* * *
L’etimo dell’ormai nota espressione “Smart City”, vale a dire “città intelligente”, non è sufficiente ad illustrare la vera natura di questo nuovo tipo di città. Spesso, infatti, la si identifica, semplicemente ed impropriamente, con un mero centro urbano tecnologicamente avanzato, con una rete di trasporti ben organizzata e, possibilmente, interconnessa.
In realtà il concetto è molto più complesso e racchiude al suo interno una corposa quantità di indici che ne definiscono i tratti salienti. Una città è “Smart”, in buona sostanza, se soddisfa determinati parametri, tra i quali assumono importanza fondamentale i livelli di Smart economy, Smart mobility, Smart environment, Smart people, Smart living e Smart governance presenti all’interno del tessuto urbano considerato. Tali valori individuano, de facto, la vera essenza della città intelligente: ovvero l’insieme organico e multiforme del capitale fisico ed economico, e di quello intellettuale e sociale. Realizzare una Smart City, dunque, vuol dire investire in tutte quelle opportunità connesse a tecnologia e digitalizzazione al fine di
(i) migliorare la sostenibilità e la qualità di vita e di lavoro di cittadini e imprese;
(ii) aumentare l’efficienza e l’accessibilità dei servizi;
(iii) ridurre inquinamento e degrado ambientale.
Le potenzialità delle Smart City, come detto, sono notevoli e considerevoli, motivo per cui le stesse sono attualmente oggetto di particolari attenzioni, soprattutto da parte delle pubbliche amministrazioni. A livello europeo, ad esempio, attraverso la strategia “Europa 2020”, il legislatore comunitario sta puntando su numerose iniziative al fine di favorire gli investimenti nelle Smart City (si vedano, ex multis, le iniziative “Eureka Smart Cities” e “JPI Urban Europe - Enscc”), perseguendo logiche di forte interconnessione tra il settore pubblico e quello privato con l’obiettivo di adottare, in sede europea, un modello di sviluppo capace di generare contemporaneamente ritorni sociali, ambientali e produttivi.
Proprio con riferimento a quei processi di stretta interconnessione e collaborazione che possono crearsi tra operatori economici e P.A., anche al fine della realizzazione di progetti di Smart City, a livello nazionale il D.Lgs. n. 50/2016 c.d. “Codice dei Contratti Pubblici” offre uno strumento operativo particolarmente rilevante ed efficace: il Partenariato Pubblico Privato (“PPP”).
Sebbene ancora poco utilizzato dalle amministrazioni pubbliche – e ciò per alcuni aspetti particolarmente “complessi” relativi alla sua strutturazione –, il PPP, disciplinato dall’art. 180 del Codice, rappresenta uno strumento decisamente rivoluzionario nel macchinoso sistema normativo italiano: esso consente, in buona sostanza, alle P.A. di accedere al know how, alle competenze e agli strumenti degli operatori privati; strumenti che, diversamente, sarebbero di difficile fruizione.
Come recentemente evidenziato da ANAC (nelle Linee Guida n. 9 di attuazione al Codice dei Contratti Pubblici), i contratti di Partenariato Pubblico Privato costituiscono un’eccellente “forma di cooperazione tra il settore pubblico e quello privato finalizzato alla realizzazione di opere e alla gestione di servizi”, nell’ambito della quale i rischi legati all’operazione che si intende porre in essere sono “suddivisi tra le parti sulla base delle relative competenze di gestione del rischio”.
Sono diverse le declinazioni che può presentare un contratto di PPP: esso può avere le caratteristiche (i) della finanza di progetto (o project finance), (ii) della concessione di costruzione e gestione, (iii) della concessione di servizi, (iv) della locazione finanziaria di opere pubbliche, (v) del c.d. contratto di disponibilità̀ o (vi) di qualunque altra procedura di realizzazione in partenariato di opere o servizi che presentino le caratteristiche tipiche di un Partenariato Pubblico Privato.
A prescindere dalle diverse tipologie, in tali operazioni rileva il fatto che il privato è stimolato alla “partnership” con la P.A. in quanto può essere remunerato attraverso i ricavi di gestione provenienti da un canone riconosciuto dall’amministrazione o da qualsiasi altra forma di contropartita economica; d’altra parte, la P.A. è libera di realizzare le opere che ritiene più funzionali (in chiave Smart City, a titolo meramente esemplificativo, dall’efficientamento dell’illuminazione pubblica alla realizzazione di hub digitali urbani dedicati o alle c.d. “smart road”) proprio grazie al legame e all’accesso alla strumentazione dell’operatore economico.
Punto centrale e determinante nella strutturazione di un PPP di successo, è rappresentato dalla c.d. “allocazione dei rischi”. Le P.A., infatti, hanno il compito – spesso non semplice ed immediato – di identificare e valutare gli specifici rischi connessi alla costruzione e gestione dell’opera o del servizio oggetto del contratto di PPP, ponendo tali rischi in capo al soggetto che presenta la maggiore capacità di controllo e gestione degli stessi. In altri termini, la natura contrattuale del PPP prevede che detti rischi (vale a dire, per comodità di riscontro, del “rischio di costruzione”, del “rischio di disponibilità” e del “rischio di domanda”) ricadano tout court sul privato a seconda del tipo di operazione effettuata, anche secondo quanto previsto dai principi Eurostat. Il rispetto di tale condizione, del resto, rappresenta la vera chiave di volta dello strumento de qua: se i rischi vengono correttamente allocati, infatti, l’amministrazione pubblica può collocare l’opera “off balance”, vale a dire che potrà evitare l’indebitamento e, di conseguenza, l’investimento non impatterà sul bilancio comunale.
L’utilità ed i vantaggi offerti delle operazioni di Partenariato Pubblico Privato, soprattutto se intesi quali strumenti per il rilancio dell’economia, delle infrastrutture e delle Smart City made in Italy, sono innegabili e, in alcuni casi, del tutto evidenti. Al fine, dunque, di sfruttarne pienamente le potenzialità, sarà necessario procedere ad un’attenta e certosina stesura del contratto di PPP, allocando correttamente, attraverso clausole chiare e inequivocabili, i rischi propri delle operazioni di Partenariato Pubblico Privato, nel rispetto della normativa comunitaria, del Codice dei Contratti Pubblici e delle indicazioni fornite da Eurostat per la contabilizzazione fuori bilancio delle medesime operazioni.