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Cooperative sociali e appalti pubblici: una convivenza difficile
Il tema della partecipazione delle cooperative sociali nelle procedure ad evidenza pubblica è sempre più frequentemente affrontato dal giudice amministrativo a partire quantomeno dal 2007, quando la Corte di Giustizia Europea, con la decisione del 29.11.2007 nella causa C-119/06, ribadì che gli enti del cosiddetto Terzo Settore potevano essere considerati imprese ai sensi e per gli effetti dei Trattati UE. Secondo la Corte di Giustizia, infatti, l’assenza di fini di lucro non escludeva di per sé l’esercizio di un’attività economica, né giustificava l’affidamento di commesse pubbliche a tali soggetti in deroga ai principi posti dalle direttive in tema di appalti pubblici.
Pertanto, il regime di stipulazione di convenzioni tra soggetti pubblici e società cooperative sociali in deroga alle norme sui contratti pubblici, previsto dall’art. 5 legge n. 381/1991, ha lasciato sempre più spazio all’applicazione delle regole ordinarie e – da ultimo – al Decreto Legislativo n. 50/2016, il cui art. 45 sancisce la coesistenza, nella definizione di “operatore economico” di soggetti tra loro molto diversi, come le società commerciali e le società cooperative sociali. Una coabitazione, questa, non priva di difficoltà, in quanto i criteri di selezione delle offerte sono stati elaborati tenendo presente un’idea di operatore economico che agisce con la finalità di lucro, che è di fatto assente nelle società cooperative sociali. Queste ultime infatti, ai sensi dell’art. 1 legge 381/1991, hanno lo scopo di perseguire l'interesse generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione sociale dei cittadini attraverso:
- la gestione di servizi sociosanitari ed educativi (cosiddette cooperative sociali di tipo A)
- lo svolgimento di attività diverse – agricole, industriali, commerciali o di servizi – finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate (cosiddette cooperative sociali di tipo B).
Si fronteggiano, pertanto, due principi e precisamente, da un lato, la massima apertura (e pertanto la massima applicazione) al mercato delle procedure pubbliche di selezione del contraente, cui è informata l’intera legislazione europea e nazionale, dall’altro, la par condicio tra i concorrenti che deve essere assicurata, nei limiti del possibile, anche in presenza di soggetti che agiscono sulla base di modelli economici profondamente diversi. L’operatore del diritto è pertanto chiamato a svolgere un delicato contemperamento tra detti principi, in modo da tutelare tutti gli interessi in gioco.
Cooperative sociali e appalti pubblici: a ciascuno il proprio CCNL
Ciò premesso, il Consiglio di Stato – con la sentenza in commento - ha fornito un ulteriore tassello in questo complicato quadro, rispondendo in ordine a quali siano gli obblighi che le cooperative sociali sono tenute a rispettare quando intendono partecipare ad una gara pubblica, con particolare riferimento all’applicabilità dei contratti collettivi nazionali di lavoro.
Il Codice dei Contratti Pubblici all’art. 30 comma 3, infatti prevede che “nell'esecuzione di appalti pubblici e di concessioni, gli operatori economici rispettano gli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dalla normativa europea e nazionale, dai contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali elencate nell'allegato X”. A tal fine, il problema posto al Consiglio di Stato è se tale norma imponesse alle cooperative sociali di rispettare le previsioni del CCNL riferibile ai lavori, servizi e forniture poste a base di gara, oppure se fosse sufficiente il rispetto delle (spesso) meno favorevoli disposizioni del CCNL Cooperative Sociali nei confronti dei propri lavoratori.
In tal senso, il Consiglio di Stato ha stabilito che la cooperativa sociale che partecipa a gare pubbliche è tenuta a rispettare esclusivamente il proprio CCNL di settore poiché è coerente con la natura giuridica di questo tipo di impresa, con la relativa connotazione sociale e, a monte, con il rapporto biunivoco che lega forma giuridica cooperativa e la contrattazione collettiva applicabile. Non solo, il Consiglio di Stato precisa che un eventuale obbligo di adozione di un CCNL diverso da quello fisiologicamente applicabile avrebbe l’effetto equivalente di scoraggiare la partecipazione alle gare pubbliche delle imprese cooperative sociali e si porrebbe, pertanto, in tensione con i fondamentali ed inderogabili valori giuridici europei e nazionali di massima apertura del mercato degli appalti pubblici.
Secondo il giudice amministrativo, tale soluzione non comporterebbe nemmeno un’ipotetica violazione della cosiddetta “clausola sociale” di cui all’art. 50 D. Lgs. n. 50/2016. Tale disposizione, infatti, prevede che i bandi di gara devono prevedere specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, tramite anche il cosiddetto “assorbimento” del personale dell’appaltatore uscente. Pertanto, ove una cooperativa sociale fosse vincitrice di una gara, applicherebbe ai lavoratori dell’appaltatore uscente le condizioni meno favorevoli del proprio CCNL di settore. Tuttavia il Consiglio di Stato, confermando sul punto la propria pregressa giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, Sez. V, sentenza n. 6761/2020), ha ribadito che l’applicabilità della clausola sociale deve essere intesa in maniera elastica, in quanto il dovere dell’aggiudicatario di riassorbimento del personale dell’appaltatore uscente non è assoluto ed incondizionato, ma è, di contro, funzione delle effettive possibilità dell’impresa subentrante.
Pertanto detta clausola opera secondo un doppio parametro:
- da un lato, nei limiti del margine di autonoma articolazione imprenditoriale dell’aggiudicatario, che deve essere messo nelle condizioni di valutare la possibilità o meno dell’assorbimento del personale nella propria organizzazione. A voler ragionare diversamente, ne sarebbe irrimediabilmente leso il principio di massima apertura alla concorrenza, in quanto gli operatori economici non in grado di riassorbire il personale dell’appaltatore uscente sarebbero automaticamente esclusi;
- dall’altro lato, i lavoratori assorbiti sono soggetti all’inquadramento lavoristico applicato dall’aggiudicatario ai propri dipendenti, in base alle vigenti condizioni contrattualistiche. In caso contrario, si realizzerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra i lavoratori originari dell’operatore economico e quelli assorbiti dall’appaltatore uscente.