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Il 2018 sarà quindi banco di prova per verificare se la norma, da lungo tempo attesa in Italia, servirà davvero a tutelare chi segnala illegalità e malamministrazione sul posto di lavoro e se contribuirà in maniera significativa a prevenire la corruzione, principale obiettivo per organizzazioni come Riparte il futuro che si sono spese per promuovere il whistleblowing nel nostro Paese.
Mentre la bozza di legge nasce dalla tenacia della sua prima firmataria, la deputata Francesca Businarolo, Riparte il futuro e Transparency International Italia, organizzazioni della società civile impegnate nel contrasto alla corruzione, si sono battute con la campagna #vocidigiustizia affinché quel testo proposto il 30 ottobre 2013 non rimanesse lettera morta. Il testo, approvato dalla Camera il 15 novembre pressoché all’unanimità rappresenta, nonostante alcune evidenti lacune, un significativo passo avanti rispetto allo status quo. In Italia infatti la legge 190/2012 aveva avuto il pregio di introdurre il tema del whistleblowing, senza però dar vita a un impianto organico di tutele effettive ed efficaci per i segnalanti né di valide sanzioni per il responsabile di atti persecutori nei confronti del whistleblower. Non si contano infatti i casi di segnalanti che, negli ultimi anni e nonostante la legge anticorruzione (la cosiddetta Severino) del 2012, hanno subito ritorsioni, demansionamenti, mobbing fino alla perdita del posto di lavoro, senza che il responsabile delle vessazioni fosse in alcun modo colpito da provvedimenti sanzionatori.
Il testo approvato dalla Camera prevede che il dipendente pubblico che segnali (al responsabile anticorruzione dell’ente, all’Autorità nazionale anticorruzione o all’autorità giudiziaria ordinaria o contabile) condotte illecite sul posto di lavoro non possa essere sottoposto a ritorsioni o ad altre misure organizzative negative direttamente dipendenti dalla segnalazione. La legge estende la sua validità anche al settore privato, ma subordinandola all’adozione del modello organizzativo ex d. Lgs 231/01, che di fatto taglia fuori una consistente fetta del tessuto economico e lavorativo privato nazionale.
Comunicazione per sensibilizzare l’opinione pubblica
Nel corso del lungo stallo al Senato, durato oltre 600 giorni, la campagna #vocidigiustizia ha contribuito a rendere il whistleblowing un argomento “popolare” di cui parlare nei talkshow e sulle pagine dei quotidiani, ben lontano da quel 2% di italiani che, secondo un sondaggio di Riparte il futuro del 2014, conoscevano il significato del termine “suonatore di fischietto”. Il risultato è stato ottenuto grazie a una serrata attività di comunicazione, con la produzione di video-storie che hanno contribuito a umanizzare un fenomeno essenziale a contrastare la corruzione e l’illegalità. La campagna si accompagnava a una petizione, firmata da 70mila cittadini, che si è rivelata uno strumento fondamentale a far riconoscere al legislatore il senso di urgenza di un provvedimento chiesto a gran voce da porzioni consistenti della cittadinanza. La petizione è stata firmata pubblicamente anche dal presidente dell’Anac Raffaele Cantone, che ha preso parte alla manifestazione organizzata in Piazza del Pantheon a Roma da Riparte il futuro e Transparency International, nella quale un attore, chiuso in un ufficio trasparente, rappresentava il senso di isolamento e di impotenza in cui si trova solitamente il whistleblower.
Il consenso dal basso ha permesso di legittimare una serrata attività di advocacy che si è proposta di migliorare il testo giunto dalla Camera (approvato in prima lettura il 21 gennaio 2016) e rimasto per lungo tempo senza essere discusso in Commissione Affari costituzionali al Senato.
Novità positive introdotte dalla legge
Il risultato ha portato a rivedere il testo rendendolo più efficace: in primis è stato introdotto il cosiddetto rovesciamento della prova, per cui sarà a carico del datore di lavoro dimostrare che la ritorsione subita dal lavoratore-whistleblower non è in alcun modo conseguenza della segnalazione. Altro miglioramento, l'eliminazione dal testo del concetto di buona fede: non verrà lasciata al giudice la discrezionalità di valutare la condizione soggettiva (la buona fede) in cui il segnalante ha effettuato la denuncia, bensì solo la validità dell'oggetto della segnalazione. Il focus dovrà quindi essere posto sulla rilevanza dell'informazione portata a conoscenza dal whistleblower e non invece sulle ragioni che lo hanno condotto a segnalare.
Anche il quadro sanzionatorio è stato rivisto: da una parte con l'aumento dell'ammenda amministrativa verso chi mette in pratica misure discriminatorie nei confronti del segnalante; dall'altra con l'introduzione di un nuovo illecito destinato a colpire, nel settore pubblico, i responsabili anticorruzione che non svolgano le dovute indagini a seguito della segnalazione. Infine, il provvedimento approvato dal Senato ha fatto un passo avanti significativo nel sancire il divieto a rivelare l'identità del segnalante sia nel procedimento disciplinare, sia in quello contabile e penale.
Dopo l’Italia potrebbe essere la volta dell’Europa: entro marzo 2018 dovrebbe arrivare una proposta dalla Commissione Europea, dopo le numerose sollecitazioni del Parlamento di Strasburgo, che ci auguriamo sia destinata a estendere le protezioni per i whistleblower in tutti gli Stati Membri, facendo della segnalazione e della tutela un nuovo diritto essenziale per i cittadini europei.
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