***
La discrezionalità dei comuni nelle scelte di pianificazione urbanistica
Nel nostro ordinamento il Giudice Amministrativo di norma ha competenza soltanto per quanto attiene alla legittimità dei provvedimenti ed il suo sindacato non si estende al merito.
Ciò significa che, ad eccezione di quanto previsto per circoscritte materie, il Giudice Amministrativo può soltanto annullare i provvedimenti che ritiene illegittimi, senza potersi sostituire alla pubblica amministrazione nelle valutazioni ad essa spettanti.
Per poter legittimamente procedere all’annullamento di un atto amministrativo è necessario che lo stesso risulti viziato sotto il profilo dell’incompetenza dell’organo che lo ha emanato, della violazione di legge o dell’eccesso di potere, ossia del “cattivo uso” del potere stesso.
In applicazione di questi principi, la giurisprudenza è costante nel ritenere che, di norma, le singole scelte dell’amministrazione che riguardano la pianificazione del territorio sono ampiamente discrezionali, non necessitano di specifica motivazione e possono essere annullate dal giudice amministrativo solo se risultano del tutto arbitrarie o irragionevoli o se si fondano su presupposti di fatto che poi si rivelano in realtà insussistenti.
Ci sono eccezioni a questo principio?
L’obbligo di specifica motivazione
La giurisprudenza ha individuato alcune ipotesi in cui è richiesta una specifica motivazione delle singole scelte pianificatorie.
Tali ipotesi riguardano:
- la previsione di dotazioni di aree destinate a servizi pubblici in quantità maggiore rispetto agli standard di legge (con conseguente sacrificio imposto ai privati proprietari di queste aree);
- la lesione, ad opera di atti di pianificazione, del principio di affidamento qualificato del privato, derivante dall’aver sottoscritto convenzioni di lottizzazione o altri accordi con il Comune o da sentenze con le quali il giudice amministrativo ha annullato precedenti provvedimenti in materia urbanistica od edilizia;
- la previsione di non edificabilità di aree che risultano completamente intercluse da fondi già edificati.
Il caso Cortina d’Ampezzo
Il giudice amministrativo si è occupato della legittimità delle previsioni del Piano Regolatore Generale del Comune di Cortina d’Ampezzo in alcune pronunce che affrontano il tema dei limiti all’obbligo di motivazione delle scelte di pianificazione urbanistica (Consiglio di Stato n. 2710/2012, TAR Veneto n. 958/2019, n. 584/2019 e n. 1118/2010).
Al fine di evitare la costruzione di nuove “seconde case”, nel Piano Regolatore Generale di Cortina d’Ampezzo è stata attribuita una destinazione agricola alla maggior parte delle aree ancora inedificate.
La possibilità di nuova edificazione è quindi stata circoscritta ad un numero limitato di aree, con lo scopo di consentire la realizzazione di interventi destinati ad abitazione dei soli cittadini residenti.
Il giudice amministrativo ha ritenuto legittima questa scelta sulla base delle seguenti considerazioni:
- il potere di pianificazione può essere orientato anche a finalità di tutela economico-sociale della comunità locale “nel quadro di rispetto e positiva attuazione di valori costituzionalmente tutelati”;
- la pubblica amministrazione deve dar conto, sia pure con motivazione di carattere generale, degli obiettivi che intende perseguire attraverso lo strumento di pianificazione e della coerenza delle scelte effettuate rispetto a tali obiettivi;
- la circostanza che in precedenza un’area rientrasse nell’ambito della destinazione residenziale non vale a conferire un’aspettativa giuridicamente qualificata alla conservazione di tale destinazione;
- la configurazione di un’area quale lotto incluso in una zona già edificata non comporta la necessità di attribuire alla stessa una destinazione residenziale, né tale destinazione si impone in ragione delle “caratteristiche obiettive del terreno”;
- l’attribuzione di una destinazione agricola ad un determinato terreno è volta non tanto e non solo a garantire il suo effettivo utilizzo a scopi agricoli, quanto piuttosto a preservarne le caratteristiche attuali, in considerazione della valenza conservativa di tale tipo di destinazione.
Occorre peraltro considerare che il Piano Regolatore Generale è uno strumento di governo del territorio comunale volto a definirne l’intero assetto e a consentirne uno sviluppo armonico e sostenibile.
Certamente queste finalità possono essere attuate anche mediante l’approvazione di norme che restringono le potenzialità edificatorie (si pensi alla tematica, oggi quanto mai attuale, della riduzione del consumo di suolo e della tutela ambientale e paesaggistica di aree inedificate).
Tuttavia tali limitazioni devono poter trovare giustificazione nell’esigenza di mantenere un determinato assetto del territorio e non possono pretendere di fondarsi solo sulla asserita necessità di tutelare alcune categorie di cittadini dal punto di vista economico e sociale.
A meno che non si tratti di categorie socialmente deboli, come avviene ad esempio nel caso delle previsioni pianificatorie volte ad assicurare la realizzazione di un numero adeguato di alloggi di edilizia residenziale sociale.