzo più basso vuol dire, di norma, comprare il prodotto peggiore.
Peraltro, la necessità di assicurare un confronto competitivo fondato su parametri qualitativi, oltre che quantitativi, predeterminati dalla stazione appaltante e portati preventivamente a conoscenza degli operatori interessati scongiurando qualsiasi discriminazione, non solo è imposta dal diritto comunitario – dal Trattato prima ancora delle direttive – ma discende direttamente dai principi generali dell’attività amministrativa e specifici della materia appalti pubblici.
Gli effetti virtuosi di un corretto confronto concorrenziale, dunque, non sembrano facilmente rinunciabili mentre l’obiettivo della semplificazione può essere perseguito solo attraverso una riforma organica del settore che assicuri, ed imponga, alle amministrazioni di perseguire obiettivi di qualità nell’affidamento di lavori e nell’acquisto di beni e servizi.