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Il caso
Nel 2009 un privato cedeva ad una società una volumetria residenziale e le parti assoggettavano il contratto alla sola imposta di registro in misura proporzionale, con l’aliquota prevista in via residuale per gli atti “diversi” dall’art. 9 della Tariffa (3%).
L’Agenzia delle Entrate, invece, sul presupposto che il contratto avesse ad oggetto la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, liquidava l’imposta di registro all’8% ex art. 1 della Tariffa (oggi aumentata al 9%, nds), oltreché le imposte ipotecaria e catastale in misura percentuale.
Le parti impugnavano l’avviso di liquidazione e, dopo alterne decisioni nei due gradi di merito, la questione giungeva infine alle Sezioni Unite della Cassazione, chiamate a comporre il contrasto giurisprudenziale sul punto.
Il contrasto giurisprudenziale
Come si può già notare dall’esposizione dei fatti, la corretta tassazione dell’atto dipende dalla qualificazione giuridica della cessione di cubatura. Trattasi del contratto – sorto da tempo nella prassi, ma ancora privo di disciplina organica – con cui il proprietario di un terreno distacca in tutto o in parte la facoltà di costruire nei limiti della volumetria consentita dal piano regolatore e, formandone un diritto a sé stante, lo trasferisce a titolo oneroso al proprietario di un altro fondo.
Secondo un primo orientamento, che potremmo definire “realitario” e privatistico, la cessione di volumetria avrebbe ad oggetto l’immediata traslazione o costituzione di un diritto reale, qualificato a volte come servitù atipica, altre come diritto di superficie atipico. L’effetto traslativo della cubatura discenderebbe quindi dalla volontà negoziale delle parti, mentre il rilascio al cessionario del titolo edilizio (incrementato dei volumi ceduti) sarebbe soltanto una condizione di efficacia del contratto.
Secondo un altro indirizzo, di stampo pubblicistico, la cessione avrebbe invece natura obbligatoria, poiché il cedente assumerebbe solo l’obbligazione di non sviluppare la volumetria sul proprio fondo e di assentire al rilascio del titolo edilizio “maggiorato” in favore del cessionario. Sarebbe perciò il provvedimento amministrativo – peraltro discrezionale e non vincolato – a produrre l’effetto traslativo della cubatura.
La decisione delle Sezioni Unite: le critiche ai due orientamenti
Quanto alla tesi “realitaria” – dominante nella giurisprudenza tributaria e nella prassi notarile – la Corte evidenzia, anzitutto, che oggetto del contratto non può essere un diritto di superficie: infatti, mentre quest’ultimo consiste nel diritto di edificare su suolo altrui, il cessionario sviluppa la cubatura ceduta sul fondo proprio.
Né oggetto del contratto può essere la costituzione di una servitù. Infatti – sebbene la cessione di cubatura ricalchi lo schema della servitù di non edificare, e sebbene l’ordinamento consenta di dar vita a servitù volontarie atipiche – il contratto in questione ha dei tratti incompatibili con la costituzione del diritto reale. Anzitutto, nella cessione di cubatura il consenso delle parti è strutturalmente insufficiente a produrre gli effetti pratici desiderati, essendo necessario il rilascio (discrezionale) del titolo edilizio: non sussistono perciò i caratteri di immediatezza e assolutezza che contraddistinguono i diritti reali.
In secondo luogo, mentre con la servitù si impone al proprietario del fondo servente soltanto l’obbligo di “sopportare” l’attività del proprietario del fondo dominante (servitus in faciendo consistere nequit), nella cessione di cubatura il cedente è tenuto anche ad una specifica obbligazione di facere: prestare il consenso al rilascio del permesso di costruire maggiorato.
Infine, a differenza che nella servitù, nella cessione di cubatura non è necessario che i fondi siano confinanti e neppure vicini, essendo invece essenziale che siano ricompresi all'interno della medesima zona urbanistica, così da partecipare della stessa destinazione e degli stessi standard edificatori (cd. prossimità di zona).
Quanto alla tesi “obbligatoria” – prevalente nella giurisprudenza amministrativa – le S.U. rilevano che essa, pur muovendo da premesse più rigorose, finisce per degradare l’oggetto del contratto di cessione a mera chance edificatoria e il contratto in sé ad elemento soltanto preparatorio o addirittura eventuale. Infatti, il titolo giuridico che determina il trasferimento, secondo questa impostazione, sarebbe il permesso di costruire per cubatura maggiorata, il cui rilascio è però rimesso ad attività discrezionale dell’Amministrazione (e dunque non è oggetto di un diritto perfetto) e non richiede neppure un atto negoziale tra le parti (bastando che il cedente sottoscriva per adesione l’istanza del cessionario).
In tal modo si sposta però eccessivamente il baricentro della fattispecie sul suo lato pubblicistico, finendo per negare l’assunto – oggi pacifico – secondo cui lo ius aedificandi rappresenta una naturale espressione del diritto di proprietà immobiliare, che l’ente pubblico può solo regolamentare ma certo non costituire né trasferire tra terzi. La tesi in esame, inoltre, derubrica la volontà delle parti a mero elemento interno al procedimento amministrativo, non considerando che la cessione di cubatura è invece un atto di disposizione patrimoniale di grande rilievo giuridico (perché modifica sensibilmente il contenuto concreto del diritto di proprietà) ed economico (in quanto la cubatura rappresenta di norma la quasi totalità del valore venale del suolo).
Segue: l’importanza del “nuovo” art. 2643, comma 1, n. 2-bis c.c.
Fatte tali considerazioni, le S.U. passano a considerare l’art. 2643 n. 2 bis c.c. (introdotto nel 2011, perciò dopo i fatti di causa), secondo cui vanno trascritti i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale.
Anzitutto, l’introduzione di tale norma, salvo ritenerla pleonastica, conferma che la cessione di cubatura non ha ad oggetto diritti reali, poiché la trascrizione di questi ultimi era già prevista dal medesimo art. 2643 c.c. (v. ad es. il n. 4 per le servitù).
Inoltre la disposizione – consentendo di trascrivere tutti “i diritti edificatori comunque denominati”, pure se previsti da norme regionali o locali – contempla anche diritti indeterminati e di fonte sublegislativa, dunque certamente non reali perché non tipizzati da una legge statale (cfr. l’art. 42 Cost. in tema di limitazioni al diritto di proprietà e l’art. 117, lett. l, Cost. in tema di riparto della potestà legislativa).
Dall’altro lato, però, la disposizione consente di restituire il giusto peso al contratto di cessione e, dunque, alla volontà delle parti, in ossequio al generale principio consensualistico di cui all’art. 1376 c.c. Essa infatti qualifica espressamente l’oggetto della cessione come diritto (e non mera chance) all’edificazione e dispone che siano “i contratti”, ed essi soli, gli atti in forza dei quali si “trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori”.
Il che peraltro non esclude la centralità del titolo edilizio ai fini della concreta fruibilità dei diritti edificatori, ma quale elemento esterno al contratto e che prescinde da esso (nel senso che si atteggia ugualmente anche in relazione ai diritti non ceduti, salvo che per la “quantità” di cubatura assentibile).
Segue: le conclusioni, il principio di diritto
All’esito di un’approfondita analisi critica dei due indirizzi giurisprudenziali, le S.U. approdano quindi ad una soluzione in certo senso intermedia, statuendo che la cessione di cubatura è un contratto: a) immediatamente traslativo di un diritto edificatorio a contenuto patrimoniale, ma non reale; b) non richiedente perciò la forma scritta ex art. 1350 c.c.; c) trascrivibile nei registri immobiliari, ai sensi dell’art. 2643 n. 2 bis c.c.; d) soggetto ad imposta di registro in misura proporzionale come atto "diverso" con l’aliquota di cui all’art. 9 della Tariffa allegata al DPR 131/1986; e) soggetto, in caso di trascrizione e voltura, ad imposta ipotecaria e catastale in misura fissa ex art. 4 della Tariffa allegata al D. Lgs. 347/1990.